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Thomas Tsalapatis e il signor Krak di Nicola Basile e Viviana Sebastio

Colloquio sul signor Krak di Nicola Basile

“Non puoi non aver provato ciò che vive Krak!”
“Chi è Krak?”
“E’ un uomo che cammina interrogando la propria ombra.”
“Ma le ombre non parlano.”
“Krak le sa interrogare e far parlare."
"La mia ombra non è molto loquace e la sera se ne va. Come fa Krak a parlare con qualcosa che se va?"
"Krak pone domande alla zona dell’immaginario che nasconde il discorso ma da cui la vita creativa di ciascuno attinge, non solo per scrivere romanzi o poesie ma per poter decidere semplicemente di svegliarsi al mattino. Il signor Krak mentre cammina sulla superficie della terra, sa rispecchiarsi nel suo simmetrico altro, che compie atti dove si dichiarano misfatti, omicidi dove si compiono gesta d’amore. Il signor Krak sa dell’uno come dell’altro ma riesce a trovare un suo equilibrio nella poesia di Thomas Tsalapatis”
“E ora chi è Thomas Tsalapatis?”
“Forse è il sogno del signor Krak”
“Così non potrò incontrare né l’uno, né l’altro. Che me parli a fare?”
“Sei sicuro di voler il suo indirizzo?”
“Certo mi sento incuriosito da tanto mistero.”
“Allora ti invito a leggere "L’alba è un massacro signor Krak" (XY.IT edizioni), anche se il colloquio tra me e te è solo immaginario”

Prefazione di Viviana Sebastio

Thomas Tsalapatis e il signor Krak

Sembrerà strano, ma non sono disperato. Se pensi a quanto è accaduto in Grecia nel ventesimo secolo non puoi disperare. Qui parlano le pietre.
Thomas Tsalapatis

