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POLIVISIONE

a cura di Nicola Basile

25 | MARZO  2023 | h 9,00 13,00
c/o Asilo Nido Per Fare Un Fiore via Nomentana 333/c Roma

POLIVISIONE SEMINARIO IN SETTING DI PSICODRAMMA ANALITICO

Il seminario del 25/03/2023 è aperto a coloro che con noi desiderano interrogare attraverso il dispositivo dello Psicodramma analitico, i nodi che la relazione di cura pone alla società. Il seminario come sempre non è gratuito. La partecipazione richiede la fatica del proprio esserci e il desiderio della psicoanalisi.
Per informazioni scrivere a: nicolabasile.edu@gmail.com
indicando il proprio nome, professione, numero di telefono. Riceverete una mail e messaggio WhatsApp di conferma.
Altrimenti inviare un messaggio WhatsApp a Nicola Basile - 3296322722

Riflessi di notte

“Intervenire o astenersi? Questo è il problema.”

elaborazione dell’esperienza di osservazione
seminario SIPsA on line di Polivisione
in setting di Psicodramma analitico
febbraio 2023
dott.ssa Stefania Falavolti

"Assenza di corpi”.

Si è partiti da qui nella seduta in assenza di corpi, ognuno chiuso nella propria finestrella. Facile assentarsi, dissimulare disagio o imbarazzo.
Fluttua una domanda: intervenire per aiutare, può significare una occupazione, quasi militare, dello spazio dell’altro, entrare nel suo territorio da nemico fingendosi amico; pensare di liberarlo e farlo stare bene per forza, dall’alto di chi sa cosa sia il suo bene?

"Fare finta di non vedere o non vedere davvero?"

All’opposto astenersi cosa può significare? Lasciare che l’altro si liberi, ne trovi le forze o tenersi fuori dalla relazione? Forse ritirarsi e trincerarsi nel proprio spazio sicuro, protetto da regole astratte, nell’illusione di proteggersi dal contagio. Fare finta di non vedere o non vedere davvero la carne lacerata ed il sangue di persone ferite, traumatizzate ed abbandonate, umiliate. Non tendere, non solo e non tanto una mano od un cibo, ma uno sguardo vero ed un ascolto attento che restituisca dignità di persona. Poter sopportare il dolore dell’altro scoprendo che non è poi così diverso dal nostro, di ieri e se non di oggi forse di domani, che anche la nostra carne sanguina, anche la nostra anima si lacera. Questa somiglianza consente di comunicare pur con linguaggi diversi. Anche astenersi allora può diventare qualcosa di ostile, se fatto per sentirsi superiori alle fragilità umane. Nessuna analisi, per quanto lunga ed accurata, potrà mai, per fortuna! Guarire tutti i mali e far scomparire tutti i buchi…Non esiste una soluzione certa e perfetta.

"Conservare la fiducia di poter risalire insieme"

Abbandonarsi un po' è lasciarsi cadere in una voragine oppure scendere, accompagnando l’altro negli Inferi, scoprirne i gironi, riconoscere volti e pene già noti, trovarne di inaspettati e terribili. Occorre conservare la fiducia di poter risalire insieme, provare a credere di poter volare come l’eterno bambino Peter ed i suoi amici che lui fa cospargere di polvere magica. Anche questo, però, rappresenta un rischio, quello di farsi catturare dalla fantasticheria di un mondo immaginario e restare prigionieri dell’Isola che non c’è. Tale pericolo può fare persino più paura del contagio del dolore e della morte.

“Colui che soffre è in perenne rivolta contro la realtà…"


Ad un grande baratro di fuoco si contrappone un empireo senza confini certi, in entrambi i casi ci si sente “sperduti”, bruciati o trasformati, direi fuori luogo. Il punto è che, come dice Ferenczi “colui che soffre è in perenne rivolta contro la realtà…è fuori di sé”[1] sempre più estraneo a sé stesso, ognuno perso in un proprio mondo infernale od estatico, dominato da leggi e linguaggi incomunicabili, più di quanto ciascuno di noi non lo sia già.

"Occorre una guida"

Per trovare la strada di casa e riuscire a ri-conoscersi spesso occorre una guida, almeno un poco più esperta, che abbia attraversato e superato lo stesso cammino e simili paure, ma sappia accettare di poter sbagliare e cadere di nuovo ma con la consapevolezza di sapersi, magari a fatica, rialzare. Guide e/o compagni di un viaggio difficile e pericoloso, questo il lavoro di un gruppo, soprattutto in presenza, corpi che incontrano altri viandanti, che possono riconoscersi fra naufraghi e fuggiaschi, anche se di vari colori e multipli idiomi. Ci si può guardare ed alzarsi dalla sedia, mettendo in comune il poco ed il molto che ogni essere umano reca con sé. Riuscire a scalare montagne e guardare negli abissi mantenendo i propri passi saldi sul sentiero, uno sguardo verso il cielo ed un altro alla meta lontana. Ritrovarsi alla fine, attraversato il mare in tempesta, intorno ad un fuoco che scalda ma non brucia, confrontando incubi e sogni, paure e speranze, rimpianti e progetti, scoprendo con stupore di essere riusciti a comunicarsi qualcosa.

Note:

[1] Sandor Ferenczi  “Diario Clinico” pag. 85-86, Raffaello Cortina ed., Milano 1988
[2] Fotografie di Nicola Basile

Contatti e informazioni

Il seminario del 25/03/2023, h 9,30-13,00, in presenza in via Nomentana 333/c è aperto a coloro che con noi desiderano interrogare attraverso il dispositivo dello Psicodramma analitico, i nodi che la relazione di cura pone alla società. Il seminario come sempre non è gratuito. La partecipazione richiede la fatica del proprio esserci e il desiderio della psicoanalisi.
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Lettera da un interpellante di mezza età

Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera in merito al seminario di Polivisione di febbraio 2023 [1]

Phersu Tomba degli auguri Tarquinia [2]
Un commento avrei voluto farlo quasi subito, ma la cronaca, aggiungendo nuovi fatti ad alcune delle stesse emozioni che animavano l’incontro, ha rallentato il metabolismo: è sempre più complicato assimilare gli urti emotivi, chissà quali e quante le ragioni alla base di questa difficoltà.

Inizierei però dalle cose che non avevo capito: ad esempio, non avevo capito che il gruppo, questa volta, vedeva prevalere numericamente gli operatori professionali rispetto al numero di coloro che interpellano le conoscenze di tali professionalità.
E non avevo compreso se tutte le parti dell’introduzione al seminario, da ‘Interrogativi sospesi’ a ‘Concludo con una piccola storia clinica’ fossero state scritte da uno stesso autore; mi era sembrato anzi dover propendere per una scrittura a più mani, impressione comunque cambiata dopo la partecipazione: avrò infine interpretato correttamente?

