Categoria: Poesia

In un tempo di eterno presente

 

recensione di Nicola Basile

 

Una voce torna da un lontano passato, chi la esprimeva non è presente ma un corpo sonoro la rende viva. È l’intreccio che viviamo quando la tessitura della poesia, fa breccia nel rumore della vita e ottiene ascolto. Poesia e sogno richiedono entrambi tessitura, ascolto e silenzio, affinché possano essere creati e narrati. Essi vivono di continui rimandi: la poesia permette al lettore di avvicinare l’assente fino a sentirlo pelle della propria pelle; il secondo porta in dota l’assenza di un tempo distinto e sollecita il passato a farsi odierna esperienza e l’oggi a mescolarsi con il dimenticato.
Italo Calvino imparava le poesie a memoria affinché esse potessero riemergere dalla dimenticanza rendendo la realtà segno dell’onirico. (1) Rilke scrive "le storie del Buon Dio" (2) affinché esse potessero essere narrate ai bambini. Lo scrivente narra le fiabe che ha letto e che si sono sedimentate nella sua memoria per uscire mai uguali a se stesse affinché l’ascoltatore le renda vive nel suo desiderio.
Quando leggiamo un libro di poesie tradotte da un’altra lingua, chi ascoltiamo, il sogno del poeta o quello del traduttore? Se superiamo l’opposizione, possiamo affermare che la tessitura di un incontro tra soggetti desideranti, la reciproca assenza possano mescolandosi, diventare libro di poesie scritto tra due donne, Eleftherìa Sapountzì, poetessa scomparsa nel 2000 e Viviana Sebastio, traduttrice che immagino su una spiaggia dell’Egeo?
E il lettore di “In un tempo di eterno presente” (3) cosa cerca?
Nelle righe di brevi segni poetici cerco la poetessa come la traduttrice, in una sovrapposizione di figure simile al meccanismo del sogno definito da Sigmund Freud (Freud 1899) come condensazione (4).

“Ieri mi hanno vista
vagare insonni altrui.
chissà dove andavo ancora
e infilandomi tra vicoli
mi sono confusa e persa per ore
Vagavo qua e là. Come stai
Non avevo nulla con me
vagabondavano soltanto,
il mio cuscino al mattino era privo di prove”

Non c’è un titolo per strappare questi versi agli altri, solo un numero “14” e un numero poiché i versi appartengono tanto alla poetessa, tanto alla traduttrice, tanto a chi sogna il sogno e ritiene di rimanere nella veglia, altrimenti non potrebbe narrare di aver letto di poesia. Così da lettore veglio sull’assenza della poetessa e di colei dal greco ha traghettato il “sogno poesia” in italiano.

Al numero 23 vengo interrogato:

“I mesi nascondono parole
Che- dopotutto- chi
le capirebbe?”

Non so rispondere e non desidero rispondere poiché le parole della “poesia sogno” non si sottomettono alla comprensione poiché esse rendono servizio alla “libertà” dell’inconscio di vivere nella realtà del diurno.
Paul Eluard scrive:

“Sul mio cane ghiotto e tenero
Su le sue orecchie dritte
Su la sua zampa maldestra
Scrivo il tuo nome”

E' dove la cerco anche io, adolescente lettore di Paul Eluard, poiché libertà non cessa di nascondersi, sussurra Sapountzì (o a suggerire sono coloro che hanno tradotto per me?):

“ E soprattutto resto
nella sua zona d'infinito
lì dove cambiano senso
criminose e imploranti
lì dove si nascondono chiave e porta”

Ringrazio autori, traduttori, editori per continuare a farmi sognare e auguro a chi leggerà di poesia una buona attività onirica.

 

Note:
1 Carabba Enzo Fileno - Il giardino di Calvino - Ponte alle Grazie - 2023
2 - Rilke. R. M. - Le storie del buon Dio" - Rizzoli - 1978
3 - Sapountzì
Eleftherìa - In un tempo di eterno presente - edizioni Ensemble - 2022
4 - Freud S. - L'interpretazione dei sogni - Opere - Bollati Boringhieri

 

 

Lettera da un interpellante di mezza età

Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera in merito al seminario di Polivisione di febbraio 2023 [1]

Phersu Tomba degli auguri Tarquinia [2]
Un commento avrei voluto farlo quasi subito, ma la cronaca, aggiungendo nuovi fatti ad alcune delle stesse emozioni che animavano l’incontro, ha rallentato il metabolismo: è sempre più complicato assimilare gli urti emotivi, chissà quali e quante le ragioni alla base di questa difficoltà.

