POLIVISIONE SEMINARIO IN SETTING DI PSICODRAMMA ANALITICO
Il seminario del 25/03/2023 è aperto a coloro che con noi desiderano interrogare attraverso il dispositivo dello Psicodramma analitico, i nodi che la relazione di cura pone alla società. Il seminario come sempre non è gratuito. La partecipazione richiede la fatica del proprio esserci e il desiderio della psicoanalisi.
Per informazioni scrivere a: nicolabasile.edu@gmail.com
indicando il proprio nome, professione, numero di telefono. Riceverete una mail e messaggio WhatsApp di conferma.
Altrimenti inviare un messaggio WhatsApp a Nicola Basile - 3296322722
Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera in merito al seminario di Polivisione di febbraio 2023 [1]
Phersu Tomba degli auguri Tarquinia [2]Un commento avrei voluto farlo quasi subito, ma la cronaca, aggiungendo nuovi fatti ad alcune delle stesse emozioni che animavano l’incontro, ha rallentato il metabolismo: è sempre più complicato assimilare gli urti emotivi, chissà quali e quante le ragioni alla base di questa difficoltà.
Inizierei però dalle cose che non avevo capito: ad esempio, non avevo capito che il gruppo, questa volta, vedeva prevalere numericamente gli operatori professionali rispetto al numero di coloro che interpellano le conoscenze di tali professionalità.
E non avevo compreso se tutte le parti dell’introduzione al seminario, da ‘Interrogativi sospesi’ a ‘Concludo con una piccola storia clinica’ fossero state scritte da uno stesso autore; mi era sembrato anzi dover propendere per una scrittura a più mani, impressione comunque cambiata dopo la partecipazione: avrò infine interpretato correttamente?
E, per finire, non ero stato in grado di farmi un’idea di come gli argomenti dell’introduzione potessero – ove mai ciò fosse effettivamente previsto per quell’incontro – tendere ad inglobare anche il possibile riferimento ai termovalorizzatori (intesi come totem simbolico dello scarto, quantomeno); nella mia ricorrente ingenuità, mi era tornato in mente (ma che non sembri un riferimento irriverente, giammai, perché tale non vuole assolutamente essere) il titolo di uno dei film del compianto Massimo Troisi, ovvero ‘Pensavo fosse amore, invece era un calesse’. Perché mi era venuto in mente questo titolo? Solo ed esclusivamente per la apparente mancanza di affinità tra la parola calesse e la parola amore, un po’ come potrebbe sembrare sulle prime, a sprovveduti come me, nel confronto tra il concetto di termovalorizzatore e gli argomenti alla base della ricerca della cura dell’io.
E così possiamo passare alle emozioni.
Quella forte dei colori, quelli familiari che cercavano di avvolgere giovani che sono dovuti fuggire dai loro paesi e che speriamo riescano a sentirsi accolti qui, nonostante ora il nostro paese si dimostri, per analoghe situazioni, rudemente e muscolarmente incapace di accogliere. Mi sono trovato a sorprendermi (senza che nulla possa ovviamente giustificare tale sorpresa) di come, nel racconto della sua collega, l’emozione si manifestasse in modi così, come dire, ‘familiari’: una involontaria sorpresa la mia, una osservazione quasi bizzarra, come se le modalità reattive degli operatori professionali fossero destinate sempre a presentarsi diverse da quelle degli ‘interpellanti’ (mi lasci usare questo termine come sintesi, pur ingiustificabile, per ‘coloro che interpellano le conoscenze’ usato sopra).
Quella forte di tornare a incontrare una compagna del viaggio di tanti anni fa e di incontrarla ora in una vita tutta nuova e in una diversa città antica (antichità che sarebbe stata scossa qualche giorno dopo da una assurda tragedia moderna dei servizi di trasporto), di sentire che anche lei riconosceva subito l’altro viandante, invitandolo di nuovo a interpretare un ruolo a ciò chiamando in causa un ricordo di serietà (forse aveva usato un altro termine, non sono sicuro, io, di ricordare bene): un ricordo che ti fa bene all’anima e ti muove alle parole, nel gioco e non solo per il personaggio interpretato, la parola dignità.
E infine, l’emozione del contrasto tra le parole curare e prendersi cura: mi ha fatto tornare in mente quando dicevo che avrei forse scritto un giorno un libro su ciò che divora un ‘interpellante’, un libro che sono felice di non essere più capace di scrivere. Però credo di poter immaginare alcune delle sensazioni che potevano agitare chi ha posto all’operatore professionale il confronto tra i due termini.