Ho conosciuto Thomas Tsalapatis anni fa, ad Atene a un Festival letterario in cui era ospite. L’anno seguente, nel 2012, la sua raccolta L’alba è un massacro signor Krak (Ekati, 2011) gli fa meritare il primo Premio Nazionale per la Letteratura come autore esordiente.
Classe 1984, Thomas inizia a scrivere per quotidiani e periodici nazionali poco più che ventenne, al contempo compone poesia, con la quale in seguito darà voce a varie pièce teatrali.
La familiarità con la scrittura nasce in casa, dove è circondato dai tantissimi libri del padre, lettore appassionato. E grazie al padre, sin da bambino, Thomas respira letteratura anche nelle frequentazioni. Cresce tra editori, poeti, scrittori, giornalisti, molti dei quali sono accomunati anche dalla passione per la politica.
Thomas Tsalapatis è considerato dalla critica, non solo greca, uno degli autori più rappresentativi e promettenti della sua generazione, caratterizzata da quella interessante e variegata corrente poetica che, come scrive il Guardian, «fiorisce nelle strade, nei bar e nei caffè della Grecia». È una poesia che germoglia e si esprime sotto varie forme, nei murales, nel rap, nel graphic novel, nella nascita di riviste letterarie e di blog, nelle installazioni multimediali che combinano poesia, performance e video, nell’esplorazione di nuove modalità di resa e di espressione del verso.
Thomas appartiene, dunque, a quella generazione che, cresciuta a cavallo di due millenni, è stata identificata prima come la generazione della Playstation e della pigrizia, poi, d’improvviso, come la generazione dello scompiglio, portato dagli scontri e dai disordini del dicembre 2008 a seguito dell’assassinio del 15enne Alexandros Grigoropoulos, per mano di un poliziotto. Oggi si parla di “generazione della crisi”.
E proprio in conseguenza alla crisi economica, con la quale i giovani greci «hanno imparato a rinegoziare le proprie esistenze e a sillabare la creazione del nuovo», si sono riaccesi i riflettori stranieri sulla poesia della piccola nazione. Tsalapatis è stato tradotto e incluso in più di un’antologia dedicata, appunto, a poeti greci del Secondo Millennio . I suoi libri sono stati pubblicati anche in Francia, dove è spesso ospite in Festival letterari.
Con l’arrivo del nuovo Millennio, come accadde nel primo ventennio del secolo precedente, in Grecia si è osservata una nascita prolifica di raccolte antologiche dedicate alle nuove voci poetiche nazionali, a testimonianza della vivacità, dello slancio e del fermento che circola in ambito poetico, insieme a un rinvigorito amore per la poesia.
Pur identificandoli come i Poeti della crisi, o i Poeti del 2000, non possiamo pensare a loro come a una monade, ognuno dei suoi componenti ha, infatti, una propria identità artistica.
E, inoltre, forse gli unici che possano essere attualmente ritenuti una compagine unitaria, sono, a detta dello stesso Tsalapatis, i poeti della Generazione del Trenta – Elytis, Seferis, Ritsos, tanto per citare i nomi più noti in Italia –, perché con la loro poetica hanno edificato una visione “programmatica” della storia, della poesia, della Grecia. Costoro hanno creato una nuova narrazione nazionale ed elaborato il passato in termini nuovi. La loro estetica è tuttora evidente, forse perché non si è ancora scontrata con un’estetica che la superi.
Per contro, i tempi non sono ancora maturi per poter raffigurare un ritratto accurato dell’identità di questa nuova generazione di poeti, che, come sostiene la studiosa Titika Dimitroulia, respinge il Modernismo, in particolare quello facile e formalistico, anche se ne assimila e fa sue, quasi a livello inconscio, le modalità.
Questa nuova generazione è, certo, in parte accomunata da alcuni elementi: la grande attenzione per la lingua, il dialogo con la tradizione poetica nazionale e internazionale, l’esigenza di raggiungere con la poesia il pubblico. Poi, ognuno di loro si esprime attraverso forme e con propositi propri.
C’è chi cerca una poesia più intima, segreta, con lo sguardo rivolto verso l’immortalità, chi articola, invece, un discorso politico e civile, c’è chi versifica in un ritmo sincopato per una poesia che deve lasciarti insonne e chi si esprime attraverso un verso vigoroso, legato ai luoghi e alla Storia.
Thomas Tsalapatis attraversa la Storia con un’ironia che lambisce il sarcasmo. Centellina le parole per raccontare lo sgomento di un’epoca che cambia nella reiterata richiesta del «Grande Balzo in Avanti» e nell’incertezza del vuoto che i ponti del passato, esplosi e crollati, hanno lasciato intorno a noi.
Con la sua scrittura fa lo slalom fra i generi letterari, e «si espone, spingendo all’estremo le sue capacità espressive, regalandoci una poesia che è Arte che non imita l’arte», come afferma lo scrittore e critico Kostas Voùlgaris. Nella sua poesia, dove «il superfluo non esiste, scorre una follia sottocutanea generata dalla solitudine sociale, dalla paranoia (ben nascosta) e dall’estraneazione», nota il poeta Giorgos Markopoulos.
La città del sig. Krak è un mosaico disordinato, dove si compiono massacri silenziosi, una città che potrebbe essere Atene o un altro luogo della nostra Europa.
