Categoria: Terapia

Là Qui Là/L’Aquila

 

 

Testi preparatori al seminario di Polivisione
a cura di
Silvia Brunelli - Milena Ciano - Alessandra Corridore - Dario Maggipinto - Marina Pagliarini

 

Il giorno 21 ottobre 2022, dalle h 19,00 alle 21,00, svolgeremo l’incontro on line,  per proseguire il lavoro del seminario di Polivisione con lo Psicodramma Analitico, stagione settembre 2022 - giugno 2023.

"Là Qui Là/L’Aquila" - dott.sse Silvia Brunelli e Milena Ciano

 

Il gruppo dopo un lungo periodo di lavoro online, si ritrova in presenza, a far incontrare i corpi, accolto in uno studio che era dispensa, dove i pixel dello schermo si fanno concreti e vividi: dispensa in cui ognuno ha accumulato e organizzato contenitori e contenuti che si personificano, offrendo la possibilità di assaporare il desiderio in gruppo, portando tra le sedie anche La presenza di chi non ha potuto esserci.
Il luogo dell'incontro è in una città ferita dal terremoto che ha scosso la sua quotidianità e, come noi, è in ricostruzione, diventando simbolo di come ciò che è attraversato dalla morte può tornare alla vita, alla ri-costruzione e all’accoglienza. Si parla di stanze, case, luoghi che possono diventare monumenti al dolore e alla mancanza; dove una richiesta impossibile ha tessuto un filo che non si può spezzare e lega alla morte chi è vivo.

Là Qui Là

Là è l’altrove sconosciuto dove arriva chi abbandona il mondo di Qui: il gruppo si interroga su quale Là possa esistere come cucitura che rimedia all’incomunicabilità di questi due luoghi: vivere pur ricordando, separarsi da ciò che non è più, per accogliere ciò che resta. Come si saluta chi parte da Qui?
Là è impensabile, inchioda all’impotenza e induce a pensare che stare, esserci, sostenere sia qualcosa che ha a che fare con l’azione concreta. È difficile perdere, lasciar andare, la presenza di un’assenza resta e può occupare tutto lo spazio disponibile, il vuoto diventa pieno: un blocco monolitico.                                      L’unico modo di aprire uno spiraglio sembra quello di sostare in quel vuoto, costruendo con l’altro la possibilità di abitarlo.

Sul sapere dell’altro

Un nome impronunciabile, una diagnosi-sentenza che non può essere ascoltata, afferma: “Io so per me e per l’altro”. Così non c’è spazio per il terzo che separa e costringe a riconoscere l’altro da un sapere che non può manipolare, liberando i due dalla dipendenza di chi sa e di chi deve abdicare. Nel gruppo si ascolta e si riflette sul ruolo di chi, in istituzione, media, separa e crea un contesto di cura che liberi il soggetto e gli permetta di essere riconosciuto nella sua disabilità ma anche nella sua possibilità.

 

 

L’Aquila

 

Come l’Aquila anche i pazienti incontrati nei giochi hanno crepe e fragilità da sostenere: si apre il cantiere della cura per costruire un nuovo modo del paziente di stare nel Qui. Il gruppo si interroga su come divenire nel lavoro di ricostruzione, sostegno transitorio per l’altro, sapendo riconoscere quando la struttura ha acquisito una sufficiente stabilità.

                                                                                         

"Corpi" - dott. Dario Maggipinto

Corpi che si incontrano, si osservano e si accolgono con un profondo senso di nostalgia, alla ricerca di uno spazio fisico dove presentificarsi. Roma? L’Aquila? Lo spazio è troppo grande? Troppo piccolo? Ci sarà un posto per me?Nel flusso onirico del gruppo, entra in scena l’immagine del monolite, un vuoto troppo pieno, granitico, come rappresentazione di un ignoto e inconoscibile alieno che diviene atto fondativo della “civiltà” del gruppo, matrice insatura ed elemento imprescindibile per stimolare la curiosità a trasformare le pulsioni in pensieri pensabili. Nel tentativo di digerire contenuti non pensabili, il corpo diviene di sale, si pietrifica dinanzi ad una colpa congelata, le assenze divengono omicidi. L’impensabilità in corpi totalmente disinvestiti dalla realtà è l’elemento principale della prima parte del lavoro del gruppo, come a voler rappresentare non solo i casi clinici riportati dai partecipanti, ma anche la profonda sensazione di corpi anestetizzati sperimentata durante gli incontri on-line. Emerge forte nel gruppo la rabbia o il profondo senso di impotenza dinanzi ad un corpo alienato in difesa dal corporeo morente. La-Qui-La, il luogo che ci ospita diviene suggeritore dei movimenti del gruppo, si interroga sull’ (aldi)La, sulla vita senza il corporeo, si glorifica nel Qui, nella presenza vitale del corpo che si incontra e investe con l’altro, si perde nel La, altra dimensione, alienata, dove il corpo diviene una prigione vivente di un mentale morente, fino ad arrivare alla negazione totale dei bisogni corporei e morire di fame: resto attaccato alla perdita.