E, per finire, non ero stato in grado di farmi un’idea di come gli argomenti dell’introduzione potessero – ove mai ciò fosse effettivamente previsto per quell’incontro – tendere ad inglobare anche il possibile riferimento ai termovalorizzatori (intesi come totem simbolico dello scarto, quantomeno); nella mia ricorrente ingenuità, mi era tornato in mente (ma che non sembri un riferimento irriverente, giammai, perché tale non vuole assolutamente essere) il titolo di uno dei film del compianto Massimo Troisi, ovvero ‘Pensavo fosse amore, invece era un calesse’. Perché mi era venuto in mente questo titolo? Solo ed esclusivamente per la apparente mancanza di affinità tra la parola calesse e la parola amore, un po’ come potrebbe sembrare sulle prime, a sprovveduti come me, nel confronto tra il concetto di termovalorizzatore e gli argomenti alla base della ricerca della cura dell’io.

E così possiamo passare alle emozioni.
Quella forte dei colori, quelli familiari che cercavano di avvolgere giovani che sono dovuti fuggire dai loro paesi e che speriamo riescano a sentirsi accolti qui, nonostante ora il nostro paese si dimostri, per analoghe situazioni, rudemente e muscolarmente incapace di accogliere. Mi sono trovato a sorprendermi (senza che nulla possa ovviamente giustificare tale sorpresa) di come, nel racconto della sua collega, l’emozione si manifestasse in modi così, come dire, ‘familiari’: una involontaria sorpresa la mia, una osservazione quasi bizzarra, come se le modalità reattive degli operatori professionali fossero destinate sempre a presentarsi diverse da quelle degli ‘interpellanti’ (mi lasci usare questo termine come sintesi, pur ingiustificabile, per ‘coloro che interpellano le conoscenze’ usato sopra).
Quella forte di tornare a incontrare una compagna del viaggio di tanti anni fa e di incontrarla ora in una vita tutta nuova e in una diversa città antica (antichità che sarebbe stata scossa qualche giorno dopo da una assurda tragedia moderna dei servizi di trasporto), di sentire che anche lei riconosceva subito l’altro viandante, invitandolo di nuovo a interpretare un ruolo a ciò chiamando in causa un ricordo di serietà (forse aveva usato un altro termine, non sono sicuro, io, di ricordare bene): un ricordo che ti fa bene all’anima e ti muove alle parole, nel gioco e non solo per il personaggio interpretato, la parola dignità.
E infine, l’emozione del contrasto tra le parole curare e prendersi cura: mi ha fatto tornare in mente quando dicevo che avrei forse scritto un giorno un libro su ciò che divora un ‘interpellante’, un libro che sono felice di non essere più capace di scrivere. Però credo di poter immaginare alcune delle sensazioni che potevano agitare chi ha posto all’operatore professionale il confronto tra i due termini.

Ne propongo a lei altri, prendendoli dall’ultimo brano dell’introduzione al seminario, dato che nel brano mi era, solo sulle prime, venuto di identificarmi, ‘dispiacendomi’ un po’, sempre e solo sulle prime, appunto per alcune parole che avrei sostituito:
- Uomo di mezza età: perché non solo ‘uomo’? Io, ad esempio, chiamo spesso in causa, ormai, la mia ‘veneranda’ età, ma, non so perché, se mi ripenso ‘interpellante’, quella descrizione mi suona male, forse perché da quel percorso si spera di uscire ricondotti, in un certo senso, all’indietro, a quando il male oscuro non ti aveva ancora reso improvvisamente ‘vecchio’; così la specificazione dell’età sembra assegnarti, invece, ad un percorso che va inevitabilmente solo in un senso, quello del tempo che passa senza consentirti mai di ritornare un poco anche all’indietro, di risentirti, appunto, di nuovo un po’ più solamente uomo e un poco meno vecchio;
- Lamentazioni sempre identiche, di racconti noiosi di lavoro e quotidianità: perché non solo ‘racconti sempre identici, di lavoro e quotidianità’? Quante volte io per primo, da ‘interpellante’, ho definito inutili lamentazioni noiose le cose che dovevo raccontare; io per primo non capivo dove, quando e perché la varietà della mia precedente narrazione quotidiana si fosse dovuta trasformare nell’asfissiante inutile ritornello del tentativo di dare un volto al mostro che ti corrode; ancora ora, però, a leggerle così (come comunque erano, certo), ti fanno tornare in mente la paura che il mostro possa tornare …

Ma arrivando invece alle conclusioni, senza per fortuna lasciarsi nuovamente agitare dalle ansie, che dire: un incontro davvero stimolante, nel quale riesco a identificare in via separata – ciò che mi appare una vera fortuna, ripensando ad anni fa – da una parte l’effetto delle emozioni, dall’altra una nuova interessante vista sul mondo della sua professione.
Grato per l’invito e curioso per i prossimi, se questi commenti non le sembreranno ingiustificabilmente irriverenti.

Un caro saluto e a presto.

[1] lettera firmata

[2] Nelle pitture etrusche di alcune tombe di Tarquinia, e forse anche di Chiusi, tra varie scene sportive e giochi funebri, è raffigurato uno strano personaggio mascherato denominato phersu. Phersu in etrusco voleva dire maschera (il nome si evince dalla chiara iscrizione apposta in due casi accanto al personaggio), da cui deriva l'italiano "persona", attraverso il latino persōna "maschera", nel senso di «apparato atto a far risuonare la voce». La paretimologia del latino persōna da per "attraverso" e sonare "suonare" è smentita dalla quantità breve della O del verbo latino sonare. https://it.wikipedia.org/wiki/Phersu

“Incespicare”

INCESPICARE

dalla polivisione del 24 /02/2023 alla polivisione del 25/03/2023
di Nicola Basile

 

 

Incipit

Come incipit della sessione aperta [2], Giuseppe Preziosi aveva rintracciato la richiesta di realizzazione della cura e il bisogno di poter toccare con un dito l’orizzonte dello stare bene, enunciati nel sacrosanto diritto di aspirare al guarire di chi soffre. In questi bisogni, diritti e desideri, Preziosi intravvedeva una logica commerciale che si esplicitava nella preghiera di tornare normali per essere riammessi da buoni consumatori, nella comunità da cui ci si sente esclusi.