Inizierei però dalle cose che non avevo capito: ad esempio, non avevo capito che il gruppo, questa volta, vedeva prevalere numericamente gli operatori professionali rispetto al numero di coloro che interpellano le conoscenze di tali professionalità.
E non avevo compreso se tutte le parti dell’introduzione al seminario, da ‘Interrogativi sospesi’ a ‘Concludo con una piccola storia clinica’ fossero state scritte da uno stesso autore; mi era sembrato anzi dover propendere per una scrittura a più mani, impressione comunque cambiata dopo la partecipazione: avrò infine interpretato correttamente?

E, per finire, non ero stato in grado di farmi un’idea di come gli argomenti dell’introduzione potessero – ove mai ciò fosse effettivamente previsto per quell’incontro – tendere ad inglobare anche il possibile riferimento ai termovalorizzatori (intesi come totem simbolico dello scarto, quantomeno); nella mia ricorrente ingenuità, mi era tornato in mente (ma che non sembri un riferimento irriverente, giammai, perché tale non vuole assolutamente essere) il titolo di uno dei film del compianto Massimo Troisi, ovvero ‘Pensavo fosse amore, invece era un calesse’. Perché mi era venuto in mente questo titolo? Solo ed esclusivamente per la apparente mancanza di affinità tra la parola calesse e la parola amore, un po’ come potrebbe sembrare sulle prime, a sprovveduti come me, nel confronto tra il concetto di termovalorizzatore e gli argomenti alla base della ricerca della cura dell’io.

E così possiamo passare alle emozioni.
Quella forte dei colori, quelli familiari che cercavano di avvolgere giovani che sono dovuti fuggire dai loro paesi e che speriamo riescano a sentirsi accolti qui, nonostante ora il nostro paese si dimostri, per analoghe situazioni, rudemente e muscolarmente incapace di accogliere. Mi sono trovato a sorprendermi (senza che nulla possa ovviamente giustificare tale sorpresa) di come, nel racconto della sua collega, l’emozione si manifestasse in modi così, come dire, ‘familiari’: una involontaria sorpresa la mia, una osservazione quasi bizzarra, come se le modalità reattive degli operatori professionali fossero destinate sempre a presentarsi diverse da quelle degli ‘interpellanti’ (mi lasci usare questo termine come sintesi, pur ingiustificabile, per ‘coloro che interpellano le conoscenze’ usato sopra).
Quella forte di tornare a incontrare una compagna del viaggio di tanti anni fa e di incontrarla ora in una vita tutta nuova e in una diversa città antica (antichità che sarebbe stata scossa qualche giorno dopo da una assurda tragedia moderna dei servizi di trasporto), di sentire che anche lei riconosceva subito l’altro viandante, invitandolo di nuovo a interpretare un ruolo a ciò chiamando in causa un ricordo di serietà (forse aveva usato un altro termine, non sono sicuro, io, di ricordare bene): un ricordo che ti fa bene all’anima e ti muove alle parole, nel gioco e non solo per il personaggio interpretato, la parola dignità.
E infine, l’emozione del contrasto tra le parole curare e prendersi cura: mi ha fatto tornare in mente quando dicevo che avrei forse scritto un giorno un libro su ciò che divora un ‘interpellante’, un libro che sono felice di non essere più capace di scrivere. Però credo di poter immaginare alcune delle sensazioni che potevano agitare chi ha posto all’operatore professionale il confronto tra i due termini.