Contrasto

Nella seconda parte del lavoro di gruppo, il flusso di pensiero si articola intorno al contrasto tra legami duali fusionali e la funzione dell’istituzione come “crudele” separatrice. In questo scenario, i partecipanti si sentono gravati dalla crudeltà di dover strappare figli da genitori troppo bisognosi o di dover definire attraverso una diagnosi di “schizofrenia” una individuazione, seppur patologica, tra figlia e madre, che porta quest’ultima a perdere l’oggetto delle proprie identificazioni e proiezioni, divenuto ormai troppo danneggiato. Si riconosce nell’istituzione oltre ad una funzione di cura, anche il suo esatto opposto, ossia un movimento di patologizzazione o di fallimento, creando uno scontro profondo tra la soggettività della persona in sofferenza e l’impotenza dell’operatore. Il gruppo rievoca la profonda ambivalenza della decisione istituzionale rispetto alle quarantene, improntate sull’urgenza di una protezione fisica dal virus, ma ignorando totalmente le conseguenze psicologiche ed emotive di una chiusura in spazi o famiglie tossiche. Il perturbante si alimenta nel movimento perverso dell’istituzione, in un cambio di rotta da funzione separatrice degli elementi famigliari a stimolatore di fusionalità in spazi già fin troppo piccoli. Dove si colloca l’operatore di cura? Il gruppo assolve alla funzione di contenitore del dilemma tra estrema fusionalità della “cura” e rischiosa disumanizzazione che genera disintegrazioni identitarie.

 

"Trattenere o lasciar andare?" - dott.ssa Alessandra Corridore

"La forza schiacciante dell'inconscio, l'aspetto divoratore e distruttore in cui e con cui esso può manifestarsi, è figurata come madre cattiva, che può essere la signora cruenta della morte e della peste, della fame o dell'inondazione, la forza dell'istinto o la dolcezza che trascina al disastro. Quale madre buona invece essa è la pienezza del mondo prodigo, la dispensatrice benefica di felicità e di vita, il suolo della natura che produce il nutrimento e la cornucopia del grembo che partorisce; è la bontà e la grazia della forza creativa originaria, che permette e dona quotidianamente redenzione e resurrezione, nuova vita e nuova nascita" (1).

LA-QUI-LA, qualcuno ha detto. E dov’è il “qui” e dov’è il “là”? Roma, L’Aquila, Bari…, l’appartamento o lo studio di ognuno quando ci si incontra da remoto in un luogo, che è un non-luogo, in cui giocare ed essere insieme simbolicamente? Al “desiderio della presenza” (cfr. introduzione alla Polivisione settembre 2022), in alcuni casi legata ad una conoscenza meramente virtuale, è seguita la presenza dei corpi, con tutta la loro potenza.

Gioco 1: analista con la sua paziente chiusa in casa con la promessa di essere fedele al marito morto, non vuole andare alla commemorazione

Pietra che ricorda e commemora la pratica della Sati al Meherangarh Fort di Jodhpur

La scena può essere amplificata riferendosi alla pratica della Sati, chiamata anche suttee, appartenente ad alcune comunità indù in cui una donna da poco vedova, volontariamente, drogata o con l’uso della forza, si suicida a causa della morte del marito. La forma più nota di sati è quando una donna brucia a morte sulla pira funebre del marito anche se esistono altre forme, tra cui l’essere sepolta viva con il cadavere del marito e l’annegamento.

Il termine sati è derivato dal nome della dea Sati, nota anche come Dakshayani, che si autoimmolò perché non era in grado di sopportare l’umiliazione inferta da suo padre Daksha nei confronti del marito Shiva, ancora vivente. La pratica della sati compare per la prima volta nel 510 a.C., quando una stele che ricorda questa storia venne eretta a Eran, antica città nello stato moderno del Madhya Pradesh.

