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“21 marzo per tutti i giorni di tutti gli anni”

“E la guerra non parla” – Polivisione 8 aprile 2022 ”

“Riverberi ”

“Frammenti di famiglia” – contributo di Viviana Sebastio

“Frammenti di famiglia”

“Sul saperne-venir-fuori e saper-entrare”

“Per essere vivi bisogna essere separati…”

————-Rap-present-azioni del-la dis-abilità—-23-ottobre—2021

“E il contratto che stipulo mi chiama alla cura di te”

Polivisione 10-09-21
Polivisione
attraverso il dispositivo dello
psicodramma analitico.
“ Sostenere la tensione del desiderio.”
venerdi 10 settembre ore 19-20,30 incontro “aperto”.
Riprendono gli appuntamenti con la “polivisione” attraverso il dispositivo dello psicodramma analitico.
Prosegue la ricerca del gruppo di lavoro dello studio Nuovi Percorsi che, all’indomani del lockdown del 2020, spostatosi nell’online, ha iniziato ad indagare la dimensione del soggetto e del gruppo nella presenza/assenza del digitale e gli effetti sulla relazione di cura.
Se in primo tempo il tema dominante dei nostri incontri è stato la “dispensa”, come a tratteggiare un bisogno di protezione, ripiegamento ma anche valorizzazione delle proprie risorse interne, l’ultimo anno di lavoro ha visto il nostro gruppo di lavoro confrontarsi con la fiaba, la violenza e la questione della legge. Forse la nostra comunità, che nei mesi ha accolto via via nuovi partecipanti, sta immaginando nuovi miti, nuove forme, nuovi sogni per “pensare” questo nostro contemporaneo così precario, incerto e instabile.
Ci sostiene la tensione del desiderio. Desiderio di incontro, di ricerca, di confronto, di erranza e smarrimento, verso articolazioni inedite e sorprendenti della parola e del discorso e del loro intreccio con la pratica clinica e l’elaborazione teorica, come nutrimento essenziale della relazione di cura.
Sono previsti otto incontri a partire da settembre 2021 fino a giugno 2022. Sei appuntamenti saranno online mentre gli incontri di febbraio e giugno si terranno in presenza, rispettivamente a Roma e sul territorio pugliese.
Come nostra modalità di lavoro alterneremo incontri dedicati a tutte le professioni coinvolte nella relazione di cura (psicologi, psicoterapeuti, terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, neuropsichiatri ecc,) e centrati quindi sulla clinica, a incontri “aperti” a tutti coloro i quali abbiano l’interesse e la curiosità di interrogarsi e interrogarci sui temi che la “cura” pone alla società e al legame sociale.
Primo appuntamento: venerdi 10 settembre ore 19-2030 incontro “aperto”. I successivi appuntamenti online saranno sempre di venerdi ma con orario 20 – 21.30. Per gli appuntamenti in presenza saranno pubblicati nei prossimi mesi aggiornamenti sulle modalità di partecipazione e sulla organizzazione delle giornate.
Calendario prossimi appuntamenti
1 OTTOBRE (incontro clinico) ore 20-21,30
5 NOVEMBRE (incontro aperto) ore 20-21,30
3 DICEMBRE (incontro clinico) ore 20-21,30
5 FEBBRAIO IN PRESENZA (ROMA) sabato ore 9,30-15,30 e 15,00-17,00
11 MARZO (incontro aperto) ore 20-21,30
8 APRILE (incontro clinico) ore 20-21,30
11 GIUGNO IN PRESENZA (PUGLIA) sabato orario da definirsi.
Contatti:
dott. Nicola Basile 3296322722
email nuovipercorsiviaborelli@gmail.com

Polivisione 11 giugno 2021 h 19,00 – 20,30
L’incontro di chiusura della Polivisione prima della pausa estiva porta a riflettere sul percorso fatto insieme e sul desiderio che ci ha mossi nel procedere fin qui.
L’occasione è delle più spiazzanti e impensabili: il nuovo percorso della Polivisione è stato impresso dalla pandemia, costringendoci a un lungo periodo di emergenza che ha sovvertito il modo conosciuto di muoverci nel mondo e di stare con l’altro. Sono entrati nella vita quotidiana il timore del contagio, la dimensione del traumatico, dell’attacco invisibile dall’esterno, facendoci incontrare il perturbante, tema emerso a più riprese e sotto forme diverse nei nostri incontri.
Il concetto di “Perturbante”, introdotto in ambito psicologico per la prima volta dallo psichiatra tedesco Ernst Jentsch nel 1906, è stato sviluppato da Freud nel suo saggio del 1919 dal titolo “Il Perturbante”( “Das Unheimlich”).
A questo concetto Freud aveva già fatto riferimento in una breve nota di “Totem e Tabù” (1912-13, pag.92), parlando del “modo di pensare animistico”. Il significato di tale termine ricade sotto la categoria semantica dello “spaventoso”, del “terrifico”, e tende a coincidere con tutto ciò che ci disgusta, ci offende, ci spaventa, dando così una forma ad un’esperienza emotiva che fa vacillare momentaneamente le nostre certezze acquisite, le nostre consuete categorie di interpretazione del mondo. L’interesse di Freud per quest’area dell’esperienza umana si focalizza in particolare intorno a quelle produzioni artistiche e letterarie che maggiormente fanno leva sull’evocazione del “soprannaturale” e dello spaventoso per coinvolgere il lettore/fruitore e condurlo verso un’esperienza emotiva micro-traumatica nella quale l’affetto principalmente indotto è appunto quello della paura.
Freud riprende la teorizzazione di Jentsch ed estende la lettura del fenomeno in chiave psicoanalitica prendendo anch’egli come esempio di analisi critica il racconto di E T.A. Hoffmann, “Il mago sabbiolino” (1815).
Questo racconto incluso nella raccolta “I notturni”, viene interpretato da Freud come rimando letterario all’angoscia infantile di castrazione, poiché mette in scena il mostruoso personaggio del Mago Sabbiolino, entità maligna capace di cavare gli occhi ai bambini che non vogliono dormire, nonché di darli in pasto ai suoi figli a loro volta esseri mostruosi dotati di becchi curvi.
A partire dall’analisi del racconto di Hoffmann, Freud costruisce una sua teoria del Perturbante riconducendo tale fenomeno emotivo all’azione della rimozione, o per meglio dire del “ritorno del rimosso”.
Attraverso un’accurata indagine filologica della parola “Unheimlich” (Perturbante), che in tedesco significa “non familiare, estraneo, non usuale”, Freud sottolinea tuttavia nel suo opposto, “Heimlich” il significato collaterale di “tenuto nascosto, celato, segreto”, oltre che il significato più consueto di “familiare”o “intimo”.
Se l’”heimlich” è ciò che è familiare ma “tenuto nascosto”- rimosso, l’ ”Unheimilch” è dunque lo svelamento del rimosso, e in ciò stesso risiede la sua natura traumatica, ansiogena e disturbante.
Il Perturbante freudianamente inteso agisce proprio a questo livello, come teoria traumatica, cioè come tentativo dell’Io di creare una “formazione di compromesso”, per “darsi una ragione”, per tollerare l’angoscia che invade i suoi confini, e per tentare di ristabilire la propria omeostasi narcisistica.
Il Perturbante quindi, nell’esperienza estetica, sembra riuscire a condensare questo duplice movimento intrinseco alle parti più primitive della mente del soggetto: da una parte evoca la morte dell’Io mediante una evocata frantumazione dei suoi confini; dall’altra genera significazione, cioè un nuovo confine psichico, attraverso il lavoro della raffigurabilità
emotivo – immaginativa (funzione α). Il valore culturale, “transizionale” (Winnicott, 1971) del Perturbante, sembra cioè consistere in questa sua potenzialità continuamente decostruente e insieme costruttiva di un “confine”, di uno spazio mentale e culturale. Infatti, Il Perturbante si muove sempre sul confine della “rottura del senso”, e di questo confine fa tuttavia il suo luogo d’elezione ed esplorazione.
Ci piacerebbe che l’incontro di venerdì 11 giugno 2021 traesse energia creativa dalla rottura di senso a cui siamo e saremo esposti per indicare alla ricerca psicoanalitica possibili nuove forme del desiderio.
L’incontro si terrà su piattaforma meet.
Per ricevere le credenziali scrivere a: nuovipercorsiviaborelli5@gmail.com
Lasciare un messaggio con numero telefonico alla segreteria del numero 067020310.
L’incontro non è gratis, richiede il proprio lavoro di elaborazione.
Silvia Brunelli e Nicola Basile

INCONTRO CON L’OSSERVAZIONE DIRETTA
L’OSSERVAZIONE DIRETTA
E LA SUA APPLICAZIONE IN CAMPO EDUCATIVO
NELLO STUDIO REALIZZATO A BARCELLONA
organizzato in collaborazione con Studio Multidisciplinare Nuovi Percorsi, via Borelli 5 Roma
28 maggio 2021 h 19 – 20,30, piattaforma meet
Questo incontro presenterà come si è svolta un’esperienza di ricerca in ambito educativo e formativo in cui è stata utilizzata la metodica dell’osservazione diretta. Verrà illustrato ciò ha portato alla definizione di un modello di apprendimento che ha aiutato ad ampliare e modificare lo sguardo dell’adulto sull’infanzia.
Introduce il webinair: Nicola Basile – psicoanalista, membro didatta della SIPsA, che ha collaborato alla costruzione della Metodica dell’Osservazione Diretta.
L’esperienza verrà presentata dall’antropologa dott.ssa Pau Farras Ribas che ha svolto la ricerca.
Seguirà conversazione su esperienze di osservazione in ambiti educativi e formativi-
Per ricevere il link contattare i seguenti recapiti:
mail_nuovipercorsiviaborelli@gmail.com
Nicola Basile – 3296322722