 

Far di conto

Sappiamo che nella relazione di cura si deve fare i conti anche con il dare qualcosa in cambio, sofferenza contro benessere, pagare per ottenere qualcosa che non si sa dove andare a trovare, quando si rimane nell’etica in cui la vita umana è il primo valore da salvaguardare- Quando non c’è altro che passaggio di moneta per avere più moneta, come nelle truffe in cui si raggirano i deboli in nome di eventi millenaristici [3] si concretizza il rischio della speculazione economica. Il prendere cura di sé stessi tuttavia può scartare, interpreto così lo scritto di Preziosi, la questione del valore  nella nostra società, valore sempre alienato dal soggetto che ha perso la capacità produttiva e i mezzi per realizzarla se assieme al valore della vita umana si aggiunge quello della parola vera, quella che sfugge dal controllo, come nel sogno, nel lapsus, nelle metafore e metonimie interpretate dalle diverse forme artistiche.

Perdita di valore

Il valore si disperde, si volatilizza nei mercati azionari come nei sentimenti e nelle relazioni, se la parola diviene puro mezzo di propaganda politica, economica, ideologica, commerciale, rendendosi muta e inconoscibile. In effetti qualsiasi oggetto del nostro vivere quotidiano dopo un certo tempo perde il suo valore economico e con esso purtroppo il suo valore di uso, per andare nella direzione del rifiuto o dell’oggetto di antiquariato. Nel primo come nel secondo caso se non sappiamo come utilizzare la perdita delle caratteristiche di utilizzabilità di quell’oggetto, l’oggetto diverrà il problema di come smaltire qualcosa di inutilizzabile.

Il caso delle pile elettriche

È il caso delle semplici pile elettriche che una volta esaurito lo scambio di elettroni, divengono un dilemma per l’ecosistema, se qualcuno non le recupera e ne riutilizza i materiali. Le pile esaurite, quindi, vanno raccolte e non abbandonate come lo scarto dei nostri processi inconsci di pensiero che, se abbandonato e non riutilizzato, si fa materiale inquinante. Il desiderio può fare la stessa fine delle pile, inizialmente esso cerca degli spazi dove investire massivamente molte energie, lasciandone altri sprovvisti. La ricerca di amore può distrarre dall’affermazione negli studi come nel lavoro e viceversa creando disequilibri e spostamenti da una zona altra della vita emotiva e cognitiva dell’uomo, che andranno in seguito riequilibrati in un processo in cui tutto è continuamente mutevole ma che abbisogna di un equilibrio dinamico.[4]
Se l’equilibrio si fa statico, come nelle pile esauste, non c’è produzione di creatività ma una sorta di inutilità del desiderio stesso che lo fa sembrare irrecuperabile nonché superfluo, poiché viene sopraffatto dal bisogno di oggetti consumabili.

Vita sotto i rifiuti

Dal momento che il desiderio non può rassegnarsi all’inutilità, esso, pur di vivere, si nasconde sotto strati di rifiuti, difesa che anziché proteggerlo, lo immobilizza e alla lunga lo degrada. Il desiderio di vivere che vaga nei cassonetti delle nostre città, attrae coloro che vivevano di artigianato e migrazione fino a metà del ‘900, degradando abilità e tradizioni di una civiltà millenaria che sapeva ammaestrare i cavalli, riparare gli attrezzi agricoli, stagnare le pentole, creare musicalità struggenti che chiamiamo flamenco. E poiché nei cassonetti finisce il superfluo del superfluo, supermarket di ciò che per essere valorizzato richiede altro commercio, assistiamo a un’attribuzione di valore a una merce che chiamiamo rifiuti che rende rifiuti gli uomini e le donne che ne fanno merce.

Riutilizzo delle materie prime

Anche la parola, posta all’ascolto di qualcuno che non le chiede di rilucere ma la sottopone alla possibilità di non temere di essere catturata e esposta al commercio che l’ha svalutata, può accedere al riutilizzo delle sue materie prime, che nel caso dell’uomo e non delle pile, sono le relazioni con gli oggetti di amore della vita che altro non sono che i personaggi che hanno dato vita al dramma interno di ogni vita. Lo strumento parola, se viene disinvestito dal potere della fascinazione che accompagna la seduzione, permette il dire ciò che era stato scartato, rimosso, buttato, indifferenziato, liberando sonorità e colori sepolti sotto cumuli di sintomi.

Parole e parole

Avviene che, a febbraio di questo anno, il gruppo in setting di psicodramma analitico, trovi la parola di giovani uomini e donne che unendo le mani dipinte di giallo e blu, parlano dello strazio della carne viva della guerra da una scala di emergenza, palcoscenico coerente per lanciare simboli iconici e letterari che nutrano la vita e non confezionino bombe. Noi con loro affidiamo la preghiera alla voce di un megafono, affinché le onde sonore possano giungere all’altro. I portatori di queste parole e del gesto di solidarietà sono gli stessi giovani uomini e donne che parole come Pdp, curriculum, programmazione, valutazione, rendimento, rispetto mettono spesso all’angolo della vita stessa.

Il soggetto che non si rassegna

Chi è colei, chi è colui che li ricorda durante la sessione della Polivisione? È un uomo, è una donna, è il soggetto che non si rassegna a cercare la parola che può far uscire dall’emergenza, stratificazione di terre inquinate di difficile smaltimento soprattutto quando non ci sono strumenti culturali ma armi a risuonare nell’aria.  Il soggetto discorre riconoscendo la sua fragilità, poiché sa di non esistere se non  sa riconoscere il nucleo di desideri che lo ha originato, non importa né come né dove. In quella manciata di minuti in cui si svolge il seminario di Polivisione in setting di psicodramma analitico, si esplicita una frase interrogativa che si può scrivere approssimativamente così: “se non c’è il desiderio di dare origine alla vita e di afferrarla, la vita stessa non è data e il soggetto scompare”.

Il tragitto si interrompe

In una moderna e veloce metropolitana europea, il tragitto di una donna si interrompe davanti a un padre, una madre e una bambina, una famiglia che attende il turno per essere ammessi nell’Europa colta e progressista. Non chiedono, sono immoti eppure catturano il suo sguardo. Lei è straniera come loro in quelle gallerie, porta con sé un pacchetto, un piatto preparato per altri. Li supera, l’occhio forse non voleva farsi strappare il bene che le mani sorreggevano, ma la pietanza si fa inciampo, diviene offerta, baratto tra ciò che era e ciò che può essere. La pietanza si riempie di pietas. Durante il gioco drammatico, si ascolta un dialogo dove si incrocia la traduzione balbettante di almeno tre lingue, greco, inglese e italiano e un “Thank you” che risuona breve, acuto e grave a seconda di chi lo emette. Non c’è persecutore e perseguitato, uomini e donne, infans e simbolo si stringono per darsi una mano. Il giorno dopo quell’incontro, lo stesso luogo della stessa moderna metropolitana europea si fa cornice per l’assenza di corpi. I tre hanno forse ripreso il loro viaggio e la narratrice è alle prese con i resti di quel incontro: simbolo di tutti gli incontri possibili poiché l’incontro ora è in lei come nell’altro che è lontano.