La pratica della sati era considerata la più alta espressione di devozione coniugale verso il marito morto. Era ritenuta un atto di pietà senza pari, finalizzato a liberare dai peccati, dal ciclo di nascita e rinascita e a garantire la salvezza al marito morto e a sette generazioni a venire. Poiché i suoi sostenitori hanno da sempre lodato il comportamento di queste donne rette, non lo si è mai ritenuto un suicidio, altrimenti sarebbe stato vietato o scoraggiato dalle scritture indù.

Solo se la donna era virtuosa e pia sarebbe stata degna di essere sacrificata; di conseguenza, essere bruciata o essere vista come una moglie fallita erano spesso le uniche scelte
(cfr. https://www.indianepalviaggi.it/la-pratica-della-sati-le-vedove-bruciate/). Stein D.K.  nel 1978 scrive: “La vedova sulla strada per la sua pira era oggetto (per una volta) di tutta l’attenzione del pubblico … dotata del dono della profezia e del potere di curare e benedire, si  immolava in pompa magna, con grande venerazione“. Probabilmente si trattava dell’unico modo per esistere, come forse anche per la donna del racconto

[1] Non c’è quindi da stupirsi che le donne vivendo in una società e cultura in cui si prestava così poco attenzione alle donne come individui, abbiano ritenuto che questo fosse l’unico modo per una buona moglie di comportarsi. L’alternativa, in ogni caso, non era attraente. Dopo la morte del marito la vedova hindi si aspettava di vivere una vita apparente, rinunciando a tutte le attività sociali, rasatura della testa, mangiare solo riso bollito e dormire su sottili stuoie grossolane. Per molte la morte era preferibile, soprattutto per le vedove ancora bambine.

Gioco 2: cambio di casa e di abitudini nella morte

Jung in Gli aspetti psicologici dell'archetipo della Madre parla dell'esistenza di due aspetti tra loro opposti racchiusi nel simbolo della Grande Madre, la madre amorosa e la madre terrificante (2). L’archetipo della Grande Madre, che in questo caso potrebbe essere richiamato dal personaggio della nonna, rappresenta il principio benefico, protettivo, sostenitore, stimolante, fecondo e nutriente, finché il figlio non si allontana prendendo la via dell’autonomia e lei si accorge che sta per morire simbolicamente. Allora si trasforma in Grande Madre Terribile che, come Demetra quando Kore fu rapita da Ade per farne la sua sposa, furiosa provocò un lungo inverno e bloccò la crescita di messi e raccolti.

Jung dice anche che sono tre gli aspetti del materno "La sua bontà che alimenta e protegge, la sua orgiastica emotività, la sua infera oscurità"  (3) Inoltre, aggiunge: "Quando avviene una trasformazione, la forma precedente non perde assolutamente nulla della sua forza d'attrazione: chi si separa dalla madre brama di ritornare da lei. Questo desiderio può invertirsi in passione divorante che mette in pericolo il frutto delle acquisizioni precedenti. In questo caso la 'madre' da un lato appare come la mèta più alta, dall'altro come minaccia gravida quanto mai di pericoli, come 'Madre terrificante' (4)

Gioco 3: la cui madre non la lascia parlare

Simbolicamente, con Neumann potremmo parlare di “l’incesto uroborico … sempre visto come segno di morte, di dissoluzione definitiva nell’unione con la madre. Caverna, terra, sepolcro, sarcofago, bara sono i simboli di questo rito di riunione” (5)

Gioco 4: responsabilità e impotenza/onnipotenza nel voler salvare tutti

https://www.comune.laquila.it/pagina129_lapertura-della-porta-santa.html

Trattenere o lasciar andare? Trattenere o lasciar andare un marito, una madre, un figlio, un paziente, un alunno? Ogni scelta, che determina una nuova direzione, una nuova vita, una nuova casa, un luogo “altro” in cui incontrarsi, porta sofferenza e morte di una parte, che però non smette di chiamare attivando sensi di colpa e desideri di riparazione. Neumann scriveva che soltanto la capacità di dire “no”, di distinguere, separare, escludere (piuttosto che unire, abbracciare, fondere) permette la differenziazione dall’Uroboros materno (6)). Non si tratta però di una scelta facile e non scevra da sofferenza!
L’Aquila sembra fare da cornice a tutto ciò. Emblematica infatti è la figura di papa Celestino V, colui al quale viene attribuito il “gran rifiuto”: forse sarebbe stato più facile per Pietro da Morrone accondiscendere alla Grande Madre Chiesa del XIII secolo, continuando a sostenere le sue consuetudini, tra le quali il “traffico delle indulgenze”, piuttosto che dire “NO” attraverso l’istituzione della Perdonanza e della Porta Santa, presso la Basilica di Collemaggio, che ogni anno dal 1294 viene aperta per permettere ai fedeli la remissione i propri peccati.