Polivisione
14 maggio 2021
h 19,00 – 20,30
Testo di preparazione al seminario mensile
Lo scorso incontro di Polivisione, svoltosi il 23 aprile 2021, ci ha messo in contatto con un mondo adulto sordo e cieco che espone la bambina ad un trauma senza parole. Il contenuto del trauma, celato dall’inganno e serbato nel segreto, fa cadere nel buco dell’invisibile, l’incomprensibile che si scrive però sulla pelle dell’infanzia femminile e diventa sintomo impossibile da leggere. La bambina, divenuta adulta, cerca le parole che possano essere ascoltate, che producano un suono riconoscibile per trasformare il dolore e l’angoscia in uno spazio di vita.
Di una stanza si dice che è sorda quando le pareti assorbono bene il suono. Ciò che assorbe non permette di sentire? Se qualcosa arriva all’orecchio lo fa perché non ha posti in cui sparire. Il suono è un’energia che non si crea e non si distrugge, può solo cambiare forma. Assorbire vuol dire non sentire. Ma si può ascoltare? Serve un mezzo, come l’aria, perché il suono si mantenga e venga udito ma se questo mezzo manca, il suono si affievolisce fino a scomparire. L’aria è un elemento solo apparentemente vuoto, in realtà è uno spazio che sostiene e non fa cadere la parola, è senza il superfluo, non costringe ma veicola e accoglie.
Il terapeuta è forse un po’ come l’aria: non riempie lo spazio di cose proprie, non forza il paziente a dire ma resta pronto ad ascoltare e accogliere ciò che prende forma di seduta in seduta. Durante l’incontro di Polivisione si è presentificato all’ascolto dei partecipanti un dialogo al femminile nel quale si cerca di articolare parole piene e scongelare emozioni bloccate dall’esposizione ad una oscenità che sporca sia chi la compie sia chi la subisce.
L’etimologia della parola osceno è dubbia ma le due più plausibili ipotesi etimologiche rimanda al verbo latino ob-scaervare (ob + scaervus = sinistro), cioè portare cattivo augurio, oppure al latino ob = a cagione di + coenum = fango, melma, sporco e, in senso lato, senza pudore, disonesto.
Se parlato tra due donne diventa denuncia, rimette distanza tra gli “oscenati” con l’introduzione di un terzo, la legge.
Il poter dare parole all’evento traumatico, permette di smascherarlo e portarlo fuori da sé attraverso il linguaggio; una “scrittura” che si fa esterna al corpo e per questo leggibile, pensabile.Quando le parole, prima di essere tali, sono segni incisi in profondità, masticati, nascosti, mistificati, esperiti senza poter essere compresi, di quale mezzo hanno bisogno per essere ascoltate? C’è bisogno di ordire quel dolore in una trama accettabile per poterne parlare, per dare aria al suono e farlo vibrare limitando l’onda d’urto su di sé. E se in questo incessante lavoro di traduzione, l’assorbimento è tale da non permettere al suono di essere udito? Le pareti assorbenti sono molteplici: quelle di chi parla tra paura, vergogna e senso di colpa, portando nel discorso tutto lo sforzo per essere altro dalla ferita, quelle di chi ascolta con le proprie orecchie e i propri discorsi che si accavallano al resto e poi la stanza, luogo sospeso che custodisce suoni, fantasmi, segni e sintomi. Di quanta aria c’è bisogno perché quattro orecchie, due bocche e due storie possano dare spazio e ascolto a ciò che viene detto o non detto?
Una rivoluzionaria street artist afghana, Shamsia Hassani, rappresenta volti di donna senza bocca e con gli occhi chiusi, per dare voce alle donne che non ne hanno per cultura, religione, politica.
La bambina, ora donna, non ha avuto modo di portare alla luce il suo grido, la sua narrazione perché non c’era qualcuno in grado di ascoltare il suo silenzio e ha iscritto in sé l’esperienza che porta oggi nella stanza di terapia. Esistono lingue diverse in cui ogni comunità si esprime ma il linguaggio può essere universale perché porta con sé un messaggio che può essere compreso oltre le parole. Bisogna, però, portarlo fuori e pulirlo dal fango e dalla malignità dell’oscenità per non identificarsi con esso.
dott.ssa Silvia Brunelli
dott.ssa Milena Ciano
Per partecipare:
recapito telefonico: dott. Nicola Basile 3296322722
mail: nuovipercorsiviaborelli5@gmail.com

Jung e lo Psicodramma junghiano
Il Centro Didattico della SIPsA Aletheia, nell’ambito del proprio programma di divulgazione della psicoanalisi e del dispositivo dello psicodramma analitico, in collaborazione con lo studio multidisciplinare Nuovi Percorsi di via Borelli 5, Roma, sabato 15 maggio, alle ore 10,00 su piattaforma Meet, è lieto di invitarvi all’incontro su “Jung e lo Psicodramma junghiano”.
La dott.ssa Alessandra Corridore, Psicoterapeuta, Psicologa Analista con funzione di docenza CIPA, associato SIPsA, Docente di Psicologia Sociale della Famiglia presso l’Università degli Studi dell’Aquila ci introdurrà alla psicologia analitica e allo psicodramma junghiano, teatro d’immagini, “sacro temenos” in cui si intrecciano narrazioni e si attivano processi creativi della psiche individuale e di gruppo.
La discussione sarà coordinata dal dott. Nicola Basile, didatta SIPsA. In base al numero dei partecipanti si potrà avviare una breve sessione di psicodramma analitico.
Si consiglia lettura:
- CORRIDORE A., Lo psicodramma come teatro di immagini in Quaderni di cultura junghiana, CIPA, n. 2, 2013 https://www.psicologia-analitica-junghiana.it/lo-psicodramma-come-teatro-di-immagini/
- Corridore A., Dallo psicodramma moreniano allo psicodramma junghiano, https://www.psicologia-analitica-junghiana.it/dallo-psicodramma-moreniano-allo-psicodramma-junghiano
- Presentazione del cd didattico Aletheia
Il seminario terminerà alle 12,30.
Per partecipare richiedere il link, lasciando le proprie generalità e numero telefonico ad uno dei seguenti recapiti:
- nuovipercorsiviaborelli5@gmail.com;
- cell. studio Nuovi Percorsi: 3516369902
- cell. Nicola Basile: 3296322722
- tel. fisso Nuovi Percorsi: 067020310 (risponde segreteria automatica)
Cordiali saluti
dott. Nicola Basile
Responsabile Cd Aletheia SIPsA