Ne propongo a lei altri, prendendoli dall’ultimo brano dell’introduzione al seminario, dato che nel brano mi era, solo sulle prime, venuto di identificarmi, ‘dispiacendomi’ un po’, sempre e solo sulle prime, appunto per alcune parole che avrei sostituito:
- Uomo di mezza età: perché non solo ‘uomo’? Io, ad esempio, chiamo spesso in causa, ormai, la mia ‘veneranda’ età, ma, non so perché, se mi ripenso ‘interpellante’, quella descrizione mi suona male, forse perché da quel percorso si spera di uscire ricondotti, in un certo senso, all’indietro, a quando il male oscuro non ti aveva ancora reso improvvisamente ‘vecchio’; così la specificazione dell’età sembra assegnarti, invece, ad un percorso che va inevitabilmente solo in un senso, quello del tempo che passa senza consentirti mai di ritornare un poco anche all’indietro, di risentirti, appunto, di nuovo un po’ più solamente uomo e un poco meno vecchio;
- Lamentazioni sempre identiche, di racconti noiosi di lavoro e quotidianità: perché non solo ‘racconti sempre identici, di lavoro e quotidianità’? Quante volte io per primo, da ‘interpellante’, ho definito inutili lamentazioni noiose le cose che dovevo raccontare; io per primo non capivo dove, quando e perché la varietà della mia precedente narrazione quotidiana si fosse dovuta trasformare nell’asfissiante inutile ritornello del tentativo di dare un volto al mostro che ti corrode; ancora ora, però, a leggerle così (come comunque erano, certo), ti fanno tornare in mente la paura che il mostro possa tornare …
Ma arrivando invece alle conclusioni, senza per fortuna lasciarsi nuovamente agitare dalle ansie, che dire: un incontro davvero stimolante, nel quale riesco a identificare in via separata – ciò che mi appare una vera fortuna, ripensando ad anni fa – da una parte l’effetto delle emozioni, dall’altra una nuova interessante vista sul mondo della sua professione.
Grato per l’invito e curioso per i prossimi, se questi commenti non le sembreranno ingiustificabilmente irriverenti.
Un caro saluto e a presto.
[1] lettera firmata
[2] Nelle pitture etrusche di alcune tombe di Tarquinia, e forse anche di Chiusi, tra varie scene sportive e giochi funebri, è raffigurato uno strano personaggio mascherato denominato phersu. Phersu in etrusco voleva dire maschera (il nome si evince dalla chiara iscrizione apposta in due casi accanto al personaggio), da cui deriva l'italiano "persona", attraverso il latino persōna "maschera", nel senso di «apparato atto a far risuonare la voce». La paretimologia del latino persōna da per "attraverso" e sonare "suonare" è smentita dalla quantità breve della O del verbo latino sonare. https://it.wikipedia.org/wiki/Phersu
Riceviamo da Cristina Frioni e volentieri pubblichiamo
a cura di Nicola Basile
LA SIGNORA DEGLI SCARAFAGGI di Fabrizio Ansaldo
1969 Una donna americana si trasferisce a New York per cercare lavoro. La città è in fermento per i moti di protesta giovanili, il raduno musicale di Woodstock e la guerra del Vietnam. I vicini sono giovani hippie e a causa di un buco nel muro comunicante con la loro cucina, la donna si ritrova la casa invasa dagli scarafaggi…
Con Cristina Frioni e Luana Baroni al piano.
TEATRO FURIO CAMILLO - SAB 11 h 21 e DOM 12 h 18
Indirizzo: Via Camilla, 44, 00181 Roma RM
Telefono: 06 9761 6026
Parole sul filo del ricordo è uno dei possibili modi di descrivere l’ultimo lavoro di Alberto Alberti, uomo di scuola a tutto campo: maestro di scuola elementare, dirigente scolastico, ispettore del Ministero della Pubblica Istruzione, medaglia d’oro all’Istruzione con Ciampi Presidente della Repubblica, interprete della legislazione scolastica per cui ha cercato di convincere la politica a svolgere i suoi compiti e, non in ultimo, narratore.
Come sono andate le cose?
Un giorno Alberto mi domanda di leggere l’ultimo manoscritto e da lettore mi lascio avvolgere nella seta che mille bachi tessono intorno a me, portandomi in una Sicilia a me cara, aspra e dolcissima, nostalgica e rivoltosa. “Come sono andate le cose? Non lo sappiamo … ma c’è un secondo gruppetto di versi che…” si fa fili di parole che danno forma a donne, uomini, appassionatamente insieme nell’eros come nella costruzione di una storia che parte da un caleidoscopio di frammenti per mostrarsi infine quadro.
