Stanza della caduta

Desiderio del vuoto come nulla o caduta in assenza di vuoto.

R. - Sogno un cornicione e cado, sono caduta. È un sogno di sei mesi fa. Mio padre è morto cadendo da un cornicione.
E. - Dopo il teatro ho fatto un sogno. Ho paura dell'acqua sulla testa perché da bambina mi hanno buttato in acqua quando ancora non sapevo nuotare. Sogno un celeste forte, un ponte di legno. Sto con il gruppo del teatro.
E è caduto S. Poi ho pensato che sarei caduta anche io e con la coscienza di morire ho detto a “uno”: - Occupati di Celeste!
Il sogno non viene drammatizzato in quanto E. comunica all’animatrice di non farcela.

Caso e caduta sono parole appartenenti alla stessa famiglia. La caduta inoltre ci porta alla possibilità di sperimentare il vuoto che ci ha accolti nel momento della separazione dal corpo materno. Uno è il significante del perfetto equilibrio che non è raggiungibile in quanto il soggetto per poter esser chiamato deve porsi come alienato dal nome stesso, eppure senza l’uno non potremmo lavorare sulla dimensione dell’alterità che nutre la nostra stessa vita.
Il gruppo fa da cornice contenitore del quadro della caduta. Se non ci fosse una cornice la caduta porterebbe alla dispersione del soggetto che si disintegra nel nulla. Il nulla è un forte richiamo all’annientamento del soggetto che può abdicare al capitalista che lo inserisce nel reale del godimento. La narrazione del sogno aprono le porte all’interiorizzazione della talking cure che da semplice divertimento o metodo per scoprire il futuro, oniromachia, apre alla dimensione della parola del soggetto che interroga l’altro che gli ha dato nome. Il piccolo gruppo istituzionale fa da cornice al quadro che rimarrà alla visione dell’altro, nonostante l’autore sia ormai passato a diversa vita. È la storia dei pittogrammi che lasciati da anonimi autori migliaia di anni or sono, ci comunicano la speranza dell’uomo di comunicare in assenza e quindi dare vita al simbolo. È quanto accade a questa narratrice quando chiede di trasformare un aggettivo “celeste” in nome proprio. L’aggettivo non vive senza nome e un nome ha necessità di essere definito, tagliato, incorniciato perché viva nel ricordo. È quanto accade alla caduta del nome che diviene celeste, aggettivo e nome insieme che può essere ricordato anche in assenza della narratrice.
Ci si può domandare se la scissione del soggetto trovi post mortem una sua completezza. La narratrice di questo sogno dice che potrebbe essere che l’alienazione del soggetto, pena e felicità dei viventi, è delimitata dall’unicità di coloro che non invecchiano, non crescono, non si ammalano,  non gioiscono, cioè i defunti. Il defunto rappresenta un unicum che può essere solo narrato e rappresentato.
L'antitesi tra l'aggettivo celeste e la caduta è ben posta dall'autrice del sogno. La luna non può che stare in cielo, nel celeste. Se è portata negli inferi, la luna crea scompiglio tra i morti.


(9) La Repubblica on line http://milano.repubblica.it/cronaca/2012/01/06/foto/attenzione_caduta_angeli_lo_strano_cartello_per_strada- 27699079/2/
(10) 2013 - Fratelli Grimm - La luna – Ed. Einaudi - “Un tempo c'era un paese, dove la notte era sempre buia e il cielo si stendeva sulla terra come un drappo nero; perché non sorgeva mai la luna e neppure una stella brillava nelle tenebre. Durante la creazione, al mondo era bastata la luce notturna....”

PIANTA DEL MUSEO DEI SOGNI
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