Introduzione alla Polivisione del 23 aprile 2021 di Nicola Basile
Mi sono chiesto come mai emergano testi di fiabe sia durante il nostro incontrarci sul desiderio della cura, sia nelle rielaborazioni che Giuseppe e il sottoscritto stanno redigendo di volta in volta.
Insieme a ciò mi sono anche domandato quali siano gli elementi di metodo che vanno prendendo corpo tra un incontro e l’altro.
Punto primo.
Mentre andavo raccogliendo idee, rimaste allo stato latente, la memoria ha voluto che riprendessi in mano un vecchio libro, mai letto abbastanza, “Il mondo incantato” di Bruno Bettelheim.
Non ero affatto sicuro di cosa urgesse tra quelle pagine, la lettura e studio risaliva almeno a vent’anni fa.
Tra le pagine trovo mie sottolineature e così leggo quel che io stesso lasciavo in memoria all’altro, affinché il primo lo potesse dimenticare:
“Se speriamo di vivere non semplicemente di momento in momento ma realmente coscienti della nostra esistenza, la necessità più forte e impresa più difficile per noi consistono nel trovare un significato allora nostra vita punto e risaputo come molti abbiano perso la volontà di vivere virgola e abbiano smesso di provarci, presso significato e sfuggito loro. La comprensione del significato della propria vita non viene improvvisamente acquisita a una particolare età , neppure quando la persona raggiunto la maturità cronologica. Al contrario virgola e l’acquisizione di una sicura comprensione di quello che può o dovrebbe essere il significato della propria vita a costituire il raggiungimento della maturità psicologica. E questo conseguimento è il risultato di un lungo processo di sviluppo: ad ogni età noi cerchiamo virgola e dobbiamo essere in grado di trovare una pur modica quantità di significato conforme al modo in cui le nostre menti e il nostro intelletto si sono già sviluppati.”[1]
L’uomo che ha sviluppato una psicoanalisi infantile originale, l’uomo che se ne va perché i fantasmi del passato non gli permettevano di continuare a vivere, è nelle sue righe colui che mi sembra sintetizzare un tratto del percorso che di mese in mese ci accingiamo a percorrere. Attraverso la domanda di cura dell’infanzia, attraverso la narrazione di archetipi poggiati nelle profondità dell’immaginario delle generazioni, cerchiamo di dare voce al sintomo che si nasconde dietro il disagio, in primis il nostro naturalmente. Se siamo qui è perché non si è disponibili a rinchiudere l’incontro con l’infanzia, l’adolescenza, la maturità e sempre più spesso l’età che conclude la vita, al solo attimo della seduta. Quel momento se ben strutturato, si popola di una moltitudine di voci, di segni, appena percepibili. Sarà per questo motivo che da qualche mese circolano narrazione di fiabe popolari che divertendo, alludono ad altro.
“Certo a livello manifesto le fiabe hanno poco da insegnare circa le specifiche condizioni della vita nella moderna società di massa; queste storie furono create molto tempo prima del suo avvento. Ma esse possono essere più istruttive e rivelatrici circa i problemi interiori degli esseri umani e le giuste soluzioni alle loro difficoltà in qualsiasi società, di qualsiasi altro tipo di storia alla portata della comprensione del bambino. Dato che il bambino nel momento della sua vita esposto alla società in cui vive, imparerà senza dubbio a destreggiarsi con le condizioni che le sono proprie, posto che le sue risorse interiori glielo permettano.” [2]
Punto secondo.
Quali siano oggi le condizioni che ci permettono di vivere e come possiamo identificare le strutture emotive e cognitive che possano configurare un domani, se prima era incerto, con la pandemia è impresa titanica.
Per questo ricorriamo al medioevo della nostra civiltà, periodo della vita interiore delle generazioni occidentali, dentro il quale affonda le sue radici l’immaginario dei nostri sogni. Le fiabe non insegnano il come ridare voce al mutismo selettivo, le fiabe non affrontano il nodo della perdita di desiderio di vita che la psicosi depressiva induce in giovani fino a portarli a forme suicidarie, la fiaba non restituisce l’appetito nei corpi emaciati degli anoressici come delle anoressiche, ma la fiaba parla a noi affinché non ci perdiamo al primo tramonto nel bosco.
È evidente a tutti noi come le scelte che andiamo facendo nella lotta quotidiana all’invisibile, ci abbia condotto a cercare nell’immagine del soldato il miglior antidoto possibile alla paura. Gilbert Durand ci direbbe che nel momento in cui l’invisibile ci assedia, il nostro immaginario trova il rimedio nella spada che tagliando l’oscurità, fa luce. Né più né meno ciò che professavano le pubblicità dei detersivi pieni di fosfati degli anni 60 in cui il pulito arrivava attraverso lampi di luce, né più né meno nella ricerca dell’illuminismo di poter raccogliere tutta la cognizione umana in un vocabolario enciclopedico che permettesse all’uomo di trovare le parole quando esse cadevano nell’oscurità.
Tutto ciò è evidente nella storia, ma non è mai la storia a renderci coscienti di ciò che accade, in quanto abbiamo necessità di poter credere e la credenza si poggia sulla rimozione nell’inconscio.
“Nel bambino o nell’adulto, l’inconscio è un potente fattore determinante di comportamento. Quando l’inconscio viene represso e al suo contenuto viene negato l’accesso alla coscienza, alla fine la mente conscia della persona viene in parte sopraffatta da derivati di questi elementi inconsci, oppure costretta a mantenere su di essi un controllo così rigido e coattivo che la sua personalità può risultarne gravemente paralizzata. “[3]
Un giovane uomo, alle prese con un groviglio di cambiamenti, cercava di convincermi che il lavoro che stavamo svolgendo assieme gli avrebbe offerto una corazza di coraggio. Gli ho fatto notare che se lui fosse entrato con una corazza io mi sarei spaventato perché avrei pensato che ci fosse un pericolo da cui si difendeva e da cui mi sarei dovuto difendere anche io.
Si è convinto che non gli serve una corazza ma solo del coraggio.
Punto terzo.
Freud inizia studiando le isterie in quanto esse favorivano la possibilità di dare voce a un femminile che coraggiosamente paralizzava il suo corpo per renderlo solo immaginario e toglierlo così dal godimento della società e immolarlo a un Altro, la cui legge si poteva decriptare attraverso la drammatizzazione della seduta. Non sono il primo e non sarò l’ultimo a riconoscere nella stanza di Freud la costruzione di una messa in scena dell’osceno attraverso il sogno. E nel sogno Emma come Dora può affidare a un altro il lato oscuro della propria sessualità.
Anche noi siamo scriviamo scene, con chi accede alle nostre stanze, scene che permettano la rappresentazione dell’osceno o meglio di ciò che è ob-sceno, come afferma Duez, cioè fuori dalla scena. E torniamo all’invisibile.
“La cultura dominante preferisce fingere, soprattutto quando si tratta di bambini, che il lato oscuro dell’uomo non esista, e professa di credere in un’ottimistica filosofia del miglioramento. La stessa psicanalisi è vista come un sistema per rendere facile la vita: ma non era questo l’intendimento del suo fondatore. La psicanalisi fu creata per consentire all’uomo di accettare la natura problematica della vita senza esserne sconfitti o cercare di evadere dalla realtà. Freud prescrive che soltanto lottando coraggiosamente contro quelle che sembrano difficoltà insuperabili l’uomo può riuscire a trovare un significato la sua esistenza.”
Punto quarto.
Quando la rappresentazione è definitivamente fissata alla pulsione, il meccanismo della rimozione nasconde entrambe al soggetto. “Se la pulsione non fosse ancorata a una rappresentazione o non si manifestasse sotto forma di uno stato affettivo, non potremmo sapere nulla di essa” cito testualmente da Freud.
Sappiamo che la rimozione trasforma la meta della pulsione in sintomo e i sintomi divengono facilmente stili di vita, divise di eserciti inesistenti ma uniti sotto la stessa bandiera, come il trovarsi giovanissimi uniti in bande senza un motivo che possa essere parlato.
Quando proponiamo la ripresentazione del sogno nel gruppo di psicodramma, ritengo sia temporaneamente permesso uno slegamento tra pulsione e meta della pulsione stessa, attraverso il lavoro del transfert. Tale movimento, il cui costo è da manovra economica di stato, fa apparire vuota la cornice dell’emblema per cui il soggetto si è fin lì battuto, da cui è stato battuto ma per cui continua a battersi, sia nel disagio sociale come nei sintomi psichiatrici.
Uso il termine ripresentazione perché il sogno si è presentato solo una volta in forma originale e nel gruppo di psicodramma assistiamo a una messa in scena del racconto del sogno la cui domanda nascosta, la direzione della pulsione o desiderio, spesso è visibile in un primo tempo soltanto ai partecipanti al gruppo e poi al soggetto narrante, prova dell’opera della rimozione.
Dice Lacan nel seminario XI “Ciò che si guarda è ciò che non può vedersi”
Lottare per la propria insegna porta il combattente a non poter vedere ciò per cui lotta con il ripetersi di continue ferite che il combattente si infligge per dare senso alla sua sconfitta. Sto pensando alle vere e proprie torture che gli adolescenti possono infliggersi con caparbietà e vero godimento perverso per un lungo tempo fin quando, il dispositivo analitico, individuale e in gruppo di psicodramma analitico, svuota di significato l’emblema. Quando il dispositivo psicoanalitico rende finalmente osservabile il campo di battaglia, perché lo sguardo non è attratto da quell’unica visione ma è distratto dal transfert con l’analista, è allora che il soggetto può pensare di non dover dedicare tutta la sua anima e il corpo alla divisa, alla bandiera nella quale si riconosceva senza saperlo. In quel momento timidamente volge lo sguardo all’altro. È in quel istante che il vessillo del proprio sintomo si mostra bucato, permettendo al bambino come all’adulto di riconoscersi mancante. E se non sono completo, avrò necessità di accedere ai nomi, ai simboli, alla poesia, al disegno, alla letteratura, all’arte, a passeggiare per sentieri di montagna per trovare nomi per fare di un buco un’asola, un ricamo, una tovaglia a tombolo.
Sono arrivato al punto quinto: riconoscere il desiderio.
Sulla rivista Funzione Gamma, Duez scrive:
“Io riporto ogni partecipante alla propria specificità come potenziale destinatario di questo transfert. Conseguentemente, ciascuno può dare la propria interpretazione di ciò che sta accadendo. Il soggetto narcisistico non solo perde il suo specifico posto ma può sentire e sopportare il diverso legame psichico con ciascuno.” Da una parte questo tipo di transfert attualizza i legami sociali psichici primari, consentendo a queste personalità di esperire l’appoggio con gli altri e sugli altri.”[4]
Chi cercava la propria identità nella ripetizione di un’analisi del sangue nel gruppo ha cominciato a riconoscere il proprio nome come degno di essere chiamato. Chi sta cercando solo sul monitor di un cellulare o sulle pagine di un libro la propria identità, nel gruppo credo possa trovare una via di uscita dell’incubo della anomia.
Per tornare e concludere sulle fiabe, suppongo che davanti all’ignoto stiamo ricorrendo allo strumento di interpretazione dell’inconscio più antico creato dall’uomo, dopo i miti.
Le fiabe ci inducono a prendere il posto dell’eroe come del derelitto, siamo bestie come damigelle, ci aggiriamo per castelli come orridi boschi, in pratica ci possiamo permettere di essere. Come nel transfert tra fratelli e sorelli di un incontro al mese, in cui l’altro non è lì a stabilire cosa abbiamo fatto o avremmo potuto fare, ma sta a indicare a come non riempiere di buon senso la mancanza.
E sono certo di non essere arrivato a una conclusione.
[1] B. Bettelheim – Il mondo incantato – Feltrinelli
[2] Idem p. 11
[3] Idem p. 13
[4] da Funzione Gamma n. 13 B. Duez:
– “Molto spesso io chiedo ai pazienti o partecipanti quale parte di quello che è immaginato, messo in scena o discusso considerano come appartenente a loro stessi. Richiamandomi ai giudizi assegnati, io riporto ogni partecipante alla propria specificità come potenziale destinatario di questo transfert. Conseguentemente, ciascuno può dare la propria interpretazione di ciò che sta accadendo. Il soggetto narcisistico non solo perde il suo specifico posto ma può sentire e sopportare il diverso legame psichico con ciascuno
Da una parte questo tipo di transfert attualizza il legame sociali psichici primari, consentendo a queste personalità di esperire l’appoggio con gli altri e sugli altri. “ p. 11
– Il transfert topico è diretto verso il gruppo interno proprio dello psicoanalista, in quanto parte integrante della scena interna del paziente. È per questa ragione che lo psicoanalista per la maggior parte del tempo non è consapevole di questa meta e viene psichicamente sovrastato dal carico pulsionale. Questo carico è sostenibile esclusivamente se lo psicoanalista può diffrangerlo tra i suoi diversi gruppi interni finché la scena di sfondo, attiva attraverso il transfert topico, diventa sufficientemente sgombra, diffratta, sedimentata e collegata con l’apparato psichico dello psicoanalista. p. 13
– L’oscenalità è una configurazione psichica che deriva dalla prima invariabilità di fronte alla quale si trova il soggetto: io mi riferisco all’invariabilità di ciò che circonda lo psichico collettivo.
– tracce mnestiche dell’iniziale legame psichico di costanza somatica: l’oggettualità (il sistema delle relazioni oggettuali) è la configurazione psichica che risulta dall’altra prima invariabilità: mi riferisco al bisogno della presenza di qualcuno che si prenda sufficientemente cura di noi, per sopravvivere fisicamente e psichicamente e per crescere.
Collegando configurazioni, lo psicodramma rende possibile evidenziare le differenti tendenze esistenti tra queste configurazioni primarie. p. 14

Gerda e Kay….al-meno una madre ci sarà!
Cosa dovrebbe imparare di sé un bambino che legge questa favola così narrata?
Per essere capace di accedere a metafore, metonimie, all’uso dei simboli numerici, il nostro eroe dovrà investire il corpo della madre da pulsioni distruttive, immagini maligne, catastrofici sentimenti di impotenza, scissioni dualistiche in cui non c’è possibilità di riunione tra bello e brutto, buono e cattivo?
Proviamo a discuterne assieme venerdì 19 marzo alle ore 19,00 su piattaforma zoom. Introdurranno i dottori Nicola Basile e Giuseppe Preziosi. Seguirà elaborazione in setting di Psicodramma Analitico.
L’incontro fa parte dei seminari sulla Polivisione della SIPsA, organizzati dai centri didattici Apeiron e CRPA di Roma, in collaborazione con lo studio.
Per ricevere le credenziali scrivere a: nuovipercorsiviaborelli@gmail.com