Prima che i fili divenissero...
Ho avuto il piacere di parlarne con l’Autore prima che i fili divenissero tela, vestiti bianchi, gorgoglii di fontane sulle pagine dell’Anicia editore; oggi ricerco nell’ordito di cultura e natura dei racconti, la storia fatta di tante storie dell’unica storia che porta il nome dell’Autore.
L’OSSERVAZIONE DIRETTA
E LA SUA APPLICAZIONE IN CAMPO EDUCATIVO
NELLO STUDIO REALIZZATO A BARCELLONA
organizzato in collaborazione con Studio Multidisciplinare Nuovi Percorsi, via Borelli 5 Roma
28 maggio 2021 h 19 – 20,30, piattaforma meet
Questo incontro presenterà come si è svolta un’esperienza di ricerca in ambito educativo e formativo in cui è stata utilizzata la metodica dell’osservazione diretta. Verrà illustrato ciò ha portato alla definizione di un modello di apprendimento che ha aiutato ad ampliare e modificare lo sguardo dell’adulto sull’infanzia.
Introduce il webinair: Nicola Basile – psicoanalista, membro didatta della SIPsA, che ha collaborato alla costruzione della Metodica dell’Osservazione Diretta.
L’esperienza verrà presentata dall’antropologa dott.ssa Pau Farras Ribas che ha svolto la ricerca.
Seguirà conversazione su esperienze di osservazione in ambiti educativi e formativi-
DALL’ANTOLOGIA "15 ½ PIUTTOSTO BIZZARRE DI PAVLINA PAMPOUDI"
NELLA TRADUZIONE DI VIVIANA SEBASTIO.
Nel 2004 insieme a Viviana Sebastio e al team di docenti di un istituto romano, con la collaborazione grafica di Federica Reale, abbiamo proposto a dei bambini di prima di scrivere un libro, quando sapevano per lo più articolare soltanto le prime forme di lettura e scrivere i primi segni grafici della loro lingua. Abbiamo chiesto a questi bambini di scrivere collettivamente, sollecitati dall'incontro con una lingua che non conoscevano, il neogreco. Abbiamo chiesto loro di disegnare e realizzare le immagini di un libro, affinché altri bambini potessero leggere quel che loro avevano creato.
Cosa ce lo abbia consigliato, è una domanda legittima.
Torno per un attimo al neolitico... Sarà perché allora si stava definitivamente assestando il patrimonio neuronale della nostra specie, sarà perché il numero degli esseri umani era cresciuto, sarà inoltre per la scoperta che assieme si vive meglio, il fatto è che in quel periodo abbiamo avuto necessità di lasciare pittogrammi un poco ovunque su questo pianeta. A cosa serviva lasciare un disegno su una parete, a quale urgenza rispondeva aggiungere una forma alle forme già lasciate da altri, così da formare veri e propri musei di pittogrammi, come ad Altamira, in Spagna?
Qualcuno ha scritto che l'urgenza di lasciare quei disegni era determinata dal pensiero che un altro della stessa specie, lo avrebbe visto e, nel poterlo ammirare, il visitatore riportava al presente l'altro. Un modo per entrambi, lettore e autore del pittogramma, di sentirsi in comunicazione nonostante l'assenza di uno dei due. Nelle grotte di Altamira nasce, si sviluppa, e arriva a noi attraverso i millenni, un meraviglioso libro, scritto da analfabeti che immaginano di esistere dopo la vita grazie alla pittura e al segno, i pittogrammi, appunto. Ad Altamira i disegni non sono solo disegni, sono soprattutto messaggi, lettere, testo, storia, dell'uomo che racconta la propria vita a un altro uomo che non conoscerà. Consapevoli di tutto ciò, abbiamo chiesto a una scrittrice greca di raccontare una sua favola attraverso i segni lasciati sulle pagine, grotta, dei suoi libri. Noi con i bambini siamo entrati nella
grotta libro dove i segni sono divenuti pezzi di persone di cartone, brandelli di colori da incollare sui pezzi di cartone che divenivano pupazzi o "pupezzi", simili ai pittogrammi dei nostri avi. Come i nostri avi li abbiamo messi insieme i pupezzi e abbiamo lasciato che ci raccontassero la storia che apparteneva alla comunità degli uomini e delle donne che sentono la solitudine come un dono
da condividere. Così i pupezzi si fanno prima segni, poi narrativo e infine si smaterializzano in pagine virtuali, affinché la grotta divenga sempre più ampia e possa accogliere tutti i naviganti della creatività, come una smisurata balena in cui ad accoglierci troviamo sempre Pinocchio con Geppetto, a leggere, scrivere e a narrare. Abbiamo infine pensato che a scrivere racconti, ci si sente meno soli, pensando che da qualche parte qualcuno comincerà a scrivere una nuova storia perché ha letto la nostra affinché
un altro la legga e scriva la sua e così via, in un mare dove l'attracco nei porti sia un diritto per poter proseguire nella navigazione.