Ne propongo a lei altri, prendendoli dall’ultimo brano dell’introduzione al seminario, dato che nel brano mi era, solo sulle prime, venuto di identificarmi, ‘dispiacendomi’ un po’, sempre e solo sulle prime, appunto per alcune parole che avrei sostituito:
- Uomo di mezza età: perché non solo ‘uomo’? Io, ad esempio, chiamo spesso in causa, ormai, la mia ‘veneranda’ età, ma, non so perché, se mi ripenso ‘interpellante’, quella descrizione mi suona male, forse perché da quel percorso si spera di uscire ricondotti, in un certo senso, all’indietro, a quando il male oscuro non ti aveva ancora reso improvvisamente ‘vecchio’; così la specificazione dell’età sembra assegnarti, invece, ad un percorso che va inevitabilmente solo in un senso, quello del tempo che passa senza consentirti mai di ritornare un poco anche all’indietro, di risentirti, appunto, di nuovo un po’ più solamente uomo e un poco meno vecchio;
- Lamentazioni sempre identiche, di racconti noiosi di lavoro e quotidianità: perché non solo ‘racconti sempre identici, di lavoro e quotidianità’? Quante volte io per primo, da ‘interpellante’, ho definito inutili lamentazioni noiose le cose che dovevo raccontare; io per primo non capivo dove, quando e perché la varietà della mia precedente narrazione quotidiana si fosse dovuta trasformare nell’asfissiante inutile ritornello del tentativo di dare un volto al mostro che ti corrode; ancora ora, però, a leggerle così (come comunque erano, certo), ti fanno tornare in mente la paura che il mostro possa tornare …

Ma arrivando invece alle conclusioni, senza per fortuna lasciarsi nuovamente agitare dalle ansie, che dire: un incontro davvero stimolante, nel quale riesco a identificare in via separata – ciò che mi appare una vera fortuna, ripensando ad anni fa – da una parte l’effetto delle emozioni, dall’altra una nuova interessante vista sul mondo della sua professione.
Grato per l’invito e curioso per i prossimi, se questi commenti non le sembreranno ingiustificabilmente irriverenti.

Un caro saluto e a presto.

[1] lettera firmata

[2] Nelle pitture etrusche di alcune tombe di Tarquinia, e forse anche di Chiusi, tra varie scene sportive e giochi funebri, è raffigurato uno strano personaggio mascherato denominato phersu. Phersu in etrusco voleva dire maschera (il nome si evince dalla chiara iscrizione apposta in due casi accanto al personaggio), da cui deriva l'italiano "persona", attraverso il latino persōna "maschera", nel senso di «apparato atto a far risuonare la voce». La paretimologia del latino persōna da per "attraverso" e sonare "suonare" è smentita dalla quantità breve della O del verbo latino sonare. https://it.wikipedia.org/wiki/Phersu

La Signora degli scarafaggi

Riceviamo da Cristina Frioni e volentieri pubblichiamo

a cura di Nicola Basile

LA SIGNORA DEGLI SCARAFAGGI di Fabrizio Ansaldo

1969 Una donna americana si trasferisce a New York per cercare lavoro. La città è in fermento per i moti di protesta giovanili, il raduno musicale di Woodstock e la guerra del Vietnam. I vicini sono giovani hippie e a causa di un buco nel muro comunicante con la loro cucina, la donna si ritrova la casa invasa dagli scarafaggi…

Con Cristina Frioni e Luana Baroni al piano.

TEATRO FURIO CAMILLO - SAB 11 h 21 e DOM 12 h 18
Indirizzo: Via Camilla, 44, 00181 Roma RM
Telefono: 06 9761 6026

 

Fili di seta

Tante "storie" una storia

recensione a cura di Nicola Basile

 

Sul filo del ricordo

Parole sul filo del ricordo è uno dei possibili modi di descrivere l’ultimo lavoro di Alberto Alberti, uomo di scuola a tutto campo: maestro di scuola elementare, dirigente scolastico, ispettore del Ministero della Pubblica Istruzione, medaglia d’oro all’Istruzione con Ciampi Presidente della Repubblica, interprete della legislazione scolastica per cui ha cercato di convincere la politica a svolgere i suoi compiti e, non in ultimo, narratore.

Come sono andate le cose?

 

Un giorno Alberto mi domanda di leggere l’ultimo manoscritto e da lettore mi lascio avvolgere nella seta che mille bachi tessono intorno a me, portandomi in una Sicilia a me cara, aspra e dolcissima, nostalgica e rivoltosa. “Come sono andate le cose? Non lo sappiamo … ma c’è un secondo gruppetto di versi che…”  si fa fili di parole che danno forma a donne, uomini, appassionatamente insieme nell’eros come nella costruzione di una storia che parte da un caleidoscopio di frammenti per mostrarsi infine quadro.