Incontro di Polivisione del 22 gennaio 2021 h 19,00


Polivisione 11 dicembre 2020
Una voce dalla caverna. Riflessioni per l’incontro di Polivisione del 11 dicembre 2020[1].
di Nicola Basile[2] e Giuseppe Preziosi[3]
Nel pieno della seconda ondata, in un tempo in cui la luce di uscita dal tunnel sembra un timido luccicare in lontananza il gruppo recupera un immaginario da fiaba, di quelle favole classiche che fanno veramente paura, che non hanno le forme solo di principesse ed eroine ma di orchi, inciampi, divoramenti, cuori gelidi, abbandoni. L’immagine inaugurale della nostra riflessione forse può essere quella descritta da Silvia nel suo caso, di un bimbo gettato nel gruppo, senza nessuna mediazione, nessun accompagnamento, come un Pollicino, un Hansel senza Gretel, una Gerda senza Kay, un soldatino di stagno spinto in mare.
Il gruppo si affida alle favole, miti primordiali. Racconti che non eludono la questione della morte, dell’aggressività, della vendetta. A differenza dei videogiochi moderni per esempio, che mi sembra abbiano un diverso tipo di narrazione, che ha a che fare con l’obiettivo, il nemico, il successo e non si muore mai in fondo, si ricomincia sempre finché l’ostacolo non è superato, un diverso tipo di voce accompagna questa narrazione.
La seduta recupera un’altra voce, la possibilità di farne tana, caverna, nascondiglio, contenimento. È “appellarsi” forse a quella parte di corpo più intima che però più si avvicina ad una perdita: la voce sempre perduta appena si manifesta, elemento di alterità ma anche elemento unico, soggettivo, irripetibile. La voce scava una cavità, definisce un luogo, quando siamo all’interno della caverna originaria una voce ci avverte di altro che accade al di fuori, una voce che forse può iniziare a raccontarci come è la vita al di là della caverna. In questo passaggio al digitale, ridotti ad immagini, forse abbiamo più fiducia nelle voci, forse già abituati al telefono da decenni. Attraverso microfoni, cuffie, distorsioni, storture forse crediamo di recuperare qualcosa di autentico, e arcaico, del nostro rapporto con l’Altro nella voce.
Abbiamo interrogativi faticosi: perché, ad esempio, tanti giovani ragazze e ragazzi, detti hijkkimori, decidono di segregarsi nelle loro stanze e abbandonarsi all’incuria del corpo, perdersi nel degrado, come in postmoderne torri di un castello inespugnabile? Quale drago feroce li chiude dentro o tiene fuori gli altri? E noi, siamo immuni a questo fascino? perché poi, in fondo è stato così facile cedere alla nostra libertà e alle nostre vite, e chiuderci nelle nostre tane?
Un messaggio ci arriva da uno di questi rifugi, una voce:
Il mio cielo è in una stanza, tu mi racconti, mi racconti un racconto, che è caduto in un aldilà delle mura della mia stanza. Sono qui dal tempo del piacere senza fine, passando da video, in video. Il mio aldilà si trova in un tempo impreciso e in un luogo molto sicuro, una stanza.
In una stanza sa stare anche tutto il cielo, nella stanza si vive al di là di ogni relazione, al di là dell’odore dell’altro che puzza, al di là dell’altro che occupa lo spazio, immaginando l’altro che potrebbe offrirti una carezza e domani negarla.
Del domani non c’è certezza, non si sa, quindi perché attendere una carezza quando la posso immaginare, la posso addirittura allucinare?
Se la pelle del mio viso è una buona maschera per uno, non ci sarà necessità di te Altro, che potresti tra un istante non esserci più.
Io voto per tutti e per me stesso, non c’è mai conflitto nella mia stanza, Onu dei miei pensieri, che di ogni distinta nazione fa assemblea che deve votare all’unanimità, portando tutte le distinzioni a uno/1, cioè una perfetta totalità, senza incrinature.
La mia assemblea è tra un letto e un monitor, tra una cuffia e un film residente in un server in Alaska.
Sono uscito dalla parzialità di essere chiamato per decidere chi amare. Indosso un’unica maschera, quella che mi hanno assegnato senza che mi dicessero cosa farci. La porto da tempo ma non è mai stata mia, non sono riuscito a modellarla abbastanza affinché potessi riconoscere in lei anche una minima parte della mia manifattura.
Le mie mani non riescono a staccare la maschera dalla mia pelle. Così prendo a prestito quelle maschere liquide che passano tra un sequel e l’altro di una serie infinita di ripetizioni.
Ma quelle maschere, bidimensionali non mi tolgono il senso di pienezza, di noia che avvolge tutto il cielo dentro la mia stanza.
Quotidianamente l’Onu mi invia i pacchi per rifugiati, piovono dal cielo senza che io li richieda, ci pensa l’Altro a soddisfare le mie richieste, non lo chiamo e non mi interroga, non richiedo e lui non chiede in cambio nulla.
L’uno è l’Onu, traslitterazione senza mancanza, e per entrambi sono solo una maschera lascito dell’altro di cui prendersi cura per dare un compito all’istituzione celeste.
Com’è avvincente l’irradiamento di quei di quei raggi bluastri che sanno di sottrazione del femminile, ottenuto per raffreddamenti dai toni caldi. Sono i colori che dominano nel mio cielo, colore che viene dal freddo, colore che io tengo per sottrazione dal femminicidio, dall’autismo. La mia lunghezza d’onda visibile è il colore del cielo, quello che naturalmente posso scorgere dalla mia finestra in led. Il colore blu lo ottengo miscelando e sottraendo il ciano e il magenta[4].
La maschera sotto le radiazioni s’irrigidisce e si trasforma, senza che io possa fare nulla perché non avvenga, in maschera mortuaria dell’eroe che giace tra il pianto dei suoi eredi che hanno chiuso il feretro.
Le radiazioni bluastre tingono il ricordo di freddo mentre intorno al feretro scorrono simboli dell’infanzia, dove il piombo fuso si fa soldatino in guerra, anzi impegnato nella guerriglia, con strane regole d’ingaggio che lo vuole eroe isolato tra isolati sempre sull’attenti.
A pensarci bene dentro il blu di una fiamma ritroverei il massimo di calore ma non posso accedere che a sorgenti fredde di luce.
C’era la mia vita una volta e in quel c’era io ci sono rimasto, immobile, immobilizzato in un arco di tempo che non scocca mai la sua freccia, un arco che non sa di nascita ma solo di continuità eterna, come quella filastrocca in cui “c’era una volta un re, che chiedeva alla sua schiava, raccontami una storia” senza che la storia non vada mai oltre la schiava che racconta di un re, che chiede alla sua schiava di raccontargli una storia.
Hansel, Gretel, il soldatino di piombo, stanno lì pronti a ripetere che la loro storia, dentro la caverna platonica, dentro l’utero materno, dentro e non fuori, si svolga in un video, di cui è stato perso la funzione stop e si riavvolge per riprendere instancabile.
C’erano una volta delle statue di cera fuse nel fuoco che raffreddate, hanno perso l’unità della materia e restano immobili nel museo in attesa di un visitatore, raro al tempo del covid.
C’era una volta uno zoppo soldatino di stagno, zoppo come Andersen, che per ritrovare la sua amata deve fondersi con lei nel fuoco magico donatogli da una fata, altrimenti sarebbe stato per sempre l’uno separato dall’altro.
La fata, forse la terapeuta, forse la terapia, li salva dall’invidia del diavolo giocattolo riunendoli in un’unica fusione amorosa che di loro lascia solo un piccolo emblema, una favola che va raccontata, in cui l’uno non è separato dall’altro.
A cercare l’invidioso diavolo della favola sul web, bisogna stare particolarmente attenti forse per un certo timore. Per fortuna il gioco infantile non teme il diavolo e c’è sempre un deus ex machina nella tragedia.
L’epilogo di Andersen è che ad amare il rischio è proprio quello di essere soldatini in guerra contro lo sguardo del video, video che entra nella stanza, video che fa luce nella caverna calda e accogliente della madre lingua, cavea in cui risuonano echi indistinti, da ripetere al di là del tempo, per non esser più parlati dal taglio paterno. Sempre Anderson ci avvisa che per amare è necessario stare attenti.
Adesso vi racconto un racconto accaduto al di là del tempo, in un video in cui c’era una storia sola, in cui una madre parla alla sua bambina, che sa di esser da lei parlata ma che non può tagliare la narrazione in alcun modo. Al soldatino di piombo è stata tagliata una gamba. Il racconto sa di ossa, ossa dure da separare. E così riprendiamo il 11 dicembre 2020.
Per iscriversi chiamare il 067020310 e lasciare un messaggio in segreteria con i propri dati o inviare mail a nuovipercorsiviaborelli@gmail.com.
[1] Il testo è la rielaborazione dell’incontro di Polivisione del 20/10/2020 organizzato in collaborazione con la SIPsA.
[2] Membro didatta della SIPsA, fondatore dello studio Nuovi Percorsi di Roma, nibasile@libero.it
[3] Membro titolare della SIPsA, facente parte dell’equipe dello studio Nuovi Percorsi di Roma, g.preziosi79@gmail.com.
[4]Nella codifica CMYK (ciano-magenta-giallo-nero), che si basa sulla miscelazione dei colori sottrattiva, il colore blu è rappresentato come il colore ottenuto dall’addizione del ciano e del magenta, ovvero dalla quadrupla (100; 100; 0; 0), dove le componenti del ciano e del magenta presentano il valore massimo (100) mentre i componenti del giallo e del nero presentano valori nulli (0). https://it.wikipedia.org/wiki/Blu

Polivisione 20 novembre 2020
Incontro di “Polivisione”
con il dispositivo dello Psicodramma Analitico”…
affinché la parola della clinica, dell’incontro,
non resti privata del suo pubblico …
per proseguire nella ricerca di ciò che si nasconde.
*20 Novembre 2020* h 19:00 – 20,30
Saremo sempre isole,
isolati dentro isole,
necessario isolamento.
Potete girare attorno
alla isola confine
non varcare.
È un confine che confina,
retaggio di quel confino,
marchio di Resistenza.
Questione che va dall’infanzia
alla terza e oltre età.
Pianto, lugere.
Vorresti riunirti a me?
Polivisione aperta a tutti coloro che hanno partecipato all’incontro del 23 ottobre e a un certo numero di invitati da parte dello studio. Il lavoro verterà sullo scandagliare cosa fa emergere in ciascun partecipante, prima di tutto soggetto desiderante in relazione con la società, la rielaborazione del caso clinico a cura delle dott.sse Silvia Brunelli e Silvia Salerno. Condurrà il gruppo prima in setting di discussione del caso e poi in setting di gruppo di psicodramma analitico, il dott. Giuseppe Preziosi.
Osserverà il dott. Nicola Basile.
Le iscrizioni necessarie per ricevere il topic di accesso, si possono fare inviando una mail a:
• nuovipercorsiviaborelli@gmail.com;
• lasciando un messaggio con nome, cognome e numero telefonico alla segreteria dello studio: tel. 067020310.
La partecipazione agli incontri non è gratuita: è richiesto il desiderio di mettersi in gioco e dare il proprio apporto culturale e professionale.
L’illustrazione: “L’isola dei giocattoli” di A. Savinio