 

Bibliografia

1 – Neumann E., 1949, Storia delle origini della coscienza, pp. 54-55 Astrolabio - Ubaldini

2 – Jung C G.,  1938/54, Gli aspetti psicologici dell’archetipo della Madre, in Opere, vol. 9*, Gli archetipi e l’inconscio collettivo, Boringhieri, Torino, 1980

3 - Idem

4 - Jung C. G., 1912/52, Simboli della Trasformazione, in Opere, vol. 5, Boringhieri, Torino, 1970, p. 83.

5 - Neumann, 1949, Storia delle origini della coscienza, AstRolabio, Roma, 1978, p. 236.

6 - ibidem, p. 297.

Si consiglia inoltre di visitare: https://www.indianepalviaggi.it/la-pratica-della-sati-le-vedove-bruciate/

Abitare la notte dott.ssa Marina Pagliarini

“Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il  suo tempo sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo  per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare  quello che si è piantato. Un tempo per uccidere e un tempo per curare, un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per fare lutto e un tempo per danzare (...) un tempo per cercare e  un tempo per perdere, un tempo per conservare e un tempo  per buttare via  (...)”

(dal Qoèlet o Ecclesiaste)

tempo per piantare, per costruire, per danzare

notte sulla ferrovia
notte sulla ferrovia di N. B.

Una nonna, anziana e sofferente, sente avvicinarsi la fine; lei desidera solo la quiete del LA’, ma è ancora nel QUI con tutto il peso della corporeità e della sua umanità.La giovane e vitale nipote le vuole bene, le vuole stare vicino e la vuole aiutare, cerca di capire. Per la giovane ragazza è il tempo per piantare, per costruire, per danzare: attraversa un QUI che non prevede il LA'. Ma nel gioco dell'incontro tra il QUI e il LA' c’è uno spazio che è un luogo interiore in cui si trascorre la notte, un tempo di riposo, talvolta di angoscia e di domande in cerca di risposta. E abitando la notte, attraverso la notte, nel proprio tempo logico, ecco farsi giorno. Si rinasce al nuovo giorno. È il tempo per cercare: nasce il desiderio della Cura e del farsi soggetto della cura dell'Altro.

INCONTRO DI “POLIVISIONE” 3 MAGGIO 2019 h 19,00 – 20,30

Da ottobre 2018 lo studio Nuovi Percorsi di Roma, in collaborazione con i centri didattici “Apeiron” e “Campo di Ricerca sullo Psicodramma Analitico” della S0cietà Italiana di Psicodramma Analitico, ha deciso di estendere il proprio sguardo di riflessione clinico oltre l’età evolutiva. L’approccio che da oltre sei anni guida il nostro lavoro è rimasto il medesimo: sottoporre a un molteplice ascolto, i quesiti che genera l’incontro tra chi domanda cura e chi è deputato per legge ad offrirla. Per tale motivo abbiamo definito, e continuiamo a definirli, incontri di “polivisione” e non di supervisione clinica, termine sicuramente più noto.

La nuova struttura di 10 incontri, a cadenza mensile, prevede un’alternanza di settings con una costante: ogni incontro sarà concluso da un’osservazione che raccoglierà i nodi teorici, etici, deontologici che sono andati emergendo o che sono stati elusi.

Lo spazio di “polivisione” che si è tenuto a marzo è stato aperto soltanto a coloro che lavorano entro la relazione di cura, è stato dal dott. Nicola Basile con l'osservazione del dott. Giuseppe Preziosi dello studio, vi hanno partecipato tutti i professionisti dello studio assieme a altri colleghi.
In questa fase l’appartenenza a una figura sanitaria era indispensabile per motivi di segretezza del materiale trattato.
Nell’intervallo tra un incontro e l’altro, chi ha portato il caso e l’osservatore produrranno insieme
uno scritto che costituirà l’oggetto per l’ incontro successivo.

Il gruppo di “polivisione”, nell’incontro del 03 maggio 2019, si allargherà a ospiti scelti dallo studio per un loro interesse alla relazione di cura, senza esser necessariamente figure sanitarie. Gli ospiti, a cui verrà proposto un testo irriconoscibile nelle parti soggette a segreto professionale, saranno chiamati a interrogarsi sui nodi culturali, politici, economici, storici, che quel testo farà emergere assieme al gruppo.