Prima che i fili divenissero...

Ho avuto il piacere di parlarne con l’Autore prima che i fili divenissero tela, vestiti bianchi, gorgoglii di fontane sulle pagine dell’Anicia editore; oggi ricerco nell’ordito di cultura e natura dei racconti, la storia fatta di tante storie dell’unica storia che porta il nome dell’Autore.

So stare nell’innominabile – Polivisione 17 – 09 – 22

 

 

Introduzione al seminario di Polivisione del 17/09/2022
a cura di
Giuseppe Preziosi

 

«L’Altro è il luogo ove si costituisce colui che parla con colui che ascolta […].
L’Altro dev’essere considerato anzitutto come un luogo,
il luogo in cui la parola si costituisce»

J. Lacan, Il seminario, Libro III,
Le psicosi, 1955-1956,
pp. 323-324

Il giorno 17 settembre 2022, dalle h 9,00 alle 18,00, svolgeremo l’incontro in presenza, nella bellissima Città dell'Aquila per riprendere il lavoro del seminario di Polivisione con lo Psicodramma Analitico, stagione settembre 2022 - giugno 2023.

Piacere di conoscerti, io sono....

 

“Piacere di conoscerti, io sono…” sono un nome a cui rispondo, che dice qualcosa di me, delle radici da cui sono nato e dice anche della tridimensionalità in cui mi riconosco che mi rende permeabile all’altro. I nostri nomi esprimono la generatività, un processo di esistenza che ci rende altro da. Ma è tutto così scontato? Progettare, portare e far nascere crea un figlio ma anche un genitore, nessuno dei due – dei tre – lo è prima. Generare e trasformarsi richiede di ristrutturare, la casa, quella fatta di mura e quella interna che si adatta e dove ognuno dovrebbe poter trovare il proprio spazio.

Cosa vuol dire attribuire un nome?

Dal gioco concreto delle parti nel quale si parteggia per l’uno o per l’altro contendente (pandemia, guerra), forse per sentire meno la solitudine di essere fuori dai giochi, senza nome, il gruppo di polivisione va alla ricerca di un nome, di una direzione, ma i nomi sfuggono… Cosa vuol dire attribuire un nome? Il soggetto si sente smarrito senza nome. Forse bisogna morire prima di rinascere, di uscire dalla casa originaria, dall’utero materno… e forse venire alla luce sembra tanto pericoloso se nessuno può aiutarci a dare un nome alle emozioni…

Il tempo della ricerca del nome

Il soggetto senza nome è smarrito alla sua nascita e quindi occorre una nominazione che lo faccia esistere nel mondo. Soggetto smarrito ed angosciato alla nascita con un corpo che viene gettato nel mondo e il bisogno di sentirsi accolto e rassicurato così come di essere nominato. Per quanto tempo si può rimanere senza nome alla nascita, forse il tempo per essere guardati, riconosciuti e considerati tanto da potersi poi riconoscere in quel nome che sarà unico e solo e rappresenterà l’identità del soggetto. L’individuo esce da un involucro nel quale può sentirsi a suo agio o può sentirsi schiacciato, al buio, solo e impaurito, ma quando viene fuori da quel tunnel buio e trova qualcosa di meccanico ad accoglierlo e non delle braccia umane ecco che l’angoscia di nascere si fa sentire in tutta la sua entità.

 

 

Attribuzione del nome

L’atto di attribuire un nome è avvertito dal gruppo come una grande responsabilità, va fatto con cura, guardando in faccia il bambino nel momento della nascita, magari aspettando un po’ prima di attribuirlo, per non sbagliare, prima di instaurare un legame. Perché forse il nome permette di instaurare legami, mentre lo “sconosciuto” può rappresentare una presenza inquietante.

La storia del nome


“Figlio, figlia voglio che il nome a cui risponderai, parli davvero di te, che ti renda unico, separato dal simile e dall’aspettativa della tradizione”. Un nome sembra non essere solo una convenzione, un suono di lettere e sillabe ma ha in sé una storia. Se può essere nominata, raccontata, apre alla possibilità di riscriverla, il legame con la radice che le ha dato vita non è un legaccio ma un filo che lascia liberi di muoversi e forse di smarrirsi ed errare sapendo che un luogo in cui ritrovarsi c’è.

