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Dare voce all’infans

Immaginare una città senza bambini è impresa da sceneggiatore di un cupo film di fantascienza, molto ben girato, “I figli degli uomini” del regista messicano Alfonso Cuaròn. La trama è semplice e shoccante, l’uomo non genera più bambini e sta per scomparire come specie sul pianeta. Tuttavia l’eros sosterrà la vita e i suoi rappresentanti lotteranno perché l’infans continui a manifestarsi su Gea.

Questa premessa sta alla base del lavoro che si svolge nello studio multidisciplinare “Nuovi Percorsi” nato per dare voce all’infans, presente tanto nell’adulto come nel più giovane degli umani.

Tradurre la parola infans permette di definire il perimetro di questo scritto.

Infans lo possiamo tradurre come infantile, in fasce, ma anche come muto. L’infans nella pratica psicoanalitica è ciò che è “senza parole” ma non per questo non comunica. Nella osservazione dello sviluppo post natale del bambino verifichiamo che l’infante vive una relazione simbiotica con la madre che gli offre l’illusione di esser tutt’uno con lei. Il bambino è parte del corpo della madre, il seno materno è anche il corpo dell’infante, immaginato come proprio. Più questa illusione è una illusione corredata di parole, musiche, prossemica accogliente della madre, più quella illusione nutrirà la crescita dell’infante verso la parola che lo distinguerà e separerà dall’illusione stessa che pur troverà un suo posto, nel sogno.

La relazione del bambino con il soddisfacimento dei suoi bisogni sarà dunque alla base del futuro rapporto con la vita di relazione, con la parola che esprime i sentimenti, con la conoscenza in cui il bambino è immerso fin dalle ultime fasi della vita intrauterina ma ne è anche necessariamente estraniato, essendo il conoscere altro dal conoscente.

Infans significa anche muto, senza parola. Ciò che è senza parola non è necessariamente contrassegnato da un segno negativo se immaginiamo tutta l’espressione artistica pittorica, scultorea, musicale e coreografica ma, quelle appena citate sono appunto opera della creatività ben indirizzata dalla conoscenza. Il bambino è creativo ma non ha consapevolezza delle proprie capacità espressive e in gran parte neanche gli interessa esercitare un vero e proprio controllo sulle proprie attitudini, egli intende sperimentarle. Quel infans non se ne va nella crescita, quel infans lo ritroviamo anche nell’adulto alle prese con il sintomo muto della ripetizione che ostacola la vita, gli affetti, la propria realizzazione. Così in uno studio multidisciplinare dedicato alle domande dell’uomo da zero a cento anni, nei percorsi che dall’infanzia vanno diversificandosi per genere nell’adolescenza e nell’età adulta, l’infans è in ogni angolo, in ogni pagina di ogni libro, in ogni parola che circola nelle stanze, nei saluti all’ingresso e nei commiati tra un incontro e un altro. L’infans è nel sintomo che la psicoanalisi assume come domanda inespressa, lo ritroviamo nell’ostacolo cognitivo che fa faticare l’espressione cognitiva; nel corpo che è stato mal trattato da se stessi, nella richiesta di separazione da un amore totalizzante. L’infans è nei minuti che scorrono, nelle attese che il proprio figlio esca dalla stanza, nel bambino che apre la porta degli adulti silenziosi chiedendosi chi abiti al di là di quell’uscio. Per questo abbiamo deciso di far incontrare adulti e bambini all’ingresso della nostra stanza, affinché gli uni possano ricordarsi degli altri e noi con loro, per non dover aver paura dei cupi film di fantascienza.

Lo studio “Nuovi Percorsi”

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