L’ ospite è una figura che ci piace definire come colui che offre il suo ascolto e i suoi quesiti affinché sia possibile far emergere dal testo la  “cosa non vista”. Il dispositivo utilizzato in questo secondo incontro sarà lo psicodramma psicoanalitico con limitazione al role playing, per favorire l’incontro con l’oggetto nascosto in ciascuno dei partecipanti, senza che esso debba esser interpretato analiticamente. La conduzione e l’osservazione anche in questo secondo setting, sarà solamente di psicodrammatisti della SIPsA che hanno condotto una formazione psicoanalitica.

Da questo ciclo di incontri di polivisione ci attendiamo un contributo teorico alla ridefinizione della relazione di cura nell’attuale contesto storico, sociale e culturale oltre all’apertura di una ricerca che porti a “rendere leggibile” la contraddizione tra ciò che è privato, sintomo e  la relazione clinica, e ciò che è pubblico, il ruolo sociale.

Le prossime date sono pertanto le seguenti:
03/05 h 19,00-20,30 incontro aperto a chi ha già partecipato a marzo e a invitati;
24/05 h 19,00-20,30 incontro aperto a professionisti della relazione di cura;
21/06 h 19,00-20,30 incontro conclusivo aperto a chi ha già partecipato agli incontri precedenti e a invitati.

L'opera riprodotta è di Damon Hyldreth
url http://www.damonart.com/pop_public_knot21b.html

a cura di Nicola Basile e Sarah Salvatore

CHI E’ IL TERAPISTA DELLA NEURO E PSICOMOTRICITA’ DELL’ETA’ EVOLUTIVA?

Attualmente il panorama italiano delle professioni sanitarie della riabilitazione è caratterizzato da molteplici operatori professionali; in particolare l’area relativa all’età evolutiva presenta numerose figure specialistiche. Se da una parte tale molteplicità di scelta determina la possibilità di poter intervenire tempestivamente su un ampio ventaglio di disturbi, dall’altra può rappresentare per il genitore del bambino in difficoltà un ostacolo nell’individuare la figura più adatta alle esigenze del piccolo.

Nelle righe che seguono verrà presentata la figura professionale riabilitativa del Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’età evolutiva (TNPEE).

 Chi è, a chi si rivolge e di cosa si occupa il TNPEE.

lI Ministero della Salute riconosce all’interno dell’area Sanitaria della riabilitazione numerose figure professionali, tra queste è presente il Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età evolutiva (TNPEE).

Il Decreto Ministeriale del 17.10.1997, n. 56 (G.U. 14.03.1997, n. 61) individua la figura del TNPEE come l’operatore sanitario che in possesso del diploma universitario abilitante, svolge, in collaborazione con l'equipe multiprofessionale di  neuropsichiatria  infantile  e  in  collaborazione  con le altre discipline dell'area  pediatrica,  gli  interventi  di  prevenzione, terapia e riabilitazione delle malattie neuropsichiatriche infantili, nelle aree della neuro-psicomotricità, della neuropsicologia e della psicopatologia dello sviluppo.

Il terapista della neuro e psicomotricità dell'età evolutiva, in riferimento alle diagnosi e alle prescrizioni mediche, nell'ambito delle specifiche competenze:

  • adatta gli interventi terapeutici alle peculiari caratteristiche dei pazienti in età evolutiva con quadri clinici multiformi che si modificano nel tempo in relazione alle funzioni emergenti;
  • individua ed elabora, nell'equipe multiprofessionale, il programma di prevenzione, di terapia e riabilitazione volto al superamento del bisogno di salute del bambino con disabilità dello sviluppo;
  • attua interventi terapeutici e riabilitativi nei disturbi percettivo-motori, neurocognitivi e nei disturbi di simbolizzazione e di interazione del bambino fin dalla nascita;
  • attua procedure rivolte all'inserimento dei soggetti portatori di disabilità e di handicap neuro-psicomotorio e cognitivo; collabora all'interno dell'equipe multiprofessionale con gli operatori scolastici per l'attuazione della prevenzione, della diagnosi funzionale e del profilo dinamico-funzionale del piano educativo individualizzato;
  • svolge attività terapeutica per le disabilità neuropsicomotorie, psicomotorie e neuropsicologiche in eta' evolutiva utilizzando tecniche specifiche per fascia d'età e per singoli stadi di sviluppo;
  • attua procedure di valutazione dell'interrelazione tra funzioni affettive, funzioni cognitive e funzioni motorie per ogni singolo disturbo neurologico, neuropsicologico e psicopatologico dell'età evolutiva;
  • identifica il bisogno e realizza il bilancio diagnostico e terapeutico tra rappresentazione somatica e vissuto corporeo e tra potenzialità funzionali generali e relazione oggettuale;
  • elabora e realizza il programma terapeutico che utilizza schemi e progetti neuromotori come atti mentali e come strumenti cognitivi e meta-cognitivi; utilizza altresì la dinamica corporea come integrazione delle funzioni mentali e delle relazioni interpersonali;
  • verifica l'adozione di protesi e di ausili rispetto ai compensi neuropsicologici e al rischio psicopatologico;
  • partecipa alla riabilitazione funzionale in tutte le patologie acute e croniche dell'infanzia;
  • documenta le rispondenze della metodologia riabilitativa attuata secondo gli obiettivi di recupero funzionale e le caratteristiche proprie delle patologie che si modificano in rapporto allo sviluppo.