 

Giona e la balena

 

Jung utilizza la metafora del racconto biblico relativo a Giona e la balena per rappresentare i processi interiori di cambiamento che necessariamente sono legati alla morte della condizione precedente ed alla rinascita. Giona, infatti, è chiamato da Dio a predicare la Sua parola nella città di Nìnive, dove regnano il peccato e la dissoluzione; fugge dal proprio compito finché in mare viene ingoiato da una balena, nel ventre della quale rimane per tre giorni, per poi rinascere e realizzare il suo destino.

 

“Regressus ad uterum”

Maria Lai _ Legarsi alla montagna

Gli alchimisti chiamano questo processo “Regressus ad uterum”, tappa necessaria per ogni rinascita trasformativa. Regressus ad uterum” di cui parla anche Ferenczi. “la nascita dell’uomo è contrassegnata dal trauma: una catastrofe e che i frammenti di questa storia perduta sono conservati come geroglifici nella psiche e nel corpo. Ferenczi propone di applicare ai grandi misteri della Genesi della specie il metodo di decifrazione psicoanalitico usato per comprendere i piccoli misteri della storia individuale[1]”.

[1] La nostalgia dell’oceano. Guglielmo Campione. Psychomedia.

 

cammino di (ri)nascita

E’ un cammino di (ri)nascita quello intrapreso dal gruppo, ormai più di due anni fa, un cammino che non è stato esente di paure e timori, ma che la passione per la psicoanalisi e il dispositivo dello psicodramma hanno permesso di fondare come luogo e spazio di pensiero ad arginare l’innominabile Reale sempre più opprimente. E dopo aver “lavorato” sulla questione del nome proprio, il gruppo si arrischia al desiderio di un incontro di corpi, dopo un biennio di incontri online, riemerge il desiderio di una presenza. Corpi Reali intessuti nell’immaginario e nel simbolico del legame.

Piacere di conoscerci

“Piacere di conoscerci, tu proprio tu con me, io proprio io con te non rinnegando le ombre e le luci che ci accompagnano”

Contatti

Il seminario  del 11/06/2022, come sempre non è gratuito.  La partecipazione richiede la fatica del proprio esserci e il desiderio della psicoanalisi.
Per per poter ricevere informazioni scrivere a Nicola Basile - nicolabasile.edu@gmail.com
nuovipercorsiviaborelli@gmail.com, indicando il proprio nome, professione, numero di telefono.
Riceverete una mail e messaggio WhatsApp di conferma.
Altrimenti inviare un messaggio WhatsApp a Nicola Basile - 3296322722

So-g-getti s-ma-r-riti alla guerra! – 11-06-2022

"Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare,
preparare la tavola
a mezzogiorno.
Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie per non sentire.
Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno, né di notte,
né per mare, né per terra:
per esempio, la guerra.
"
Gianni Rodari

 

 

 

Introduzione al seminario di Polivisione del 11/06/2022
a cura di
Stefania Falavolti, Annalisa Pascucci, Giuseppe Preziosi

Il giorno 11 giugno 2022, dalle h 9,00 alle 13,30, svolgeremo l’incontro on line, su piattaforma "Meet" che porterà alla sospensione estiva del lavoro del seminario di Polivisione con lo Psicodramma Analitico.
Il seminario di Polivisione mensile riprenderà in autunno.

Alla guerra del virus!

Eva Pedroni "Quando i numeri contano"

Ci hanno detto: “Alla guerra del virus”. Spogliati per un po’ di alcune libertà e tratti individuali, armiamoci e partiamo, anzi stiamo fermi, tuttalpiù alla finestra ma meglio allo schermo dove è possibile traslocare tutto del nostro essere. “Alla guerra” ci hanno detto, alla guerra contro il virus, per giorni, mesi, anni. E come analisti abbiamo derogato a tutte le regole di setting che, forse anche pigramente, c’eravamo dati come eredità neanche troppo pensata del padre/maestro. Alla chiamata alle armi abbiamo esitato, noi analisti/psicologi/psicoterapeuti, solo un secondo. Analisti come cittadini, come appartenenti alla polis, abbiamo quindi fatto la nostra parte e ci siamo presi anche i nostri ristori. Già qui qualche cosa della soggettività si è persa, forse.
Ristorare.
È di questo poi che ci siamo occupati nei nostri collegamenti online? Ristorare?