Inciampo

Lo psicoanalista, di certo non nuovo alla conduzione del setting, inciampa anche lui, non ha parole a denominazione di origine controllata da offrire, poiché anche lui si riconosce nella staticità della pila esausta e ne soffre; ha memoria della fragranza di una pietanza il cui viaggio non troverà il porto sicuro perché intercettata dall’emersione della domanda silenziosa, evocata dalle traduzioni impossibili di continenti fratelli e terre sorelle nei sotterranei anonimi di una metropolitana.
Oggi siamo soltanto a 73, la conta che il mare di Cutro continua a scrivere sulla sabbia, pieno di rabbia per chi raggira i vivi con parole vuote, lui custode dei resti come della vita.
E la conta non sappiamo quando si fermerà.

note

[1] Conduzione del seminario di Polivisione, in setting di psicodramma analitico, febbraio 2023.
[2] Aperta a coloro che interrogano il desiderio della psicoanalisi nei gangli della società, essendo o non essendo psicoanalisti, invitati per aver lasciato scorrere parole che non chiedono e non chiedevano il brillio del futile e del consumo, svoltasi il 24/02/23.
[3] Vedi quanto sta accadendo nel comune di Roma a Trevignano, dove il terzo giorno di ogni mese folle attendono le lacrime di sangue da una statuina della Madonna acquistata a Medjugorje.
[4] I fatti che ci hanno indotto a credere nell'egemonia del principio di piacere nella vita psichica trovano espressione anche nell'ipotesi che l'apparato psichico si sforzi di mantenere più bassa possibile, o quantomeno costante, la quantità di eccitamento presente nell'apparato stesso. Quest'ipotesi non è che una diversa formulazione del principio di piacere, poiché se il lavoro dell'apparato psichico mira a tenere bassa la quantità di eccitamento, tutto ciò che ha invece la proprietà di aumentare tale quantità deve essere necessariamente avvertito come contrario al buon funzionamento dell'apparato, e cioè come spiacevole. Il principio di piacere consegue dal principio di costanza, invero il principio di costanza è stato infierito dai fatti che ci hanno obbligati ad adottare il principio di piacere … eppure dobbiamo ammettere che a rigore non è esatto parlare di un'egemonia del principio di piacere sul flusso dei processi psichici la legge demonia esistesse la stragrande maggioranza dei nostri processi psichici sarebbe accompagnata da piacere o porterebbe al piacere, mentre l'universale esperienza si oppone energicamente a questa conclusione punto dobbiamo dunque limitarci a dire che nella psiche esiste una forte tendenza al principio di piacere virgola che però è contrastata da altre forze o circostanze, talché il risultato finale non può essere sempre in in accordo con la tendenza al piacere. Freud, S. (1920) Al di là del principio di piacere, OSF IX
[5] tutte le fotografie sono state scattate da Nicola Basile

Contatti e informazioni

Il seminario del 25/03/2023, h 9,30-13,00, in presenza in via Nomentana 333/c è aperto a coloro che con noi desiderano interrogare attraverso il dispositivo dello Psicodramma analitico, i nodi che la relazione di cura pone alla società. Il seminario come sempre non è gratuito. La partecipazione richiede la fatica del proprio esserci e il desiderio della psicoanalisi.
Per per poter ricevere informazioni scrivere a Nicola Basile - nicolabasile.edu@gmail.com
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La Signora degli scarafaggi

Riceviamo da Cristina Frioni e volentieri pubblichiamo

a cura di Nicola Basile

LA SIGNORA DEGLI SCARAFAGGI di Fabrizio Ansaldo

1969 Una donna americana si trasferisce a New York per cercare lavoro. La città è in fermento per i moti di protesta giovanili, il raduno musicale di Woodstock e la guerra del Vietnam. I vicini sono giovani hippie e a causa di un buco nel muro comunicante con la loro cucina, la donna si ritrova la casa invasa dagli scarafaggi…

Con Cristina Frioni e Luana Baroni al piano.

TEATRO FURIO CAMILLO - SAB 11 h 21 e DOM 12 h 18
Indirizzo: Via Camilla, 44, 00181 Roma RM
Telefono: 06 9761 6026

 

Esame radiologico presso il dipartimento di Radiologia del dr Maxime Menard presso l’Ospedale “Cochin” di Parigi.

“Vorrei che i miei pazienti stessero tutti bene”


Introduzione al seminario di Polivisione SIPsA
di Giuseppe Preziosi
Seminario aperto a coloro che interpellano la psicoanalisi.
24 febbraio 2023 h 19,30-21,00 su piattaforma Meet

L'educazione più aberrante non ha mai avuto altro motivo che il bene del soggetto

Jacques Lacan

 

“Interrogativi sospesi” 

Esame radiologico presso il dipartimento di Radiologia del dr Maxime Menard presso l’Ospedale “Cochin” di Parigi.Quanto chi è coinvolto in una relazione di cura deve augurarsi il bene di chi ha di fronte, che sia individuo, gruppo, classe, istituzione? Quando questo supposto bene è indizio di un respiro di desiderio o invece di un bisogno soddisfatto? E poi del desiderio di chi? Del bisogno di chi?

“Poi sono nate le differenze…”, viene detto nel gruppo

 

 

Esame radiologico
presso il dipartimento di Radiologia
del dr Maxime Menard
presso l’Ospedale “Cochin” di Parigi.

“Un tragitto non lineare”

Per un incontro definito aperto, decido di percorrere un tragitto non lineare per provare a sostare in queste domande, anzi meglio, un percorso parallelo, parallelo alla storia della psicanalisi, molto più antico, per molti un precursore stesso di questa. Decido di interrogare la Letteratura e la traccia è un testo di Walter Siti del 2021, “Contro l’impegno, riflessioni sul Bene in letteratura”, Rizzoli editore.