Il TNPEE svolge attività di studio, di didattica e di ricerca specifica applicata, e di consulenza professionale, nei servizi sanitari e nei luoghi in cui si richiede la sua competenza, contribuisce alla formazione del personale di supporto e concorre direttamente all'aggiornamento relativo al proprio profilo lavorativo. Svolge la sua attività in strutture pubbliche e private, in regime di dipendenza e libero professionale.

Il codice deontologico completo è consultabile nei siti delle Associazioni Professionali Rappresentative secondo la normativa vigente:

AITNE http://www.aitne.it/home-page/documenti/codice-deontologico

ANUPI http://www.anupieducazione.it/codice-deontologico-anupi-educazione.html

Nello specifico il TNPEE si occupa di intervenire sulle difficoltà che caratterizzano vari disturbi, come il Ritardo psicomotorio (nel bambino e nel neonato), Ritardo mentale di grado lieve-medio-grave, Disturbi minori del movimento (disprassie e maldestrezze), Disgrafia, Inibizione psicomotoria, ADHD (disturbo da deficit d’attenzione e iperattività),ASD (disturbi dello spettro autistico), Stati psicotici, Disturbi del temperamento e del comportamento, Difficoltà relazionali, Quadri sindromici, PCI (paralisi cerebrali infantili), Torcicollo miogeno (nel neonato), Stiramento del plesso brachiale (nel neonato), Plagiocefalia (nel neonato), Ipotonìa generalizzata (nel neonato), Distrofia muscolare, Miastenia.

Per un ulteriore approfondimento relativo alla figura del TNPEE si consiglia di consultare l’atlante delle professioni sanitarie ( www.atlantedelleprofessionisanitarie.it ) in cui è anche possibile visionare gli ambiti in cui opera e le procedure specifiche che attua negli interventi riabilitativi.

I Terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva che operano all’interno dello Studio Nuovi Percorsi, in Via A. Borelli n.5, Roma sono il Dott. Brandi Giacomo e la Dott.ssa Piccari Francesca.

Si ringrazia l'autrice di 6 anni per il contributo dato.

Francesca Piccari

 

Lo psicodramma in istituzione

Il 12 aprile del 2015 alcuni professionisti dello studio, partecipanti al centro didattico Campo di Ricerca sullo Psicodramma Analitico della SIPsA, richiamavano prima di tutto a loro stessi e poi ai compagni di viaggio dentro e fuori lo studio "Nuovi Percorsi", l’esser noi sempre dei migranti, soggetti in transito. Ricordavamo nella presentazione di allora come il transito sia sempre legato alle leggi politiche e di mercato dentro le quali il soggetto deve vivere sviluppando la sua capacità di lettura.
Per poter essere un cittadino, un lavoratore, un uomo e una donna capaci di relazionarsi con gli altri, ciascuno di noi deve interiorizzare regole e comportamenti che comunque sono sempre opera di un Altro. Al contempo questi comportamenti e queste regole ciascun uomo e donna di questo pianeta li deve poter leggere e pensare come trasformabili, grazie al lavoro comune con l’altro, uomo, donna, anziano, bambino che sia. Quindi ciascuno di noi deve potersi mettere al di fuori della legge per poterla riconoscere e renderla utile alla convivenza.
Il CRPA nela sua fondazione ha voluto il ricordo del sacrificio degli emigranti di Marcinelle che morirono per dare all’Italia carbone negli anni ’50, il transito delle popolazioni dell’Africa che cercano dignità altrove dal luogo che li ha visti nascere, la domanda della donna che si è riconosciuta madre anche per potersi guardare nell’altro, la perdita della propria soggettività nell’uguaglianza degli uomini e delle donne nel gioco d’azzardo e nella tossicodipendenza, l’alterità della psicosi che rende il nome dell’Altro impronunciabile. La psicoanalisi che ha saputo rappresentare il soggetto come alienato da sé stesso e lo psicodramma,  sono gli strumenti del nostro lavoro nella clinica delle istituzioni, nel lavoro clinico dello studio, nella ricerca della nostra professione, fuori e dentro le stanze del nostro studio che fu fondato per offrire "Nuovi Percorsi" alla domanda di uomini, donne, bambini, adolescenti, adulti, anziani. In questo ultimo anno alcuni professionisti dello studio hanno collaborato alla realizzazione del primo numero della rubrica trimestrale del portale web della SIPsA con alcuni articoli.
Li abbiamo pubblicati con l’intento di rendere pubblico all’altro, che transita con noi tra i continenti del desiderio, che lui non è solo e per poter ripetere il gesto di speranza dell’uomo che disegnò e scrisse per incontrare l’assente all’alba dell’umanità. Ci auguriamo di condividere la nostra scrittura ospitata sulle pagine che troverete di cliccando: rubrica trimestrale S.I.Ps.A.  
                                                                                                                                                  Nicola Basile e Giuseppe Preziosi