Nicola Basile
psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista, psicodrammatista.
Ascoltare il desiderio di cura con lo psicodramma analitico
Da ottobre 2014 il C. D. “Campo di ricerca sullo psicodramma analitico di Roma”, ha avviato in collaborazione con lo Studio Nuovi Percorsi di via Borelli 5, un ciclo di incontri di ascolto con lo Psicodramma analitico.
Come lo scorso anno il lavoro di Polivisione proseguirà anche nel 2020 con la gradita collaborazione del C. D. Apeiron. Gli incontri del 2020 saranno dedicati al lavoro di coloro che offrono formazione, diagnosi, terapia e riabilitazione nell’età evolutiva, neuropsicomotricisti e logoterapisti, docenti, operatori del volontariato che hanno una relazione di cura con il minore richiedente aiuto.
Venerdì 31 gennaio 2020, dalle 19,00 alle 20,30, con i soli professionisti legati alla relazione di cura, interrogheremo i nodi clinici e soggettivi che legano chi domanda a chi offre. La discussione verrà animata attraverso il dispositivo dello psicodramma analitico, dai dottori Nicola Basile; Silvia Brunelli e Giuseppe Preziosi soci S.I.Ps.A.
“Monologo per l'altro” dalla polivisione del 17/11/2018 di Nicola Basile
“Nel parlare di matematica, o nel fare matematica, che comporta il parlare, magari solo con se stessi, o nell’esporre matematica si deve sempre trovare un delicato equilibrio, variabile a seconda del livello dell’argomento e delle competenze e maturità degli attori che dialogano, tra la lingua naturale e i linguaggi simbolici. Per chi non abbia vissuto l’esperienza della matematica non è facile capire e giustificare la necessità di tale mescolanza e di tale equilibrio. La matematica è una attività molto difficile, non da fare, ma da definire. Essa è sostanzialmente un discorso, un insieme di discorsi.”
Le parole nella matematica Gabriele Lolli Scuola Normale Superiore di Pisa
https://reliefteachingideas.com/
Che dire di me a voi che vi domandate di me? Voi tutti dovete pur valere qualcosa, siete nati per dare un nuovo valore a un uomo e a una donna. Vi succede mai di non averlo a volte questo gran valore? Il valore si calcola con la matematica e per farlo si deve essere bravi in matematica. Sapete calcolare, ordinare? In che senso? Immagino che appena vi si chiede di fare qualcosa per qualcuno come me, voi sappiate a chi rivolgervi. In un attimo ordinate chi io debba incontrare e chi no, quando e per quanto tempo. In un soffio mi ritrovo già preordinata da voi esseri piuttosto ordinati. Sapete anche cosa io debba indossare per apparire più grande di quanto mi senta? E se volessi rimanere ancora e ancora in quell'età che la necessità può trascurare e che dell’accessorio può fare una scienza? Tu che sei venuta a trovarmi sei proprio quella donna che spero di diventare anche se non ho ancora capito bene come.
Che dire ancora a voi che vi domandate di me. Sapete contare tutti i numeri dell’universo. Mi sa però che tra quei numeri il mio non è uscito bene. Assomiglio a una cifra difficile da leggere. Ad esempio la mia età vorrebbe che io non fossi alla scuola con i più piccoli ma hanno detto che in quella dei miei coetanei era francamente inutile che io andassi. I numeri della mia età non corrispondono mai con le mie competenze. E questa storia dei numeri fa veramente arrabbiare papà, mamma e gli insegnanti. Ma non dite che l’ho detto.
Ricordate Alice nel paese delle meraviglie quando incontra il Cappellaio Matto e la Lepre di marzo? Quei mattacchioni non facevano altro che girare intorno al tavolo in attesa delle cinque, per festeggiare una festa di non compleanno. Io devo essere una di quelle tazzine del loro tavolo che sono sempre piene di tea o un minuto del loro orologio che staziona sempre sulla stessa cifra, un calendario che non cambia mai pagina. Così non so mai se vado veramente bene.
http://sostegno.forumattivo.com/
A voi che vi domandate di me, sembrano sensate le mie domande? Si i numeri si trasformano in mostri dentati che mi vogliono divorare, come d'altronde sono i denti, numeri che si contano e numeri che si curano e poi si perdono. Io perdo sempre qualche numero. Quando arrivo a casa mi dicono che li lascio sempre a scuola e quando sono a scuola mi dicono che li ho lasciati a casa. I numeri non stanno mai al loro posto.