Dagli schermi alla chiamata

Dagli schermi di tutti i dispositivi, perennemente connessi, ci assale quotidianamente la contrapposizione di pretese verità di una moltitudine di improvvisati esperti. In questo caso non funziona il mantra della pandemia.  “Andrà tutto bene … Ne usciremo migliori … Siamo tutti sulla stessa barca …Vinceremo insieme”, inizia invece da subito la riscoperta e riattivazione di vecchi schemi e vecchie divisioni, riscopriamo improvvisamente che il nostro mondo non era in pace ma sempre attraversato da varie forme di guerra e di violenza, che avevamo solo imparato a non vedere o a dimenticare. Sotto la pressione di uno Stato Grande Altro abbiamo fatto il nostro “dovere” ma che fine avrà fatto la parola errante dei nostri pazienti, che possibilità c’è di errare quando non è possibile deviare da una norma se non al costo di mettere in pericolo l’intera società? Che posto c’è per il dissenso? Anzi meglio, quale ascolto è possibile al dissenso in un tempo di chiamata generale alle armi, che da metafora si è trasformata in una realtà di bombardamenti, fucili, eserciti?

 

Per un soggetto del dissenso, errante.

C’è un posto ancora per un soggetto del dissenso, errante ma non per questo smarrito? Così come nell’ultima seduta di polivisione, ci troviamo dinanzi al reale ineluttabile della morte fisica e psichica che ha rallentato anche il tempo della seduta, in una sorta di paralisi legata all’orrore della fascinazione che essa da sempre esercita in ogni essere umano. Il destino crudele ed allo stesso tempo meraviglioso dell’uomo è quello di essere, più o meno precocemente, consapevole della propria e altrui finitudine. Questa inspiegabile ingiustizia di fronte alla bellezza del mondo è ciò che da molti secoli genera le molteplici forme d’arte, musica e poesia, per sublimare l’angoscia e catturare, in una illusione di eternità, frammenti di ciò che si vede e di ciò che si ama.

 

 

Numeri, elementi isolati e numerabili.

Alighiero Boetti - da Uno a dieci, 1980

Di fronte all’ineluttabile scorrere del tempo che corrode imperi e monumenti millenari, di fronte alla natura, che con un suo sussulto può scatenare catastrofi in grado di cancellare milioni di vite ed estinguere intere specie, qualche piccolo uomo si ribella con rabbia e fa dilagare la sua furia distruttrice in una nuova assurda guerra, sostenendo di farlo “per liberare” una parte di un popolo amico. Contemporaneamente precipitiamo in uno stato non di soggetti ma di numeri, elementi isolati e numerabili, che costruiscono una massa e una moltitudine, eserciti contrapposti.

Alla guerra! Alla guerra!

Massacro in Corea 1951 Pablo Picasso
Pablo Picasso Massacro in Corea 1951


Quale “clinica” è possibile per un mondo concentrato sul godimento e l’eccitazione, disinteressato a qualsiasi forma di perdita di piacere? Che posto ha il gioco psicodrammatico che dovrebbe ricavare un guadagno di piacere sotto forma del lavoro e non dell’eccitazione, dove anche la guerra sembra un gioco tecnologico da adulti in cui basta premere un pulsante e si ottiene un godimento immediato a prescindere dall’impegno del “giocatore”.

 

Dall'angoscia alla dimensione simbolica.

Federica Reale

Esattamente come Freud sottolinea nel gioco del rocchetto del nipotino che riesce a trasformare un avvenimento spiacevole, sul quale non ha alcuna presa (la scomparsa della mamma), in una rappresentazione simbolica che gli genera un guadagno di piacere. Sappiamo che ciascun bambino impara, sia che giochi da solo che con gli altri, che deve tenere conto delle regole che gli consentono il processo di costruzione, evitando che si trasformi in eccitazione e quindi il gioco finisca. C’è ancora qualcuno che insegna queste regole?
Come dice Renato Gerbaudo[1]: “…. La dimensione simbolica del gioco richiede il mantenimento di un limite, inerente non solo al rispetto delle regole, ma a ridurre un godimento personale, in attesa di un risultato finale, che non si conosce in anticipo. Ogni gioco ha un inizio ed una fine, comporta un rischio…. Anche il superare gli altri …. Naturalmente il bambino può essere deluso … ma è una esperienza necessaria per occupare il posto di soggetto e non solo di oggetto del discorso dell’adulto.     Castrazione infantile e gioco sono intimamente legati in questo processo di crescita ...”