Vincenzo de Lucia
brevetto di un bigliardino a labirinto,
Afragola 1961

“Letteratura, brava infermiera”

Di Sconosciuto - http://www.san.beniculturali.it/web/san/dettaglio-oggetto-digitale?pid=san.dl.SAN:IMG-00002959, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=66638594“Letteratura, brava infermiera”        
Siti da acuto lettore e “osservatore” dell’oggetto letteratura si trova a constatare il ruolo che questa sembra essere forzata a interpretare nella nostra contemporaneità così preoccupata di offendere, ferire, patologizzare: il ruolo di difesa dei fragili, dei marginali, di coloro i quali sono “senza voce”. “L’idea sottostante è che il mondo sia malato e che alla letteratura tocchi come a una brava infermiera, di contribuire a risanarlo […] il valore terapeutico o ricostruttivo della letteratura si è esteso dalla psicologia individuale al dovere sociale; alla presentazione di un mio libro c’è sempre, ormai, chi mi chiede quale sia il messaggio positivo che voglio veicolare” (pag. 20). Questa idea della letteratura parte da una serie di dogmi intoccabili e impossibili da mettere in discussione. Siti ne elenca un po’: l’amore non può avere a che fare con la brutalità; il valore dei “sogni”, basta sognarlo per poterlo ottenere; la bellezza è verità e i bambini sono innocenti e tendenzialmente, aggiungo io, hanno sempre ragione. Ciò che si perde, aggiunge, con l’uso solo “benefico” della parola è la possibilità dell’avventura della parola, del suo valore di ricerca dell’inaspettato.

“Perdersi l’inconscio”  

 

https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3588120

In uno dei saggi del suo libro, si citano i quattro fondamenti della letteratura proposti in un notissimo blog statunitense (Brainpicking di Maria Popova oggi The marginalia): economizzare il tempo, renderci più gentili, guarire dalla solitudine, prepararci a superare i fallimenti. Non sembra l’auspicio condiviso di una buona psicoterapia (anche se analiticamente fondata)?

Sorprendentemente (o forse no) si scrive più avanti nel testo che ciò che rischia di perdersi è l’inconscio. “essendo figlio della profondità, l’inconscio non gode di buona stampa nel mondo della velocità orizzontale, anche perché è fulmineo nel rivelarsi in quanto sintomo ma ha bisogno di tempo perché l’io possa (in parte) riappropriarsene”.

“Concludo con una piccola storia clinica”

“Concludo con una piccola storia clinica

Un uomo di mezza età torna in stanza d’analisi dopo una interruzione di diversi mesi. Prima di questa “pausa” erano stati diversi gli anni trascorsi ad una seduta a settimana. Anni di lamentazioni sempre identiche, di racconti noiosi di lavoro e quotidianità. E per anni mi sono chiesto il senso di questo “incontro” sollecitato anche da una sua non sempre celata insoddisfazione per la mia posizione a-parte. Poco prima di una ricorrenza festiva arriva in ritardo in seduta e appena si siede, con aria grave e seria mi racconta senza un attimo di esitazione di un remoto ricordo del passato che coinvolge una figura genitoriale. Un ricordo banale, ma che solo in quel momento i gangli della rimozione avevano deciso di far riaffiorare. Dove ciò avrebbe condotto, non sapevo nel presente della seduta e forse non lo so ancora adesso, ma a seduta terminata mi sono chiesto se essere in presenza per tutti quegli anni, sforzandomi di mettere a tacere consigli, indicazioni, suggerimenti, affettività che pur questa persona suscita in me, fosse l’unica cosa che davvero potessi fare. Quanto invece, propendendo per un miglioramento della qualità della sua vita, appoggiandomi semplicemente al buon senso, al mio “supposto sapere”, all’onnipresente empatia avrei reso più difficile o forse impossibile, l’emersione di quel frammento, l’incontro con l’inaspettato?

Contatti e informazioni

Il seminario del 24/02/2023, h 19,30-21,00, è aperto a coloro che hanno desiderio di interrogare e interrogarsi sulla clinica del vivere, come sempre non è gratuito. La partecipazione richiede la fatica del proprio esserci e il desiderio della psicoanalisi.
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“…l’onnipotenza ha tante forme…”

(possibile introduzione) alla Polivisione clinica Gennaio 2023

di Alessandra Corridore

 

"fondamentale è porsi la domanda: “Da che gioco sono giocato?”.

Caravaggio _ Narciso
https://it.wikipedia.org/wiki/ Narciso_ (Caravaggio)

 

“L’onnipotenza può assumere tante forme”, anche quella di colui/colei che “si prende cura”. In quanto espressione umana può catturare chiunque nelle sue maglie, specialmente chi nel passato è stato ferito. Anche il guaritore ferito, che ha trasformato la sua sofferenza in una professione e che quotidianamente si prende cura della sua ferita e di quella degli altri, può essere contagiato da Narciso, all’archetipo del Salvatore, del Guru, del Sacerdote, del Profeta…

Desiderio di eternità

Jacek Yerka
Impara a camminare
http://athenaenoctua2013.blogspot.com/
2013/05/jacek-yerka-incontro-con-un-surrealista.html

Forte e rassicurante, mai del tutto elaborato, può essere il desiderio di eternità di un sentimento o un’emozione da condividere con un altro essere umano. L’attore principale sembra essere il bambino interno che cerca l’accoglimento totalizzante, la dipendenza assoluta che rassicura, ma che non lascia andare, che può costellarsi ad esempio tra chi si prende cura e chi viene curato, piuttosto che in un rapporto amicale totalizzante, in cui tu sei il mio strumento e, se ci troviamo a lavorare insieme, desidero che tu sia me ed io sia te.

Finché arriva il conflitto e la ferita originaria si riapre, quella ferita abbandonica di chi non è stato compreso fino in fondo, o comunque come avrebbe desiderato per poter vivere la grandiosità originaria necessaria alla differenziazione.

“Poi sono nate le differenze…”, viene detto nel gruppo

Diadi

https://www.smithsonianmag.com/smart-news/dozens-2000-year-old-terracotta-figurines-found-turkey-180976978/

Con Donald Kalsched potremmo parlare di diadi che si costellano nella psiche indifferenziata, di cui un polo può essere proiettato sull’altro, o sugli altri da sé, forse per dare forza alla propria Onnipotenza, e per viversi un po’ meno impotenti… Ma l’incontro con l’altro può essere anche l’occasione per incontrare l’Altro dentro di sé, per accogliere l’Ombra (cfr. Jung), la parte intollerabile della personalità, per discendere negl’Inferi, laddove vivono gli opposti, ed accoglierli come una madre amorevole. Reggere il conflitto interno per poter finalmente conoscere, “contare” e a “far contare”, l’altro nella sua originalità.

Limiti

Baldassare Peruzzi (1481 - 1536)
https://it.wikipedia.org/wiki/ File:Baldassarre_Peruzzi_-_Apollo_and_the_Muses_-_WGA17365.jpg

“Bisogna fare i conti con i propri limiti”, viene detto durante lo psicodramma. Quando si anima o si osserva un gruppo, quel gruppo è il “nostro”? Oppure nel gruppo si attivano dei processi che prendono vita propria? Un gruppo che “finisce” dopo un anno rappresenta un fallimento? Forse nell’ottica dell’Onnipotenza si. Ma attenzione a non farsi giocare dalla fantasia della vita eterna, che blocca ogni trasformazione. Forse “la fine” può rappresentare l’inevitabile separazione, il limite ma anche il confine che, chiudendone una, aprirà altre possibilità.