Riprendiamo gli incontri di “Polivisione” 2020 – 2021
Riprendiamo gli incontri di “Polivisione” con il dispositivo dello Psicodramma Analitico”… affinché la parola della clinica, dell’incontro, non resti privata del suo pubblico … per proseguire nella ricerca di ciò che si nasconde. (1)
Premessa
In questi ultimi mesi il nostro desiderio ha investito energie preziose e vitali per contrastare la pulsione di morte manifestatasi in modo esemplare attraverso la pandemia.
Il nostro compito, come quello che con entusiasmo portò alla scoperta della psicoanalisi di gruppo con Wilfred R. Bion (2), o che fece fare passi da giganti a Sandor Ferenczi (3) sulla pulsione di morte, non è quello di sostituire magicamente la psicoanalisi alla ricerca febbrile della medicina, alla corsa degli Stati per trovare leggi economiche che non calpestino la vita e che convivano con la democrazia, ma quello di rimodulare il conflitto che fa negare il limite, la negazione della morte, affinché la vita, la pulsione di vita possa affermare il suo carattere creativo.
Allo scopo di rendere visibile a un pubblico (4) accomunato dal piacere della psicoanalisi il vasto materiale prodotto nelle sessioni di polivisione, durante i mesi di lockdown, il gruppo di lavoro dello Studio Nuovi Percorsi di Roma, con sede in via A. Borelli 5, è all’opera per renderne possibile una lettura web. L’impegno editoriale è stato affidato al dott. Nicola Basile e alla nostra amica dott.ssa Viviana Sebastio (5). I curatori della pubblicazione si sono dati un tempo breve, dicembre 2020. I nostri auguri per il loro impegno.
Riprendiamo a partire da ottobre, il progetto di “Polivisione” della clinica, in stretta collaborazione con La Società Italiana Psicodramma Analitico (6) affinché la clinica sull’infanzia e l’adolescenza, arrechi pensiero alle attività umane che offrono crescita al soggetto uomo in sintonia con l’ambiente.
Calendario dei prossimi incontri in setting a distanza su piattaforma zoom
*23 Ottobre 2020* h 19:00
Polivisione per psicologi, psicoterapeuti, Terapisti della Neuro Psicomotricità dell’Età Evolutiva, logoterapisti, educatori di comunità, docenti.
Presenterà il caso clinico la dott.ssa Silvia Salerno.
Condurrà il gruppo prima in setting di discussione del caso e poi in setting di gruppo di psicodramma analitico, il dott. Nicola Basile. Osserverà il dott. Giuseppe Preziosi.
*20 Novembre 2020* h 19:00
Polivisione aperta a tutti coloro che hanno partecipato all’incontro del 23 ottobre e a un certo numero di invitati da parte dello studio. Il lavoro verterà sullo scandagliare cosa fa emergere in ciascun partecipante, prima di tutto soggetto desiderante in relazione con la società, la rielaborazione del caso clinico a cura delle dott.sse Silvia Brunelli e Silvia Salerno. Condurrà il gruppo prima in setting di discussione del caso e poi in setting di gruppo di psicodramma analitico, il dott. Nicola Basile. Osserverà il dott. Giuseppe Preziosi.
*11 Dicembre 2020* h 19:00
Polivisione per psicologi, psicoterapeuti, TNPEE, logoterapisti, educatori di comunità, docenti e a coloro degli invitati che siano interessati al pensiero psicoanalitico. Il dott. Giuseppe Preziosi e il dott. Nicola Basile presenteranno una rielaborazione clinica dei precedenti incontri, individuando alcuni nodi della teoria psicoanalitica che il lavoro ha fatto emergere. Condurrà il gruppo, prima in setting di discussione del caso e poi in setting di gruppo di psicodramma analitico, la dott.ssa Silvia Brunelli. Osserverà il dott. Nicola Basile.
Le iscrizioni necessarie per ricevere il topic di accesso, si possono fare inviando una mail a:
• nuovipercorsiviaborelli@gmail.com
• lasciando un messaggio con nome, cognome e numero telefonico alla segreteria dello studio: tel. 067020310.
La partecipazione agli incontri non è gratuita: è richiesto il desiderio di mettersi in gioco e dare il proprio apporto culturale e professionale.
Note
[1] Testo elaborato da N. Basile con l’editing di Viviana Sebastio su proposta del gruppo di lavoro sulla Polivisione dello Studio Nuovi Percorsi di via A. Borelli 5, Roma
[2] W. R. Bion – Esperienze nei gruppi – Armando editore
[3] https://www.spiweb.it/spipedia/ferenczi-miskolc-sandor/
[4] S. Gaudé – Sulla rappresentazione. Narrazione e gioco nello Psicodramma – Alpes Italia
[5] https://www.linkedin.com/in/vivianasebastiotraduzioni/
[6] https://sipsapsicodramma.org/

CHI CI RAPPRESENTA È ANDATO ALTROVE

“Conserve” di Giuseppe Preziosi. Non presentazione di un libro in quattro puntate.

Polivisione del 16 giugno 2020

TIPITIPIRÙ ASCOLTARE I POETI PER NARRARE AI BAMBINI

COME PASSA IL TEMPO…
L’ acquisizione del senso del tempo nei bambini è un percorso lento, complesso, articolato, che si costituisce a piccole tappe.
Già nel periodo prescolare molte attività che vengono proposte sono finalizzate alla conoscenza dei concetti di “tempo” per le molteplici valenze che questo argomento assume nella vita di ogni persona a partire dai primi anni di vita.
Per i bambini apprendere i concetti astratti non è affatto semplice, difatti per imparare la suddivisione del tempo nelle tre dimensioni, è fondamentale che si padroneggi prioritariamente il concetto di tempo, inteso come una variabile che denota le esperienze.
In merito allo sviluppo linguistico dei concetti temporali si può, a grandi linee, individuare una evoluzione progressiva che va da una fase in cui il parlare si situa nel qui ed ora (12-18 mesi) fino ad arrivare ad una padronanza linguistica del concetto di tempo (36-52 mesi), che si palesa con l’utilizzo del verbo al tempo adeguato (ad es. il bambino si serve del passato prossimo per connotare le azioni fatte il giorno precedente)
Queste abilità per essere stabilizzate e divenire cognitivamente fruibili dal bambino hanno bisogno di un periodo di tempo lungo; per cui il Tempo, inteso come operazione mentale, viene acquisito pienamente nel corso del periodo che Piaget definisce delle operazioni concrete, che va dai 7 – 8 anni fino agli 11 – 12 anni. In questo stadio, i bambini apprendono pienamente la cognizione del tempo e sono in grado di concettualizzare, mediante operazioni mentali, le peculiarità del passato, presente e futuro.
Il processo di acquisizione degli stadi temporali necessita quindi di un’evoluzione di costrutti mentali e linguistici specifici che noi adulti non possiamo in nessun modo accellerare ma al contrario possiamo sostenere e favorire.
Alla luce di questo, garantire ai nostri bambini una routine stabile permette loro di interiorizzare lo schema della giornata o dell’attività che si sta svolgendo, dandogli la possibilità di fare delle previsioni rispetto a quello che accadrà (il futuro), di ridurre l’ansia dell’ignoto (poiché l’ambiente è rassicurante e contenitivo) e di sperimentare l’attesa per soddisfare i propri bisogni (il bambino sa che il suo desiderio verrà appagato).
Le abitudini quindi, essendo ripetitive, prevedibili ed intellegibili permettono al bambino di acquisire la sicurezza necessaria per imparare a muoversi autonomamente.
In questo periodo storico particolare, in cui ci viene richiesto di rimanere in casa e stravolgere le nostre routine giornaliere ci rendiamo conto che i bambini, forse più che noi adulti, ne risentono negativamente. L’impossibilità di andare a scuola (seppur spesso vista come impegno noioso), di poter frequentare lo sport abituale, di recarsi nel parco di quartiere rendono i piccoli nervosi ed irrequieti. Ci rivolgono spesso domande riguardo il giorno successivo, chiedono quando potranno di nuovo incontrare gli amici e così via. Le nostre risposte astratte (dobbiamo aspettare ancora un po’, vedremo tra qualche giorno se la situazione cambierà, lo capiremo più avanti) non aiutano i bambini a rassicurarsi anzi a volte li mettono ancora di più in uno stato di incertezza.
Quello che vogliamo condividere con voi è la possibilità di costruire in modo casalingo un calendario temporale. Pensiamo sia un modo divertente ed utile per poter trascorrere qualche ora con i vostri bambini, allenando la motricità fine e dando vita ad uno strumento utile a sostenere i nostri bambini in questi giorni difficili.
Ognuno è libero di creare un calendario personalizzato a seconda dei propri interessi e delle proprie specificità, dando libero sfogo alla fantasia.
Inseriamo qui in basso, se volete, alcune informazioni da cui prendere spunto e se ne avete piacere, a lavoro ultimato, potrete pubblicare una foto sulla pagina facebook dello studio (https://www.facebook.com/studioviaborelli/)
http://www.coccolesonore.it/lavoretti/calendario-routine-bambini_carta_tutorial/
Dott.ssa Francesca Piccari

Contagio dove si trova per te?
In questi giorni il gruppo di lavoro che fa vivere lo studio Nuovi Percorsi, in collaborazione con la SIPsA, sta preparando un incontro per condividere le domande e il sapere sul sostantivo “Contagio”.
Si è scelto di non far precedere il sostantivo da alcun articolo per rendere più potente il suo potere evocativo e per poterlo cogliere sul fatto.
Il sostantivo senza articoli fa rotta verso epoche storiche diverse, qui penetra nelle vite degli uomini e donne come una maledizione divina, là si fa religione dell’altro che corrompe la società conosciuta, trova albergo nel capitolo XXXIV di quei Sposi Promessi del Manzoni
“in quanto alla maniera di penetrare in città, Renzo aveva sentito, così all’ingrosso, che c’eran ordini severissimi di non lasciar entrar nessuno, senza bulletta di sanità; ma che in vece ci s’entrava benissimo, chi appena sapesse un po’ aiutarsi e cogliere il momento. Era infatti così; e lasciando anche da parte le cause generali, per cui in que’ tempi ogni ordine era poco eseguito; lasciando da parte le speciali, che rendevano così malagevole la]rigorosa esecuzione di questo; Milano si trovava ormai in tale stato, da non veder cosa giovasse guardarlo, e da cosa; e chiunque ci venisse, poteva parer piuttosto noncurante della propria salute, che pericoloso a quella de’ cittadini;
Contagio non disdegna la Cina del XXI secolo e le grandi navi da crociera che devono fermarsi e dare ospitalità e segregazione ai loro passeggeri detenuti, come si è trovato a suo agio nel maccartismo alla ricerca dell’intellettuale da bruciare o nelle leggi razziali italiane del 1938, atte a isolare il dilagare del sionismo tra le pure razze italiche.
Tuttavia contagio sa anche di festa, di moti popolari di liberazione, di idee libertarie che non trovano ostacoli per affermarsi, di arte che scrive sui palazzi per diffondere spore di nuovi segni che offrono respiro al sogno.
In estrema sintesi la domanda è quella del titolo di questo breve post: “Contagio dove si trova per te?”
L’incontro si terrà il 21/02/2020 a via A. Borelli, 5 Roma.
Per partecipare inviare un messaggio, whatsapp o sms, al numero 3296322722 o mail a nuovipercorsiviaborelli@gmail.com o lasciare un messaggio in segreteria con nominativo e numero a cui essere richiamati al 067020310.