[1] Gerbaudo R. - Il bambino reale – F. Angeli ed.

 

Legame/discorso

Maria Lai _ Legarsi alla montagna

Freud “scopre” con l’inconscio la scena interna del soggetto, il mondo interno e mentale, lasciando al conscio l’esterno e il sociale. Ma certo questa linearità (inconscio-interno-mentale e conscio-esterno-reale) da subito non appare sufficiente alla condizione umana. Quando Lacan rilegge Freud e inserisce la nozione di discorso, inteso come legame sociale, la clinica psicoanalitica tratta il soggetto nella complessità dei suoi legami, ci mostra dei punti nodali per andare al di là di una clinica intrapsichica. Attraverso la psicoanalisi che è un si può accedere ad altri discorsi/legami, imparando anche a leggerli, affrontarli, farci i conti. Ciascuno, anche attraverso l’esperienza con lo psicodramma analitico, può rioccupare o occupare per la prima volta, la posizione di soggetto con una doppia accezione; soggetto alle determinanti simboliche, familiari e sociali, e soggetto che le interroga. Lo psicodramma analitico quindi come strumento valido per trasformare la questione del godimento, che non vuole sapere del legame sociale, in un sintomo soggettivo, che apre alla dimensione del desiderio anche dell’altro. L’esempio dei bambini riesce ad esplicitare meglio questo aspetto

Dall’essere soggetti smarriti alla diversità del soggetto errante.

La domanda di aiuto per i bambini origina sempre da una istituzione famiglia, scuola, bisognerebbe lavorare prima di tutto per il passaggio dalla richiesta per il bambino che si presenta nella forma di disturbo, alla richiesta del bambino che è una questione soggettiva. Questo ovviamente esige una complessità di interventi, lenti, adeguati, rispettosi di un’identità che non è mai un dato stabilito a priori. Ci incontriamo per cercare il passaggio dall’essere soggetti smarriti alla diversità del soggetto errante.

Il seminario  del 11/06/2022, come sempre non è gratuito.  La partecipazione richiede la fatica del proprio esserci e il desiderio della psicoanalisi.
Per per poter ricevere il link di accesso a Meet, scrivere a Nicola Basile - nuovipercorsiviaborelli@gmail.com, indicando il proprio nome, professione, numero di telefono. Riceverete una mail e messaggio WhatsApp di conferma.

“E la guerra non parla” – Polivisione 8 aprile 2022 ”

"Non esiste la storia muta. Per quanto le diano fuoco,
per quanto la frantumino,
per quanto la falsifichino,
la storia umana si rifiuta di tacere."
Eduardo Galeano
(Montevideo3 settembre 1940 – Montevideo13 aprile 2015)
giornalistascrittore e saggista uruguaiano.

Introduzione al seminario di Polivisione del 8/04/2022
Giuseppe Preziosi,
"Nuovi Percorsi"- via Borelli 5 - Roma.

... da un incontro di Polivisione con lo Psicodramma analitico del 11 marzo 2022

Theater Box with The-Night Moth Ballet and The Half Moon Queen and The Man in The Moon on Stage George Grosz

Presi nel vortice di questo tempo di guerra, privi di informazioni obiettive, senza la possibilità di considerare con distacco i grandi mutamenti che si sono compiuti o che si stanno compiendo, o di prevedere l’avvenire che sta maturando, noi stessi non riusciamo a renderci conto del vero significato delle impressioni che urgono su di noi, e del valore dei giudizi che siamo indotti a pronunciare. Ci sembra che mai un fatto storico abbia distrutto in tal misura il prezioso patrimonio comune dell’umanità, seminato confusione in tante limpide intelligenze, degradato così radicalmente tutto ciò che è elevato. Anche la scienza ha perduto la sua serena imparzialità; i suoi servitori, esacerbati nel profondo, cercano di trar da essa armi per contribuire alla lotta contro il nemico”

S. Freud-  Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte (1915).

 

Parole


Parole attualissime, parole scritte, sarebbe certamente credibile, solo una settimana fa. E invece si tratta di decenni. Come a dire il tempo della guerra è immobile, oppure che la guerra come l’inconscio non conosce il tempo, si ripete uguale a se stessa, insiste, si ostina.