Contatti e informazioni

Il seminario del 27/01/2023, h 19,30-21,00, aperto a coloro che sono impegnati nella relazione di cura, come sempre non è gratuito. La partecipazione richiede la fatica del proprio esserci e il desiderio della psicoanalisi.
Per per poter ricevere informazioni scrivere a Nicola Basile - nicolabasile.edu@gmail.com
nuovipercorsiviaborelli@gmail.com, indicando il proprio nome, professione, numero di telefono.
Riceverete una mail e messaggio WhatsApp di conferma con il link per partecipare su piattaforma meet.
Altrimenti inviare un messaggio WhatsApp a Nicola Basile - 3296322722

Fili di seta

Tante "storie" una storia

recensione a cura di Nicola Basile

 

Sul filo del ricordo

Parole sul filo del ricordo è uno dei possibili modi di descrivere l’ultimo lavoro di Alberto Alberti, uomo di scuola a tutto campo: maestro di scuola elementare, dirigente scolastico, ispettore del Ministero della Pubblica Istruzione, medaglia d’oro all’Istruzione con Ciampi Presidente della Repubblica, interprete della legislazione scolastica per cui ha cercato di convincere la politica a svolgere i suoi compiti e, non in ultimo, narratore.

Come sono andate le cose?

 

Un giorno Alberto mi domanda di leggere l’ultimo manoscritto e da lettore mi lascio avvolgere nella seta che mille bachi tessono intorno a me, portandomi in una Sicilia a me cara, aspra e dolcissima, nostalgica e rivoltosa. “Come sono andate le cose? Non lo sappiamo … ma c’è un secondo gruppetto di versi che…”  si fa fili di parole che danno forma a donne, uomini, appassionatamente insieme nell’eros come nella costruzione di una storia che parte da un caleidoscopio di frammenti per mostrarsi infine quadro.

Prima che i fili divenissero...

Ho avuto il piacere di parlarne con l’Autore prima che i fili divenissero tela, vestiti bianchi, gorgoglii di fontane sulle pagine dell’Anicia editore; oggi ricerco nell’ordito di cultura e natura dei racconti, la storia fatta di tante storie dell’unica storia che porta il nome dell’Autore.

Onnipotenza

Contributo al seminario di Polivisione del 16-12-2022

a cura di Giuseppe Preziosi

 

Forme

L’onnipotenza ha tante forme, anzi mille e mille di più. l’onnipotenza è un tiranno e un dittatore, è un macigno.
Ha così tante forme che spesso non la puoi riconoscere. Forse ha qualche parentela con il diavolo e si sa che Lucifero qualche problema con la superbia l’ha avuto. E possiamo aggiungere che se per raccontare un incontro di polivisione mettiamo in campo il più bello degli angeli del Signore, i conti con l’onnipotenza proprio lì dobbiamo fare.
L’onnipotenza può prendere la forma di una donna senza storia e senza età, con solo un viso bruttino e non epilato che la costringe nello sguardo di chi è supposto curante, in un abisso di marginalità e sofferenza. Un’immagine così seducente che osservata e osservatore ci cadono dentro entrambi risucchiati dal gioco delle parti che competono loro.

Gioco del servo e del padrone

Un gioco di servo e padrone però, non un scambio tra esseri umani, non la famosa parabola del pane di cui ci parlano i Lemoine dove lo scambio si fa simbolico, un po’ di fame resta ad entrambi ma allo stesso tempo, si fonda un legame simbolico, umano. Non qui. L’onnipotenza ti dice che puoi rispondere alla domanda. Perché se di oggetto denaro ha bisogno, allora oggetto denaro darò, onnipotentemente pensando di poter rispondere ad una domanda.  Un ragionamento lineare, chiuso, sbarrato, semplice e funzionante, alla base della beneficienza di migliaia di persone, associazioni e fondazioni nel mondo.

Vergogna

Fin qui è ancora tutto troppo facile. Perché l’onnipotenza poi si mescola, si accompagna o forse si traveste, da vergogna. E che ci fa la vergogna accanto ad una così tale dimostrazione di potenza e potere? Qualche anno di frequentazione psicoanalitica ci convince che la trama di tale legame va ritrovato in storie infantili che non è il caso qui di raccontare. Basti però ricordarsi che tutti coloro che condividono la convinzione un po’ magica di curare l’altro (o l’Altro?) c’è sempre quel bambino o bambina che siamo stati.

Sfumature, possibilità e inventiva.

Infatti, questa è solo una delle storie che potremmo raccontare, una scelta a caso tra le tante: la neuropsichiatra sotto assedio, il medico in pensione con tutti gli ex pazienti in fin di vita, la psichiatra nostalgica. Quante sfumature! Quante possibilità.! Quanta inventiva!
Forse anche questo vuol significare quello che si ripete tanto dello psicodramma freudiano, partire dall’immaginario e arrivare al simbolico. In questa ridda di immagini, forme, racconti, narrazioni, punti di vista, in questa fascinazione che ci spinge a raccontarci e darci consigli, a consolarsi un po’ a vicenda, a metterci in mostra, seppur nella debolezza, il dispositivo delio psicodramma taglia e taglia corto con questa produzione ipertrofica dell’immaginario e fa come il pane, lo sottrae a tutti (il godimento) e lo restituisce sotto forme di simbolica mancanza che è la propria soggettiva modalità di stare nel mondo.

Conclusione per iniziare

E nello spazio della seduta, l’onnipotenza rivela la fatuità di tutte le forme e di tutti i suoi travestimenti, mostrando la sua vera natura, certo sempre sorprendente, quella di avere una seconda faccia, quella dell’impotenza.