Avete idea dove si nascondano i numeri? Questa storia mi confonde e le mie mani cercano di afferrare numeri e letteri mulinando nell’aria per scacciare cifre senza senso, cifre mute, lettere spaiate. Tra di voi che siete riuniti a domandarvi di me c’è un qualcuno che mi ha chiesto di stabilire delle regole, altrimenti saremmo rimasti bloccati al tavolino da te di Lewis Carroll e la sua Alice. Non è un granché essere una copia sbiadita di una personaggio famoso che attraversa lo specchio.
E' difficile attraversare lo specchio? Io lo so fare benissimo ma al di là di quello ci si ritrova sempre gli stessi che non crescono e che non sanno contare le carte della Regina di Cuori. Da tale principio inoltre ne consegue un altro: per bere il tè non bisogna alzarsi, fin quando tè e pasticcini non sono che un ricordo. Quindi voi vorreste instaurare un prima e un dopo che non capisco mai come si leghino.
Vengo prima io o mamma per papà? E per mamma chi viene prima? Una questione per me è chiara, a scrivere sul quaderno delle regole devo essere io. Io e le regole non possiamo che essere tutt’uno. Vi domanderete il perché di questa mia osservazione, voi che vi riunite per chiedere se non vi assomiglio almeno un poco. È semplice. Se la regola è estranea a me, io non la posso modificare, devo poterla leggere e chiedermi chi la possa cambiare. Mamma e papà dovrebbero poter cambiare le regole ma non so mai quando e dove lo facciano. Così con voi mi conviene scrivere le mie regole sul mio quaderno affinché le regole siano mie e mie soltanto. Mi viene il sospetto che se papà non dà qualche regola, io comincio a confondermi e a assomigliare a un nome che sta tra me e lui, come la linea di frazione che sta tra due numeri.
Non assomiglio alla linea di frazione tra due numeri che operano un significato? Se papà non mi assegna un altro posto, lo dovrete fare voi, volenti o meno. Sarete costretti ad utilizzare pedagogia, neuropsichiatria, psicoanalisi, psicoterapia, tanta buona volontà cosicché si possa diventare buoni amici e cominciare a scriverci. E se ci scriviamo possiamo definire la nostra assenza come uno spazio topologico con meridiani e paralleli, dove l’incontro è possibile. Potremmo stabilire un giorno, un’ora, un luogo del nostro incontro. Il mio cuore imparerebbe a battere un poco più forte in attesa dell'arrivo. Tu non lo sai ma stai pensando anche tu a me anche se sei arrabbiato perché hai perso il bus e qualcuno che ti sta antipatico ti trattiene, con il tuo orologio sempre avanti rispetto alla tua posizione geografica distante dalla mia. Io imparerò che il giorno in cui tu arrivi devo predisporre il tavolo con il materiale e l’ordine di quel tavolo sarai anche un poco tu. Apparecchiare un tavolo lo si fa per gli ospiti e mi sa che è la prima volta che ospito un ospite.
Chissà se lascerò il materiale ancora a scuola? Vorresti essere Tutor, il mio Tutor? La legge 170 dice che un disabile può avere un Tutor. Vorresti essere tu il mio tutor per il quale apparecchierei il tavolo, non ci girerei intorno e mi comincerei a domandarmi quanti minuti restano tra l’adesso e il futuro prossimo in cui ci incontreremo? Sto forse citando l’incontro tra la volpe e il Piccolo Principe inconsapevolmente ma mai la questione è stata così seria come tra me e te e quella volpe e l’ometto, come mi hanno detto che chiamava l'altro la volpe.
NOTE Le definizioni sulle frazioni sono tratte da: http://www.youmath.it/scuola-primaria/matematica-scuola-primaria/quarta-elementare/2084-cosa-sono-le-frazioni-e-come-si-leggono.html Le immagini sono tratte da url citate nelle didascalia BIBLIOGRAFIA M. Klein – La psicoanalisi dei bambini – Giunti ed. M. Klein Lo sviluppo libidico del bambino - Bollati Boringhieri, 2013 Saint Exupery – Il Piccolo Principe - Bompiani
Supervisione per i professionisti che lavorano nella relazione di cura
Incontri di ascolto della relazione pedagogica, psicoterapeutica, riabilitativa dalle diverse prospettive dello sguardo che si manifestano nel dispositivo dello psicodramma psicoanalitico.