Maria Lai - dalla Gazzetta della Sardegna

Gesti

Negli stessi gesti, nelle stesse azioni, ormai così slabbrate da aver perso ogni significato. E la guerra non parla. Se non nella lingua del diavolo (colui che separa). Una lingua che riempie la gola e soffoca. E la guerra ci guarda con i suoi occhi di vetro, opachi e ottusi. La guerra ci guarda e ci riguarda.

Maria Lai - Duemila anni di guerra

 

 

 

Il tentativo di un secolo.

Il tentativo di un secolo di rimuovere la guerra, attraverso l’azione illuminante di una razionalità superiore, o di “una categoria superiore di persone dotate di indipendenza di pensiero, inaccessibili alle intimidazioni e cultrici della verità, alle quali dovrebbe spettare la guida delle masse prive di autonomia” come scrive Freud, oppure magari di un “governo dei migliori” come affermerebbe qualcun altro, ha minimizzato le guerre che eppure ci sono state, in sintomi marginali, residuali, tic e piccole nevrosi, anche quando erano lì, proprio dietro l’angolo.

La guerra ci guarda.

Ma la guerra ci guarda e ci riguardava e ha continuato a riguardarci. Nelle attenzioni “ossessive” di un madre che teme il soffocamento dei figli come se anche loro potessero ferirsi in battaglia, nelle dispense riempite di zucchero e di viveri come se fosse sempre possibile la fame, l’inedia, la mancanza. Nell’offesa che solca il corpo e la vita dei nostri affetti, nell’incomunicabilità del trauma.

 

 

 

Picasso - Guernica

Segni e tracce

Ora che il rimosso si è mosso, muove anche il rimosso che ci abita, rimuove le difese e le dimenticanze e riporta alla luce i ricordi di bambini e bambine che della guerra hanno visto solo i segni, e le tracce, e i marchi, e hanno potuto illudersi che si trattasse solo di favole macabre, brutte storie, paurose fantasie.

 

 

 

 

Burri - Combustioni su plastica - 1957

Ma con la guerra condividiamo anche un certo rifiuto alla rinuncia pulsionale, una rinuncia che mette le basi per la civiltà e la convivenza ma verso la quale proviamo una certa insofferenza.
E così tra i racconti di guerra può far capolino, come una infiorescenza, lo sguardo di una bambina che rimane sospesa tra il divieto e il desiderio, tra fascinazione e imbarazzo. E il discorso del Thanatos arriva a far riemergere un ricordo impastato di Eros.

Tutte e due le pulsioni sono parimenti indispensabili, perché i fenomeni della vita dipendono dal loro concorso e dal loro contrasto. Ora, sembra che quasi mai una pulsione di un tipo possa agire isolatamente, essa è sempre legata – vincolata, come noi diciamo – con un certo ammontare della controparte, che ne modifica la meta o, talvolta, solo così ne permette il raggiungimento. Per esempio, la pulsione di autoconservazione è certamente erotica, ma ciò non toglie che debba ricorrere all’aggressività per compiere quanto si ripromette. Allo stesso modo la pulsione amorosa, rivolta a oggetti, necessita un quid della pulsione di appropriazione, se veramente vuole impadronirsi del suo oggetto. La difficoltà di isolare le due specie di pulsioni nelle loro manifestazioni ci ha impedito per tanto tempo di riconoscerle”.

S. Freud-Considerazione attuali sulla guerra e sulla morte (1915).

Il seminario  del 08/04/2022, come sempre non è gratuito.  La partecipazione richiede la fatica del proprio esserci e il desiderio della psicoanalisi.
Per per poter ricevere il link di accesso a Meet, scrivere a Nicola Basile - nuovipercorsiviaborelli@gmail.com, indicando il proprio nome, professione, numero di telefono. Riceverete una mail e messaggio WhatsApp di conferma.