Contatti

Il seminario del 16/12/2022 come sempre non è gratuito. La partecipazione richiede la fatica del proprio esserci e il desiderio della psicoanalisi.
Per per poter ricevere informazioni scrivere a Nicola Basile - nicolabasile.edu@gmail.com
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Riceverete una mail e messaggio WhatsApp di conferma.
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In o questione dell’incontro. La dimenticanza del nome apre alla ricerca

 

I treni che da Bombay vanno a Madras partono dalla Victoria Station. La mia guida assicurava che una partenza dalla Victoria Station vale da sola un viaggio in India, e questa era la prima motivazione che mi aveva fatto preferire il treno all’aereo. La mia guida era un libretto un po’ eccentrico che dava consigli perfettamente incongrui, e io lo stavo seguendo alla lettera. Il fatto era che anche il mio viaggio era perfettamente incongruo; dunque, quello era il libro fatto apposta per me. Trattava il viaggiatore non come un predone avido di immagini stereotipe al quale si consigliano tre o quattro itinerari obbligatori come nei grandi musei visitati di corsa, ma alla stregua di un essere vagante e illogico, disponibile all’ozio e all’errore. Con l’aereo, diceva, farete un viaggio comodo e rapido, ma salterete l’India dei villaggi e dei paesaggi indimenticabili [...] non dimenticate che sui treni indiani si possono fare gli incontri più imprevedibili. / Queste ultime considerazioni mi avevano definitivamente convinto. [1]

Prologo

 

 

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Seguirò il percorso di Freud alle prese con la dimenticanza del nome Signorelli che solo un fortunato incontro fece emergere. Cercherò di illustrare come interrogare la dimenticanza sia stata per Freud e lo è per tutti noi, una strada consolare di accesso all’inconscio. Queste righe sono state provocate dal seminario di Polivisione in setting di Psicodramma Analitico della Società di Psicodramma Analitico del

In/contro

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In/contro
Inizio dalla preposizione semplice “in”, isolandola dall’avverbio “contro”, non per far torto al secondo ma per ritrovarmi in un luogo, in una specifica condizione affettiva o emotiva, per l’esser entrato in luogo avendone lasciato un altro a cui ero legato, per essermi trovato in presenza di un altro, forse atteso ma per questo inaspettato.
Scelgo non a caso alcuni esempi di una preposizione che indicano tutti il trovarsi con l’altro, sia esso una persona, un essere vivente come un luogo che richiama estraneità.

“In” una versatile preposizione

La preposizione “in” è assai versatile, basta dare uno sguardo alla seguente tabella che rubo dalla Treccani::

Da una rapida occhiata si rileva che essa è poliedrica, si occupa di tutto, sia transazioni affettive come di quelle commerciali. La preposizione “in” non disdegna la solitudine e si accompagna volentieri ad altre preposizioni.
La ritroviamo assieme alla preposizione “contro” [2] che richiama scontro, opposizione, conflitto a meno che non si faccia precedere da lei, dalla piccola preposizione semplice “in” per alludere alla possibilità, al piacere, al desiderio, alla speranza, alla competizione che si esplica tra esseri viventi se è un sostantivo. [3]
Se diviene una forma legata al verbo esso “Indica direzione di movimento, e più in partic. movimento verso persone che siano [...]” [4]

 

Incontro

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Contenuta nel sostantivo incontro, trovo la forma che mi intriga per scandagliare la dimenticanza di un nome e in particolare la dimenticanza di un nome, che occorre a Freud, diretto verso Cattaro [5]:
Si chiama INCONTRO il fatto di incontrare qualcuno o l’incontrarsi casualmente di due o più persone (un i. impensato; un i. felice, fortunato, sgradito; un i. inevitabile); 2. si può [...] o per la ricerca di un accordo (un i. di capi di Stato; un i. al vertice). [6]

Date e tempo dell’inconscio.

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1897 Sigmund Freud è in viaggio, ha visitato Orvieto, scrive a Martha, di cui accusa l’assenza poiché il viaggio era previsto assieme alla consorte; scrive a Fliess, come un compagno di diario che meticolosamente scrive; non comprende molto l’italiano, è straniero in una terra tanto studiata e desiderata.
1898, andando da Ragusa alle Bocche di Cattaro Egli dimentica un nome, di cui sa moltissimo e di cui ha studiato gli affreschi, l’anno prima, Signorelli. [7]
Durante uno scambio di ricordi in treno, vis a vis con un altro viaggiatore, desidera sapere se anche l’altro avesse potuto visitare la cappella di San Brizio, o cappella Nova, che si trova nel transetto destro del duomo di Orvieto. Cita tutto a regola d’arte ma il nome del pittore, che Egli conosce perfettamente, resta impigliato tra i denti. La dimenticanza è tenace e a nulla varranno gli sforzi di aggirare l’ostacolo, anche diverse catene associative non gli saranno di aiuto. Freud definirà la dimenticanza “insistente e fastidiosa”.

Invano

 

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In "Psicopatologia della vita quotidiana" Freud scrive:

“Nell’esempio da me scelto per l’analisi nel 1898, invano io mi ero sforzato di ricordare il nome di quel pittore che nel Duomo di Orvieto aveva creato i grandiosi affreschi del ciclo della fine del mondo. In luogo del nome cercato, Signorelli, mi venivano alla mente con insistenza due altri nomi di pittori, Botticelli e Boltraffio, che il mio giudizio, subito e decisamente, rifiutò come sbagliati. Quando il nome esatto mi fu comunicato da altri, lo riconobbi immediatamente e senza esitazione. La ricerca degli influssi e delle vie associative per cui la riproduzione mnestica si fosse in tal modo spostata da Signorelli a Botticelli e Boltraffio, portò ai seguenti i risultati (…) [8]

 

 

Il compagno di viaggio

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Chi sono mai questi altri che riescono a comunicare a Freud il nome che si celava dietro la dimenticanza? In realtà era semplicemente un “signore” colui che impersonò la dimenticanza, in tedesco “Herr” e fu un estraneo, un “Signore colto” colui che risolse la mancanza. Seguiamo la scrittura di Freud a ritroso, dal libro all’articolo e infine alla lettera a Fliess, di molto precedente il libro stesso: “Nel libro, la raccomandazione diventa domanda: Freud domanda a questo estraneo “Se fosse mai stato Orvieto a vedere i celebri affreschi di (…).
Il processo di recupero del nome, nella lettera, è dato come spontaneo:” Alla fine seppi il cognome: Signorelli. E ricordai subito il suo nome, Luca.”
L'articolo presenta un percorso più arduo: " Il mio compagno di viaggio non fu in grado di aiutarmi (...) dato che, essendo in viaggio, non avevo la possibilità di consultare alcun testo, per parecchi giorni dovetti rassegnarmi a sopportare questo vuoto di memoria e il fastidio interiore che esso più volte al dì mi dava, finché non incontrai un italiano colto che me ne liberò comunicandomi il nome cercato: Signorelli. Al cognome seppi subito aggiungere, di mio, il nome: Luca.”
L’interessante ricostruzione è opera dello psicoanalista francese Jean Lombardi, nel bellissimo piccolo libro del 1995 –di Freud – Erre Emme edizioni che devo aver acquistato a mia volta durante un viaggio a Orvieto con mia moglie.