 

Appunti per l’incontro di polivisione del 23 maggio 2017 alle ore 19,00

Inizio dalle righe che Giuseppe Preziosi ha letto al termine del suo lavoro di osservazione per raccontare l’incontro di polivisione del 28 aprile 2017 che sa di favola ma non lo è.

La zanzara che viene dalla periferia, inquieta cerca una strada alla conoscenza del contatto ma uno straniero, non sapendo come dirlo, per attirare la sua attenzione spacca il ponte. ” Non mi è mai capitato!” dice Fra e saluta disinibito “Devi essere gentile” aggiunge. Il gigante, che non manca mai, resta fermo per non far male a nessuno, giusto uno ” scusa”. ” Dite sempre le stesse cose” urla il drago, tentando di uscire dall’istantanea e provare a prender voce attraverso la drammatizzazione.

Un gruppo di adulti decide un giorno che se è in grado di costruire delle relazioni sociali indirizzate alla crescita di ogni componente, può ospitare un altro gruppo che conta sugli adulti per crescere con loro. Questo è solo l’incipit di una storia che comincia a essere scritta e di cui siamo lieti di essere anche noi dei testimoni.
Venerdì 28 aprile 2017 il seminario sulla polivisione di casi clinici dell’età evolutiva è stato pienamente chiamato a testimoniare degli avvenimenti di cui sopra.Qualche riga per descrivere, solo provvisoriamente e solo in modo approssimativo, che abbiamo ascoltato una comunicazione, piena di emozione, sulla fondazione di un gruppo di bambini e bambine con diagnosi di autismo ad alto funzionamento. La fondazione la si deve a psicologhe, a terapiste della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva (TNPEE), logoterapiste che vedendo esaurirsi le opportunità offerte dalle terapie individuali, ben riuscite, va detto, ideano e realizzano uno spazio sociale e di cura per i loro assistiti. Sappiamo che la tradizione di questa metodica ha un luogo di nascita: Neuropsichiatria infantile di via dei Sabelli. A questa meravigliosa istituzione si deve anche lo sforzo di teorizzazione che ad oggi appare ancora incompleto come incompleto è il quadro normativo di riferimento per quanto concerne il rapporto di convenzione pubblico, privato sui costi della terapia riabilitativa in gruppo.

Come si intravvede da queste righe l’impresa è e sarà, nel futuro prossimo, gigantesca.
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Adolescenti e Comunità Terapeutiche a cura di C. Bencivenga e A. Uselli – ed. Alpes

Ho avuto il piacere di condividere un’esperienza di CTU con il curatore e autore di molte parti del libro di cui proporrò solo una breve presentazione. L’autore è psicologo, psicoterapeuta, docente di Psicologia dei Gruppi e delle famiglie c/o l’Università degli Studi di Parma, promotore nel Lazio della prima Struttura terapeutica estensiva e a carattere comunitario per minori adolescenti, in due parole Claudio Bencivenga. Nel libro come nel nostro incontro professionale Bencivenga cerca di far emergere in quali contesti si possa dare voce all’infans, a ciò che per statuto è silenzio, mancanza di parola. L’autore e curatore del libro, si sforza di costruire e utilizzare spazi mentali e istituzionali che si determinano, nel dare regola al conflitto tra due genitori, anche attraverso il verdetto di un giudice, per offrire un contenitore di pensiero a coloro che altrimenti non l’avrebbero, i minori. Parlando di Claudio Bencivenga sto anche descrivendo il progetto del libro “Adolescenti e Comunità Terapeutiche”, edito da Alpes, curato assieme a Alessandro Uselli, psicoterapeuta, specialista in psicologia clinica.