Sfogliando le pagine di questa raccolta, il lettore-viaggiatore si ritrova a vagabondare in compagnia del protagonista, mentre sente nascere l’esigenza di agire contro l’oscurità, che Tsalapatis percorre con la sua voce poetica generatrice di stupore.
Nel susseguirsi delle pagine, scopriamo un cosmo indefinito, immerso in un presente indefinito, avvolto in un sentimento dell’assurdo che nasce dalla simbiosi tra ironia e narcosi dell’essere umano contemporaneo, quando l’«esterno invade l’interno» e rende ognuno di noi trasparente all’occhio dell’altro.
Anche il sig. Krak è indefinito e si potrebbe ascrivere, come nota il poeta Thodorìs Rakòpoulos, a quella genealogia di personaggi, che si dipana dal protagonista de Il naso di Gogol’, agli eroi anonimi di Kafka.
Come Josef K., anche Krak vive una realtà distopica, permeata di incomunicabilità, angoscia e solitudine. Anche lui non sa o non può rispondere alle domande, è «una statua inattesa», incapace di parlare, di scrollarsi di dosso l’immobilità.
Dal mondo indefinito di Krak a quello reale e denso di Atene, Tsalapatis si conferma poeta dell’infra-ordinario, perché ci interroga su quello che, come affermava Georges Perec, «succede ogni giorno e si ripete ogni giorno, il banale, il quotidiano, l’ordinario, il rumore di fondo, l’abituale». Tsalapatis bracca, stana queste «cose comuni» e le libera «dalle scorie nelle quali restano invischiate», celebrando i brandelli di ricordi svaniti in una memoria che non rammenta più, accogliendo «uomini dal trionfo vano» e «genialità vanificate».
Il poeta greco agisce attraverso una lingua antipoetica, essenziale, scevra da lirismi. Talvolta – volutamente ovvio – aggressiva, rapida, grezza e ripetitiva, quasi a voler generare un krak, una fenditura, nello stato di inquietudine esistenziale, di solitudine ossessiva, di disgregazione sociale che ci circonda.
La sua lingua nasce da un’accurata e tenace sgrossatura del testo, il poeta deve saper «uccidere i passi che ama», sostiene egli stesso, «deve avere la forza di buttar via anche ciò che ritiene buono, perché nella poesia è “il poco” che conduce “al tanto“. Tagliare, perdere, questo ti fa guadagnare, è una dieta necessaria per preparare il tuo stomaco letterario».
E io nel tradurre i suoi versi, me lo figuro in un’immagine di Elytis, «chino su carte e libri senza fondo, scendendo con una corda sottile per notti e notti» .
Thomas Tsalapatis adotta, dunque, una lingua poetica propria, con cui nutre il suo stile surrealista, onirico e simbolico, in cui si mescolano ironia, gioia, malinconia, una combinazione che in un sorriso dolce-amaro lascia filtrare stupore.
Tsalapatis riconosce, certo, il valore della tradizione poetica e l’importanza del legame con la sua eredità prestigiosa, su cui si possono comporre, e lo si sta facendo, nuove modalità e nuove forme espressive. Tuttavia, «se per qualcuno la poesia è Kavafis o Kariotakis e nient’altro – afferma Thomas –, se essi rappresentano la regola inviolabile, allora non ci rendiamo conto che il loro valore nasce proprio dall’aver smontato e cambiato quella che a quei tempi era considerata la norma».
Nei suoi versi Tsalapatis dialoga con la tradizione poetica greca e straniera, la sua è una conversazione celata tra le righe, inglobata nella narrazione, esplicitata, però, in alcune composizioni, come nel caso del visionario rapimento di Jacques Prévert o il fortuito incontro con il principe Amleto in un quartiere della capitale greca.
Il poeta ateniese avverte, è chiaro, la Poesia come viva, quotidiana, è la poesia che ti consente di parlare di cose che altre arti compositive non ti permettono di dire. La puoi leggere a un tuo amico, senza enfasi, come fosse un articolo, basta che «ne elimini le spine/ Poi le parafrasi/ le esplichi/ E le lasci vagabondare». Per questa ragione Tsalapatis vuole abbattere quei cliché che la fanno percepire come oggetto misterioso, come cosa seriosa, nebulosa, destinata a pochi – «Lo sanno tutti/ Alle poesie piace/ Restare lontane dagli uomini» - e praticata da individui maledetti e alcolizzati.
La Quinta Arte, infatti, è talvolta vissuta in modo antiquato, museale, come se la sua lettura ci conducesse in un polveroso «salone decorato da teste di poeti».
Anche per tali ragioni, Thomas Tsalapatis partecipa spesso e volentieri a manifestazioni culturali che offrono l’occasione di avvicinare il pubblico alla poesia e la poesia al pubblico. Un esempio recente è “Una poesia è una città”, iniziativa nata ad Atene, che ha coinvolto Tsalapatis e altri poeti nella lettura di loro versi ai passeggeri sugli autobus di linea.
Abbattere questi stereotipi vuol dire anche poter far conoscere e far leggere poesia a un pubblico più ampio, che non è avvezzo alla lettura in generale, tantomeno a quella poetica. E Thomas Tsalapatis finora è riuscito in questo proposito, anche grazie al suo sguardo poetico che è, mutuando le parole dello scrittore Dimitris Oikonomou, «il contrappeso, la controproposta, il materiale di sogni di cui noi lettori, in questa epoca particolare, abbiamo estremo bisogno».

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