 

 

Solitudine

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Freud è solo, distante da Martha, un altro lapsus coinvolgerà il nome proprio della moglie con il nome di una bellissima località sul lago di Bolsena, Marta. Freud è in transito, dirigendosi verso Cattaro. Siamo alle prese con la dimensione dell’oralità che apre all’inesprimibile lingua materna che si fa straniera ma al tempo stesso va tradotta. La lingua materna è ciò che segna il primo incontro, indicibile, dell’essere umano; incontro che si struttura come deposito dell’inconscio, di cui il soggetto è responsabile, senza averne avuto in consegna gli strumenti per decifrarlo. Il soggetto sa di aver udito la lingua materna ma non sa ripetere come Egli sia stato parlato da essa, quali note siano state emesse. Freud, e ciascuno di noi, ha dimenticato come il proprio nome da estraneo e inquietante sia divenuto, quotidiano, familiare, senza che esso si confonda su colui che risponde voltandosi, se chiamato.

 

 

Traduzione

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Scrive J. Lombardi: “Sollecitato da un'altra lingua il viaggiatore ha l'attenzione occupata dalla traduzione accanto alla lingua del viaggio, a cui ci si deve assuefare, è la lingua materna che si pone come lingua straniera. L'operazione di traduzione, che cerca di stabilire un ponte fra l'intenzione che vuole dirsi, la forma familiare che prende nella lingua materna è quella che deve farsi intendere in un'altra lingua, ha un effetto di contraccolpo. Con essa si rivela l'equivoco di ciò che è ordinario nel linguaggio d'uso corrente nella lingua materna. L’estraneità non risiede tanto nell'altra lingua quanto in ciò che della lingua materna resta inaudito, non inteso benché enunciato appunto la vera lingua straniera è quella che si intende all'insaputa di colui che parla e i cui effetti di significazione determinano gli atti più realmente di ciò che il parlatore crede di dire. Freud fa per sé stesso la scoperta delle operazioni di traduzione in questo campo d'esperienza che denomina l'inconscio, (…)”. [9]

 

 

Herr, Signore, Signorelli

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Per poter indagare l’inconscio, Freud come noi stessi, ci obblighiamo all’incontro. Incontro con lo straniero che si fa “Signore”, “Herr”, Signorelli. L’inconscio è sempre altro dal soggetto stesso, in quanto il soggetto è alienato per fondazione dal suo stesso linguaggio, essendo noi tutti e anche i nostri amici animali a noi più vicini, parlati dall’altro. [10]
E quindi è solo nella dimensione dell’incontro che è possibile avere informazioni su ciò che pur avendo una sua forma e le sue regole, non lavora come un linguaggio.

 

 

Viaggio d’incontro con la psicoanalisi

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“In questo momento, benché Freud abbia capito, dalle manifestazioni sintomatiche dei suoi pazienti, che ogni soggetto intrattiene un rapporto singolare con il sapere che ha su sé stesso, il termine psicoanalisi rappresenta ciò che Freud ignora di se stesso accanto all'altro discorso che è l'inconscio. Con l'artificio di un incontro, lungo la strada che lo conduce a Cattaro, il suo proprio discorso è realmente messa alla prova di produrre un sapere sulla verità del suo desiderio.” [11]
“Dalla prima versione alla terza, l'avvenimento sopravvenuto sulla strada di Cattaro ha preso la dimensione di un incontro.” Scrive ancora J. Lombardi,[12] Riferendosi al lavoro di Freud sulla dimenticanza del nome Signorelli.

 

 

Riflessioni al termine di questo breve scritto

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Penso con piacere che anche il convoglio che porta in viaggio, a volte in presenza, troppo spesso a distanza negli ultimi tre anni, il desiderio di viaggiatori dell’inconscio, sia diretto a Cattaro o meglio alle Bocche che si lasciano dire senza sapere cosa, per il piacere dell’incontro con la Psicoanalisi in setting di Psicodramma Analitico, dove il soggetto sa di poter dimenticare.

 

 

Note

[1] A. Tabucchi - I treni che vanno a Madras – p. 107-108
[2] cóntro-. – È la prep. contro, usata come prefisso in molte parole composte nelle quali indica opposizione (contraereo, controsenso), movimento o direzione contraria (contropelo, controvento), reazione, replica, contrapposizione (controffensiva, controquerela, contrordine), controllo, verifica (controprova, contrappello), rinforzo, aggiunta (controcassa, controfodera); con sign. più particolare, affine a quest’ultimo, nei termini di marina controvelaccio, controfiocco, contrammiraglio. Nell’uso, contro- si alterna spesso con contra-, ma a differenza di questo non produce mai il rafforzamento della consonante iniziale (cfr. contropelo e contrappelo).
[3] incontro1 incóntro1 (ant. e poet. incóntra) avv. [lat. tardo incŏntra, comp. della prep. in e cŏntra «contro»]. – 1. Indica direzione di movimento, e più in partic. movimento verso persone che siano [...]: a. Dirimpetto: li Spini aveano il loro palazzo grande i. al suo (Compagni); anche come vero e proprio avv.: ha la sua bottega qui incontro; o, con il sign. di «verso, di fronte a» seguito da avv. di luogo: Siede con le vicine Su la scala a filar la …
[4] incontro1 incóntro1 (ant. e poet. incóntra) avv. [lat. tardo incŏntra, comp. della prep. in e cŏntra «contro»]. – 1. Indica direzione di movimento, e più in partic. movimento verso persone che siano [...]: a. Dirimpetto: li Spini aveano il loro palazzo grande i. al suo (Compagni); anche come vero e proprio avv.: ha la sua bottega qui incontro; o, con il sign. di «verso, di fronte a» seguito da avv. di luogo: Siede con le vicine Su la scala a filar la ...Da https://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/incontro/
[5] Oggi Montenegro.
[6] https://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/incontro/
[7] Che cosa è successo durante questa visita Orvieto e ai dintorni, nel settembre del 1897, perché al suo ritorno Freud consideri che tale viaggio segna l'inizio della sua psicoanalisi, mentre sembrava esservi impegnato molto prima? Che cosa rappresenta questo viaggio perché l'anno successivo, nel settembre 1898, andando da Ragusa le bocche di cattaro, egli dimentichi il nome di questo pittore tanto celebre, Luca Signorelli, autore degli affreschi di Orvieto? Jean Lombardi – Il compagno di viaggio di Freud – Erre emme edizioni – p.18
[8] Psicopatologia della vita quotidiana – Sigmund Freud – Opere – vol. 4 – Bollati Boringhieri p. 58
[9] Jean Lombardi -– Il compagno di viaggio di Freud – 1995 - Erre Emme edizioni - p. 28
[10] Nella polivisione di giugno ci siamo posti la eccezionale condizione di colui che pur sapendo riconoscere il proprio nome non lo può comunicare all’altro per poter essere chiamato.
[11] Idem p. 29
[12] Idem p. 128

Bibliografia

Contatti

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