Il titolo del libro è seguito da un sottotitolo assai impegnativo, “tra trasformazioni e nuove forme di malessere” .

Gli autori dei testi sono stati coordinati dai curatori affinché il lettore fosse posto in condizione di ridefinire il sintomo come ciò che nasconde la parola ma ne lascia tracce e come esso possa venire tradotto in un progetto educativo e riabilitativo per adolescenti.

Nel libro troviamo un’ampia panoramica teorica e clinica su come costruire un vero e proprio spazio, fisico, culturale, pedagogico e psicoterapeutico da offrire al minore schiacciato nella contesa tra essere soggetto e paria del desiderio dell’altro. “La Comunità terapeutica per adolescenti è una struttura (…) che per raggiungere le sue finalità si avvale di un trattamento complesso multifattoriale e multidisciplinare di tipo evolutivo/trasformativo” scrive Bencivenga “ E’ necessario che in questo tipologia di struttura venga svolto un costante lavoro di ponte e collegamento con altri contesti, non solo di cura, ma anche di vita dell’utente”.

Il progetto quindi è vastissimo ma gli autori ne delineano con cura e perizia sia i contenuti teorici che quelli normativi. Condivido con Bencivenga le righe che ritrovo in un capitolo centrale del libro, consigliando a tutti coloro che sono impegnati nel lavoro con gli adolescenti la lettura di questa bella opera.

“Crediamo di aver illustrato come il rapporto quotidiano con i pazienti, il vivere assieme condividendo esperienze impensabili per un setting classico, sia un fattore indispensabile nel lavoro di Comunità: del resto ciò è inevitabile se ci si approccia alla cura del paziente “grave” partendo dal presupposto che la residenzialità, così come la si è intesa, è uno strumento di terapia e di trattamento elettivo per questa frangia di utenti”. (1)

(1) Claudio Bencivenga – Residenzialità comunitaria, parafamiliarità e terapeuticità – p.40

Appunti per l’incontro di polivisione del 28 aprile 2017

 “Desiderio di essere e di perseverare in un futuro”

Nello sviluppo del bambino assistiamo costantemente a trasformazioni che impongono una nuova definizione tra ciò che era prima e ciò che è, in attesa di ciò che sarà. Il corpo che si trasforma e cresce impone queste tre dimensioni, sincroniche che altro non sono che le relazioni simboliche tra il bambino e l’immagine che di se stesso si va formando attraverso la parola di chi lo ha desiderato, la madre e il padre. Il corpo del bambino si esprime attraverso bisogni che l’altro deve poter soddisfare, bisogni primari e affettivi ma anche attraverso la definizione di desideri che fanno di lui un soggetto.
Ci dice F. Dolto, che l’immagine del corpo infantile “si struttura in un rapporto di linguaggio con gli altri. Inizialmente e fondamentalmente con la madre o la figura che la sostituisce.” (1)  Tale immagine non può che essere molteplice: strutturale, genetica e relazionale. La percezione narcisistica permette di integrare i frammenti del corpo in un’unità che fa riferimento a un corpo che riposa, a un corpo che respira, a un corpo che desidera di vivere strutture della immagine corporea che è dalla nascita e che si trasforma con la crescita. Durante le trasformazioni parti del corpo saranno scelte come rappresentanti dei processi legati al piacere-dispiacere e alle diverse fluttuazioni dinamiche di tali processi. Così dalla dimensione statica si passa a una rappresentazione del corpo dinamica dove la tensione si contrappone alla quiete favorendo il passaggio all’investimento erogeno di parti del corpo.
L’immagine dinamica collega le tre precedenti e corrisponde al desiderio di essere e di perseverare in un futuro”(2) La Dolto afferma che “un’immagine del corpo sana può coabitare in uno schema corporeo malato. Dipende da come si parla alla persona con handicap”(3).
Nel lavoro di polivisione svoltosi c/o lo Studio Nuovi Percorsi tra insegnanti, psicoterapeuti, neuropsichiatri dell’età evolutiva e terapisti della neuro e psicomotricità, il 31 marzo 2017, nella sede di via Borelli 5 a Roma, è stato interrogato il lavoro clinico che un corpo infantile, uscito da una malattia genetica, pone alla medicina come alla psicoterapia.  Read more