Non presentazione presso la libreria “L’Altracittà” 24 gennaio 2020 alle 19

Thomas Tsalapatis e il signor Krak di Nicola Basile e Viviana Sebastio

INCONTRO DI “POLIVISIONE” 3 MAGGIO 2019 h 19,00 – 20,30

Per (il) corpo di Giuseppe Preziosi
Il corpo moderno non potrebbe essere una meravigliosa stanza delle meraviglie, una galleria di stupefacenti trovate che vanno dalla ricerca di forme esasperate fino alla brutalità del maltrattamento?
Giuseppe Preziosi ci dice che in questo momento storico sarebbe utile pensare il corpo come una camera delle meraviglie, partendo proprio dalle “wunderkammer” degli inizi del ‘800.
Con leggerezza Preziosi scrive su un tema difficilissimo da svolgere, collaborando, insieme ad altri psicoanalisti, ad arricchire le pagine di Lacan-con-Freud.it. che desideriamo vengano lette. Congratulazioni a Preziosi e ai curatori del sito!

Riflessioni e proposte per l’incontro di polivisione del 19 gennaio 2018 di Nicola Basile
Il 14 dicembre 2017 abbiamo deciso di approfondire il testo “Monologo per l’altro” per non lasciare in sospeso alcuni nodi clinici e teorici che non avevamo avuto il tempo di far emergere a novembre.
Li riporto in modo sintetico:
- Chi parla durante le presentazioni cliniche? Il soggetto di cui ascoltiamo la domanda è il minore o chi è chiamato a svolgere un compito terapeutico o riabilitativo o di relazione di cura, quindi l’adulto?
- C’è uno stretto rapporto tra poesia e matematica. Viene considerato nel trattamento dei disturbi quali la discalculia?
- Quando ci interessiamo alle sorti del minore non stiamo forse volgendo l’attenzione a una sorta di sociologia del futuro in cui spesso i padri sono evanescenti? E’ necessario trovare un nuovo ancoraggio del lavoro al compito di chi interviene.
- Nel lavoro di polivisione qual è il confine tra il ruolo del professionista e la sua soggettività? E qual è il limite oltre il quale non si deve andare durante la discussione del caso clinico?
- Il “taglio” che viene dato dall’animatore al il gioco di ruolo si pone dalla parte della formazione di chi presenta la clinica o è orientato a far emergere la domanda di cura?
Il 19 gennaio 2018 alle ore 18,10 riprendiamo la serie di incontri di polivisione.
- Note
La fotografia è tratta da: “Tant que la tête est sur le coup” (1978) Conception, mise en scène et interprétation de Claire HEGGEN et Yves MARC, Théâtre du Mouvement. Festival Mimes et Clowns, 1980. Photographe : Fastome management. Archives TJP, Strasbourg.” e pubblicata su Pinterest al seguente url: https://it.pinterest.com/pin/608830443348952504/

Appunti e riflessioni dall’incontro di polivisione di novembre 2017

CHI E’ IL TERAPISTA DELLA NEURO E PSICOMOTRICITA’ DELL’ETA’ EVOLUTIVA?

Lo psicodramma in istituzione

SUPERVISIONE o POLIVISIONE?

Appunti per l’incontro di polivisione del 7 luglio 2017
“Ora questo bravo bambino aveva l’abitudine — che talvolta disturbava le persone che lo circondavano di scaraventare lontano da sé in un angolo della stanza, sotto un letto o altrove, tutti i piccoli oggetti di cui riusciva a impadronirsi, tal ché cercare i suoi giocattoli e raccoglierli era talvolta un’impresa tutt’altro che facile. Nel fare questo emetteva un “o-o-o” forte e prolungato, accompagnato da un’espressione di interesse e soddisfazione; secondo il giudizio della madre, con il quale concordo, questo suono non era un’interiezione, ma significava “fort” [“via”]. Finalmente mi accorsi che questo era un giuoco, e che il bambino usava tutti i suoi giocattoli solo per giocare a “gettarli via”. (1)
Il testo di Sigmund Freud è stato presente durante tutta la sessione di lavoro del 23 maggio 2017 che segue quella già commentata del 28 aprile 2017 (2) . L’incontro di aprile si era svolto utilizzando le conoscenze e i modelli interpretativi della neuropsichiatria infantile, in un setting seminariale, centrato sulla fondazione di un gruppo di bambini e bambine con diagnosi di autismo ad alto funzionamento. (3).
Durante quel incontro era emersa la necessità di presentificare il gioco dei bambini affinché gli adulti ne sentissero gli aspetti creativi e quelli involutivi acora nascosti sotto il potere della rimozione.
Era apparso anche evidente che da quel gioco gli adulti sono esclusi per necessità, come nonno Freud che si fa osservatore partecipante ma astinente al “gioco” del nipote. Con la scrittura e la teorizzazione Freud si appropria del “gioco” osservato e lo trasforma nella psicoanalisi, indirizzando così il desiderio infantile di ricongiungimento con il corpo materno verso un orizzonte creativo.
Gli educatori, gli psicoterapeuti, gli educatori, i neuropsichiatri, i terapisti della neuro e psicomotricità, le insegnanti che il 23 maggio 2017 si sono incontrati nello studio Nuovi Percorsi di via Borelli 5 a Roma, sapevano che avrebbero ripercorso un tratto di strada che ciascuno aveva già percorso, sia nell’esperienza della sessione precedente, sia attraverso la propria e originale esperienza di separazione dal corpo materno, di cui ciascuno è originale testimone. Al fine di offrire opportunità espressive alla ricchezza simbolica che il lavoro in setting seminariale aveva suscitato, abbiamo ritenuto necessario quindi riunirci in un piccolo gruppo, secondo le regole del dispositivo dello psicodramma analitico, disposti a mettere in gioco la clinica del desiderio.
Mentre la dott.ssa Martina Balbo, psicoterapeuta, narrava alcune scene del gruppo di bambini e bambine che condivide con le professioniste del centro, scene che in parte avevamo già ascoltato, le parole assumevano altri colori, anzi hanno preso la dimensione della luce e del buio, antitesi che permettono la vita. Il silenzio fa da contenitore alla narrazione di Martina che si riempie di buio e della luce che lo interrompe, come di un buio che combatte la distinzione portata dalla luce stessa.
La fusione e la differenziazione è garantita da due logoterapiste, garanti della relazione di cura che, secondo il racconto di Martina, non sono sufficienti. Così proprio in lei, attraverso la sua presenza astinente, si palesa il terzo garante dell’alternanza del buio con la luce. Martina si rappresenta, e viene anche rappresentata, nel gioco psicodrammatico, come garante che il gioco fusionale, di incontro e scontro di corpi nel buio, abbia un limite.
Il limite permette l’andata e il ritorno, dalla non vita alla vita del gruppo di adulti e bambini e bambine. Nel gioco garantito dall’animatore del gruppo di psicodramma si sperimenta l’assenza del taglio, della vista, quando il buio rende l’uno e l’altro non distinguibili, come la frustrazione della luce che fende il buio, rendendo l’altro irraggiungibile in quanto distinto.
Il meccanismo teatrale è semplice: si accendono e spengono le luci della stanza e ci si protegge per il viaggio con un telo, sotto il quale l’altro non è più separato, in quanto il telo placenta riporta nell’unione con il materno. Nella rappresentazione degli adulti gli oggetti erano simbolici. Read more

Appunti per l’incontro di polivisione del 23 maggio 2017 alle ore 19,00
Inizio dalle righe che Giuseppe Preziosi ha letto al termine del suo lavoro di osservazione per raccontare l’incontro di polivisione del 28 aprile 2017 che sa di favola ma non lo è.
La zanzara che viene dalla periferia, inquieta cerca una strada alla conoscenza del contatto ma uno straniero, non sapendo come dirlo, per attirare la sua attenzione spacca il ponte. ” Non mi è mai capitato!” dice Fra e saluta disinibito “Devi essere gentile” aggiunge. Il gigante, che non manca mai, resta fermo per non far male a nessuno, giusto uno ” scusa”. ” Dite sempre le stesse cose” urla il drago, tentando di uscire dall’istantanea e provare a prender voce attraverso la drammatizzazione.
Un gruppo di adulti decide un giorno che se è in grado di costruire delle relazioni sociali indirizzate alla crescita di ogni componente, può ospitare un altro gruppo che conta sugli adulti per crescere con loro. Questo è solo l’incipit di una storia che comincia a essere scritta e di cui siamo lieti di essere anche noi dei testimoni.
Venerdì 28 aprile 2017 il seminario sulla polivisione di casi clinici dell’età evolutiva è stato pienamente chiamato a testimoniare degli avvenimenti di cui sopra.Qualche riga per descrivere, solo provvisoriamente e solo in modo approssimativo, che abbiamo ascoltato una comunicazione, piena di emozione, sulla fondazione di un gruppo di bambini e bambine con diagnosi di autismo ad alto funzionamento. La fondazione la si deve a psicologhe, a terapiste della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva (TNPEE), logoterapiste che vedendo esaurirsi le opportunità offerte dalle terapie individuali, ben riuscite, va detto, ideano e realizzano uno spazio sociale e di cura per i loro assistiti. Sappiamo che la tradizione di questa metodica ha un luogo di nascita: Neuropsichiatria infantile di via dei Sabelli. A questa meravigliosa istituzione si deve anche lo sforzo di teorizzazione che ad oggi appare ancora incompleto come incompleto è il quadro normativo di riferimento per quanto concerne il rapporto di convenzione pubblico, privato sui costi della terapia riabilitativa in gruppo.
Come si intravvede da queste righe l’impresa è e sarà, nel futuro prossimo, gigantesca.
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Adolescenti e Comunità Terapeutiche a cura di C. Bencivenga e A. Uselli – ed. Alpes
Ho avuto il piacere di condividere un’esperienza di CTU con il curatore e autore di molte parti del libro di cui proporrò solo una breve presentazione. L’autore è psicologo, psicoterapeuta, docente di Psicologia dei Gruppi e delle famiglie c/o l’Università degli Studi di Parma, promotore nel Lazio della prima Struttura terapeutica estensiva e a carattere comunitario per minori adolescenti, in due parole Claudio Bencivenga. Nel libro come nel nostro incontro professionale Bencivenga cerca di far emergere in quali contesti si possa dare voce all’infans, a ciò che per statuto è silenzio, mancanza di parola. L’autore e curatore del libro, si sforza di costruire e utilizzare spazi mentali e istituzionali che si determinano, nel dare regola al conflitto tra due genitori, anche attraverso il verdetto di un giudice, per offrire un contenitore di pensiero a coloro che altrimenti non l’avrebbero, i minori. Parlando di Claudio Bencivenga sto anche descrivendo il progetto del libro “Adolescenti e Comunità Terapeutiche”, edito da Alpes, curato assieme a Alessandro Uselli, psicoterapeuta, specialista in psicologia clinica.
Il titolo del libro è seguito da un sottotitolo assai impegnativo, “tra trasformazioni e nuove forme di malessere” .
Gli autori dei testi sono stati coordinati dai curatori affinché il lettore fosse posto in condizione di ridefinire il sintomo come ciò che nasconde la parola ma ne lascia tracce e come esso possa venire tradotto in un progetto educativo e riabilitativo per adolescenti.
Nel libro troviamo un’ampia panoramica teorica e clinica su come costruire un vero e proprio spazio, fisico, culturale, pedagogico e psicoterapeutico da offrire al minore schiacciato nella contesa tra essere soggetto e paria del desiderio dell’altro. “La Comunità terapeutica per adolescenti è una struttura (…) che per raggiungere le sue finalità si avvale di un trattamento complesso multifattoriale e multidisciplinare di tipo evolutivo/trasformativo” scrive Bencivenga “ E’ necessario che in questo tipologia di struttura venga svolto un costante lavoro di ponte e collegamento con altri contesti, non solo di cura, ma anche di vita dell’utente”.
Il progetto quindi è vastissimo ma gli autori ne delineano con cura e perizia sia i contenuti teorici che quelli normativi. Condivido con Bencivenga le righe che ritrovo in un capitolo centrale del libro, consigliando a tutti coloro che sono impegnati nel lavoro con gli adolescenti la lettura di questa bella opera.
“Crediamo di aver illustrato come il rapporto quotidiano con i pazienti, il vivere assieme condividendo esperienze impensabili per un setting classico, sia un fattore indispensabile nel lavoro di Comunità: del resto ciò è inevitabile se ci si approccia alla cura del paziente “grave” partendo dal presupposto che la residenzialità, così come la si è intesa, è uno strumento di terapia e di trattamento elettivo per questa frangia di utenti”. (1)
(1) Claudio Bencivenga – Residenzialità comunitaria, parafamiliarità e terapeuticità – p.40

Appunti per l’incontro di polivisione del 28 aprile 2017
“Desiderio di essere e di perseverare in un futuro”
Nello sviluppo del bambino assistiamo costantemente a trasformazioni che impongono una nuova definizione tra ciò che era prima e ciò che è, in attesa di ciò che sarà. Il corpo che si trasforma e cresce impone queste tre dimensioni, sincroniche che altro non sono che le relazioni simboliche tra il bambino e l’immagine che di se stesso si va formando attraverso la parola di chi lo ha desiderato, la madre e il padre. Il corpo del bambino si esprime attraverso bisogni che l’altro deve poter soddisfare, bisogni primari e affettivi ma anche attraverso la definizione di desideri che fanno di lui un soggetto.
Ci dice F. Dolto, che l’immagine del corpo infantile “si struttura in un rapporto di linguaggio con gli altri. Inizialmente e fondamentalmente con la madre o la figura che la sostituisce.” (1) Tale immagine non può che essere molteplice: strutturale, genetica e relazionale. La percezione narcisistica permette di integrare i frammenti del corpo in un’unità che fa riferimento a un corpo che riposa, a un corpo che respira, a un corpo che desidera di vivere strutture della immagine corporea che è dalla nascita e che si trasforma con la crescita. Durante le trasformazioni parti del corpo saranno scelte come rappresentanti dei processi legati al piacere-dispiacere e alle diverse fluttuazioni dinamiche di tali processi. Così dalla dimensione statica si passa a una rappresentazione del corpo dinamica dove la tensione si contrappone alla quiete favorendo il passaggio all’investimento erogeno di parti del corpo.
“L’immagine dinamica collega le tre precedenti e corrisponde al desiderio di essere e di perseverare in un futuro”(2) La Dolto afferma che “un’immagine del corpo sana può coabitare in uno schema corporeo malato. Dipende da come si parla alla persona con handicap”(3).
Nel lavoro di polivisione svoltosi c/o lo Studio Nuovi Percorsi tra insegnanti, psicoterapeuti, neuropsichiatri dell’età evolutiva e terapisti della neuro e psicomotricità, il 31 marzo 2017, nella sede di via Borelli 5 a Roma, è stato interrogato il lavoro clinico che un corpo infantile, uscito da una malattia genetica, pone alla medicina come alla psicoterapia. Read more

Appunti per l’incontro di polivisione del 31/03/2017

Appunti per l’incontro di supervisione del 17 febbraio 2017
E’ supposto che qualcuno sappia,
in questo caso il soggetto in gruppo,
lo domanda,
a ciascun partecipante all’incontro
che si fa contenitore di bisogni
e non urna e lapide
del sapere ogni volta diverso.
E’ un semplice augurio affidato alla parola, affinché essa trovi un suo contenitore temporaneo anche su queste pagine, come nel prossimo incontro di venerdì 17 febbraio e in tutti gli incontri, in gruppo e individuali.
Si ringrazia l’artista Alessandro Broccoletti per la gentile concessione visibile al seguente indirizzo: http://www.iskandart.it/

Piccole note sulla clinica nello psicodramma analitico
di Giuseppe Preziosi
Questo scritto nasce dall’ incontro tra la mia pratica clinica con lo psicodramma analitico e la lettura del testo “Mi vedevo riflessa nel suo specchio” di Luisella Brusa; non credo possa essere definito una recensione, né articolo, tuttalpiù come delle note che illustrano dell’ intrecciarsi fecondo tra la clinica, lo studio e la riflessione teorica per generare pensiero e riflessione.
Il punto di partenza del testo di Luisella Brusa è una domanda: quale posto occupa, nella costruzione di un soggetto femminile, la passione che divide e lega una donna con la madre?
Il mio pensiero va alla forza e alla graniticità delle lamentazioni di una paziente che incontro nel gruppo di psicodramma analitico.
Seconda dopo un fratello, Margherita è figlia, nei suoi racconti, di una donna gelida e severa, silenziosa e giudicante e di un padre estroso, dinamico ma distante, tutto chiuso nella sua attività di venditore ambulante e nelle scommesse sulle corse dei cavalli. Margherita ha passato molta della sua infanzia insieme al padre all’ippodromo o ad osservarlo mentre affabulava, spesso truffava, i suoi clienti. Di questi momenti ricorda il sorriso di lui, trionfante di condivisione e complicità con la figlia. Read more

“Il romanzo familiare” di Nicola Basile e Giuseppe Preziosi
N.Basile e G.Preziosi propongono nel nuovo numero dei Quaderni di Psicodramma Analitico una comune riflessione sul delicato tema del “Romanzo familiare” e di come si articoli il narrativo, cosciente e incosciente, di donne e bambini all’interno di un viaggio che teso a scoprire il loro volto e quello di coloro a cui hanno dato vita.
I due autori si orientano, nella comune esperienza, utilizzando gli strumenti dell’antropologia dell’immaginario di Gilbert Durand e i concetti della psicoanalisi Freudiana che proprio sul romanzo familiare ha scritto forse le più belle pagine della sua inesausta ricerca.
Questo scritto nasce con l’intento di delineare il profilo di una istituzione, una casa famiglia per ragazze madri, il lavoro di tessitura del romanzo familiare di chi, per un tempo definito, la abita. Ogni strumento educativo, pedagogico, psicoterapico che l’istituzione ha elaborato nella sua lunga esperienza, ci sembra subordinato a un delicato lavoro di riscrittura che si incarna nell’architettura stessa del luogo, nell’organizzazione dei suoi spazi. Continua a leggere. Auguri di buone festività a tutti!

“L’occhio che mi guarda”
Introduzione di Nicola Basile
Si può interagire attraverso lo sguardo, lo hanno dimostrato le ricerche sulle relazioni neonatali tra madre e infante, lo hanno confermato le ricerche sui neuroni a specchio, lo troviamo scritto e descritto nelle ricerche della Esther Bick sulla relazione madre bambino, ne ha fatto una metodica osservativa il gruppo diretto da Franco Scotti che ha pubblicato i suoi lavori in quel bel libro intitolato “Osservare e Comprendere” (2002) che narra come l’incontro degli sguardi metta in moto progettualità nei diversi campi della relazione di cura. L’elenco tralascia ovviamente l’intera ricerca condotta dalla psicoanalisi nelle persone del suo fondatore Sigmund Freud, quella della Klein, che proprio intorno alla pulsione scopica scrive pagine memorabili, alle pagine di Winnicott che intreccia sguardo e segno con i suoi piccoli analizzandi per non terminare con Jacques Lacan e il concetto dello specchio, in cui si dà conto dell’origine dell’inconscio. L’elenco deve essere per forza incompleto per lasciare spazio alle righe che gentilmente Pau Farràs Ribas ha scritto e tradotto per noi dal catalano. Con Pau da anni lavoriamo a intenso scambio proprio sull’esperienza di cosa possa produrre un osservatore in un campo educativo, osservatore partecipante ma astinente, allenato a sostenere per un tempo dato un ruolo di presenza senza parola e meno ingombrante possibile. L’articolo recentemente apparso su “El jardì de Sant Gervasi“, nello spazio nominato “L’arte di osservare”, Pau lo ha tradotto per noi e noi lo pubblichiamo nelle due lingue, catalano (raggiungibile con il link sulla pagina) e italiano perché i suoni si confrontino, si completino, suscitino domande. Ringraziamo ovviamente Dino Buzzati e il suo cane Galeone, (1968) , che ci hanno dato un’altra opportunità di incontro e che speriamo vengano nuovamente letti e apprezzati.
1) 2002 Borla editore
2) 1968 Arnoldo Mondadori Editore

Dare voce all’infans
Immaginare una città senza bambini è impresa da sceneggiatore di un cupo film di fantascienza, molto ben girato, “I figli degli uomini” del regista messicano Alfonso Cuaròn. La trama è semplice e shoccante, l’uomo non genera più bambini e sta per scomparire come specie sul pianeta. Tuttavia l’eros sosterrà la vita e i suoi rappresentanti lotteranno perché l’infans continui a manifestarsi su Gea.
Questa premessa sta alla base del lavoro che si svolge nello studio multidisciplinare “Nuovi Percorsi” nato per dare voce all’infans, presente tanto nell’adulto come nel più giovane degli umani.
Tradurre la parola infans permette di definire il perimetro di questo scritto.
Infans lo possiamo tradurre come infantile, in fasce, ma anche come muto. L’infans nella pratica psicoanalitica è ciò che è “senza parole” ma non per questo non comunica. Nella osservazione dello sviluppo post natale del bambino verifichiamo che l’infante vive una relazione simbiotica con la madre che gli offre l’illusione di esser tutt’uno con lei. Il bambino è parte del corpo della madre, il seno materno è anche il corpo dell’infante, immaginato come proprio. Più questa illusione è una illusione corredata di parole, musiche, prossemica accogliente della madre, più quella illusione nutrirà la crescita dell’infante verso la parola che lo distinguerà e separerà dall’illusione stessa che pur troverà un suo posto, nel sogno.
La relazione del bambino con il soddisfacimento dei suoi bisogni sarà dunque alla base del futuro rapporto con la vita di relazione, con la parola che esprime i sentimenti, con la conoscenza in cui il bambino è immerso fin dalle ultime fasi della vita intrauterina ma ne è anche necessariamente estraniato, essendo il conoscere altro dal conoscente. Read more

“Negli ultimi anni mi sono molto appassionato al crescente”
Il dialogo tra Claudio Paluzzi e Riccardo Lombardi porta a enucleare alcuni temi preziosi per la psicoanalisi attuale. Evidenzio quelli che più hanno interessato lo scrivente affinché il lettore possa andare a leggerli nella loro interezza: “l’importanza del corpo nell’organizzazione dell’Io”; il “riconoscimento della morte come dato di realtà”; “psicoanalisi come artigianato” e infine l’arte come “possibilità di rappresentare e comunicare quelle che Bion avrebbe chiamato esperienze ineffabili”. Non ritengo utile un mio commento in quanto il dialogo tra i due permette di attingere pienamente al pensiero di Riccardo Lombardi.
Un sentito grazie a entrambi.
Nicola Basile
“Frammenti di famiglie”
26/02/2022
Incontro di sensibilizzazione allo Psicodramma Analitico
[1]“[…] se lo psicodramma aiuta qualcuno a formulare domande che non ha potuto articolare nella famiglia non è perché costituisca una famiglia sostitutiva, ma in quanto offre al soggetto quello che anche una famiglia sufficientemente buona avrebbe dovuto offrire e cioè dei momenti di mediazione tra i rapporti primari e i rapporti sociali intesi nel senso più vasto”.[2]
“ma proprio in quel momento nella stanza entrò il papà della bambina e del bambino. Guardò i piccoli che dormivano. Rimboccò le coperte della bambina, le accarezzò i capelli soffici e le diede il bacio della buonanotte. Poi si girò e andò verso il letto del bambino. E allora inciampò in un cubo delle costruzioni dimenticato, arancione come il tappeto. Perse l’equilibrio, allungò le braccia e si appoggiò con una mano alla parete della Casa per non cadere. E a un tratto rimase immobile come se fosse stato uno degli gnomi di plastica del giardino”[3]
Il cd Aletheia della SIPsA, al suo terzo anno di vita, nell’ambito dell’attività di sensibilizzazione al dispositivo dello Psicodramma analitico, La invita a partecipare alla giornata del 26 febbraio 2022 dalle 9,00 alle 13,30. L’incontro si terrà su piattaforma Meet, sarà gratuito ma non senza costi. Il costo è rappresentato dalla partecipazione alla ricerca psicoanalitica con il proprio desiderio.
Il centro didattico negli ultimi mesi ha dedicato il proprio lavoro di ricerca, in setting psicodrammatico come in gruppo di lavoro, sui nodi clinici che danno vita alla “famiglia”, individuando i seguenti nuclei tematici:
“il gruppo come spazio transazionale che accompagna il soggetto all’incontro con la sua famiglia interna”;
“la caratteristica del gruppo aperto come richiamo ai movimenti di accoglienza, crescita e separazione nella famiglia e tra fratelli/sorelle”;
“il gioco psicodrammatico e i suoi elementi come facilitatore nel percorso analitico del soggetto che si confronta con la famiglia interiorizzata”.
Come Cd Aletheia siamo partiti da alcuni frammenti sulla famiglia, psicoanalitici, letterari, poetici, audiovisuali scoprendo la loro pregnanza nell’interrogare quanto del significante famiglia ci appartiene. Questi frammenti hanno riattualizzato ciò che è conservato nella rimozione affinché possa essere riprocessato attraverso il sintomo, il lapsus, atti mancati, metafore, metonimie e spostamenti dell’attività onirica diurna e notturna.
Riteniamo che tutto il percorso analitico dovrebbe essere transizionale cioè uno spazio potenziale e di passaggio, nel quale il setting rappresenta una cornice prestabilita, condivisa e relativamente statica nella quale poter procedere nel proprio lavoro analitico. Prima riflessione in questi due anni di pandemia siamo stati costretti a modificare il setting. È indolore? Dice Winnicott che lo spazio transizionale non consiste solo in una fase evolutiva del bambino, ma è anche e soprattutto lo spazio potenziale tra individuo ed ambiente in cui si può modellare in tutte le età successive dell’uomo ogni forma di processo mentale creativo.
Lo spazio transizionale ci permette di sviluppare una autonomia riflessiva personale nonché di cogliere l’opportunità che ciascuno di noi vuole concedersi di dare un nuovo personale senso alla propria esistenza, a partire dalle esperienze sociali culturale e personali, anche le più dolorose. Il merito degli oggetti transizionale è quello di evidenziare la distinzione tra bisogno e desiderio, la possibilità di assumersi la responsabilità tra l’uno e l’altro, come si può e quando si può. Solo in uno spazio transizionale la parola è qualcosa di non fisso ma ogni volta esposta ai doni, o ai furti imprevedibili da parte dell’altro, come ha scritto E. B. Croce.[4]
DA CHI È ABITATA LA CASA DI UN ALTRO MONDO?
Nel libro – “La casa di un altro mondo”[5] – si narra di come una bambina abbia usato la fantasia per poter entrare in contatto con una realtà familiare troppo dolorosa. Si entra giocando, si scendono scale, si aprono porte, incontreremo qualcosa di inaspettato e a tratti inquietante, fischietteremo nel buio e cercheremo conforto in qualche mano che stringa la nostra. La sorpresa più grande sarà un diario bianco ancora da scrivere. Che libro sarà? Un manuale di istruzioni, una autobiografia o un romanzo fantastico? Il protagonista è forse colui che abita qui, un alieno piovuto dal cielo, un mostro degli inferi o solo un bambino, “il bambino della notte” [6], come descritto da Silvia Vegetti Finzi, è nascosto in ognuno di noi, è il soggetto che per vivere dovrà essere riconosciuto come sostanzialmente estraneo, altro rispetto a quello immaginato.
Per uscire dal labirinto della casa dovrà trovare le parole e scrivendole, accettare che volino via come semi portati dal vento, trascinando con sé tutte le facce e le aspettative delle famiglie passate, presenti e future, semi che seguiranno le vie del destino, generando altre piante ed alberi in giardini lontani, probabilmente a noi sconosciuti ed inconoscibili.
La pulsione di sapere, di scoprire, come ci ha insegnato Freud[7], si dirige inevitabilmente verso il tema delle origini, drammatizzata nei fantasmi originari, ha sempre qualcosa di incestuoso. Eugenie Lemoine, citando Lacan, afferma che l’essere umano “desidera sempre ciò che non ha, l’Altro (in questo caso l’altro del sapere) ma trova sempre solo il suo simile immaginario”.
Chi incontriamo quindi nel nostro cammino e nel nostro diario, nella nostra formazione, sono forse dei familiari, fratelli e sorelle che competono con noi o si alleano per scoprire i segreti della conoscenza, patrimonio dei genitori.
Scrive Elena Croce: “Ora è evidente che tra dimensione istituzionale familiare e dimensione del desiderio, inevitabilmente o quasi, c’è conflitto a cominciare dai problemi relativi al posto che la coppia dei genitori offre al bambino e alla funzione che gli è in grado di assumersi, fatto che può risolversi come iscrizione in una catena significante (è il caso della nevrosi), o identificazione con l’oggetto del fantasma materno (è la psicosi) o nel lasciarsi assimilare ad un feticcio (ed è la perversione).”(…) “Il bambino, come del resto l’adulto, entrano nello psicodramma quando il “gruppo” è già in funzione e vengono quindi a trovarsi in un luogo in cui il legame sociale risulta già abbozzato senza aver potuto prendere parte attiva a questo “abbozzo”
Quindi noi ci proponiamo di incontrare questo “abbozzo”, poterlo conoscere, riconoscendolo come frutto dell’Altro, utilizzando gli strumenti dello Psicodramma Analitico “che tendono a opporsi a questo rifugiarsi immaginario in un gruppo unitario e omogeneo come un corpo materno”[8].
Questo processo intrapreso da molti anni, come SIPsA, lo stiamo aprendo anche a chi non per forza nella nostra società debba riconoscersi, affinché il dispositivo dello Psicodramma Analitico ci apra gli occhi sull’illusione della funzione psicoterapeutica senza faglie. Come ci dice Elena Croce, il setting gruppale dello Psicodramma, riedizione del gruppo famiglia, ci costringerà ad esporre i nostri punti ciechi e ad accettare di essere ancora una volta e per sempre castrati ed imperfetti. Proprio questo manterrà vivo il nostro desiderio, la nostra curiosità di esplorare.
Forse, allora, se saremo abbastanza pazienti …avremo la fortuna di trovare nel buio dei frammenti di luce ed anche qualche mano fraterna che accompagni il nostro cammino verso un altro mondo.
A cura del cd Aletheia
Per partecipare:
scrivere a Nicola Basile – nibasile@libero.it o inviare un messaggio al 3296322722 indicando nome e cognome – recapito telefonico.
[1] Angelo Maineri – Clorofilla – vite radicate – 2017
[2] Elena Benedetta Croce – Famiglia e famiglie – Quaderni di psicoanalisi e psicodramma analitico – Il romanzo familiare – anno 8 n. 1- dicembre 2016
[3] Malgorzata Strekowska-Zaremba – La casa di un altro mondo – Mondadori – 2020
[4] E.B.Croce – Il volo della farfalla – Borla ed – 1990
[5] M. S. Zaremba – 2020
[6] Silvia Vegetti Finzi – Il bambino della notte: divenire donna divenire madre – 1990 – Mondadori
[7] Sigmund Freud – i Tre saggi sulla teoria sessuale – 1905 con il paragrafo aggiunto nel 1914 – Opere – vol.4 Boringhieri- Milano 1970
[8] E. B. Croce – 2016