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In o questione dell’incontro. La dimenticanza del nome apre alla ricerca

 

I treni che da Bombay vanno a Madras partono dalla Victoria Station. La mia guida assicurava che una partenza dalla Victoria Station vale da sola un viaggio in India, e questa era la prima motivazione che mi aveva fatto preferire il treno all’aereo. La mia guida era un libretto un po’ eccentrico che dava consigli perfettamente incongrui, e io lo stavo seguendo alla lettera. Il fatto era che anche il mio viaggio era perfettamente incongruo; dunque, quello era il libro fatto apposta per me. Trattava il viaggiatore non come un predone avido di immagini stereotipe al quale si consigliano tre o quattro itinerari obbligatori come nei grandi musei visitati di corsa, ma alla stregua di un essere vagante e illogico, disponibile all’ozio e all’errore. Con l’aereo, diceva, farete un viaggio comodo e rapido, ma salterete l’India dei villaggi e dei paesaggi indimenticabili [...] non dimenticate che sui treni indiani si possono fare gli incontri più imprevedibili. / Queste ultime considerazioni mi avevano definitivamente convinto. [1]

Prologo

 

 

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Seguirò il percorso di Freud alle prese con la dimenticanza del nome Signorelli che solo un fortunato incontro fece emergere. Cercherò di illustrare come interrogare la dimenticanza sia stata per Freud e lo è per tutti noi, una strada consolare di accesso all’inconscio. Queste righe sono state provocate dal seminario di Polivisione in setting di Psicodramma Analitico della Società di Psicodramma Analitico del

In/contro

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In/contro
Inizio dalla preposizione semplice “in”, isolandola dall’avverbio “contro”, non per far torto al secondo ma per ritrovarmi in un luogo, in una specifica condizione affettiva o emotiva, per l’esser entrato in luogo avendone lasciato un altro a cui ero legato, per essermi trovato in presenza di un altro, forse atteso ma per questo inaspettato.
Scelgo non a caso alcuni esempi di una preposizione che indicano tutti il trovarsi con l’altro, sia esso una persona, un essere vivente come un luogo che richiama estraneità.

“In” una versatile preposizione

La preposizione “in” è assai versatile, basta dare uno sguardo alla seguente tabella che rubo dalla Treccani::

Da una rapida occhiata si rileva che essa è poliedrica, si occupa di tutto, sia transazioni affettive come di quelle commerciali. La preposizione “in” non disdegna la solitudine e si accompagna volentieri ad altre preposizioni.
La ritroviamo assieme alla preposizione “contro” [2] che richiama scontro, opposizione, conflitto a meno che non si faccia precedere da lei, dalla piccola preposizione semplice “in” per alludere alla possibilità, al piacere, al desiderio, alla speranza, alla competizione che si esplica tra esseri viventi se è un sostantivo. [3]
Se diviene una forma legata al verbo esso “Indica direzione di movimento, e più in partic. movimento verso persone che siano [...]” [4]

 

Incontro

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Contenuta nel sostantivo incontro, trovo la forma che mi intriga per scandagliare la dimenticanza di un nome e in particolare la dimenticanza di un nome, che occorre a Freud, diretto verso Cattaro [5]:
Si chiama INCONTRO il fatto di incontrare qualcuno o l’incontrarsi casualmente di due o più persone (un i. impensato; un i. felice, fortunato, sgradito; un i. inevitabile); 2. si può [...] o per la ricerca di un accordo (un i. di capi di Stato; un i. al vertice). [6]

Date e tempo dell’inconscio.

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1897 Sigmund Freud è in viaggio, ha visitato Orvieto, scrive a Martha, di cui accusa l’assenza poiché il viaggio era previsto assieme alla consorte; scrive a Fliess, come un compagno di diario che meticolosamente scrive; non comprende molto l’italiano, è straniero in una terra tanto studiata e desiderata.
1898, andando da Ragusa alle Bocche di Cattaro Egli dimentica un nome, di cui sa moltissimo e di cui ha studiato gli affreschi, l’anno prima, Signorelli. [7]
Durante uno scambio di ricordi in treno, vis a vis con un altro viaggiatore, desidera sapere se anche l’altro avesse potuto visitare la cappella di San Brizio, o cappella Nova, che si trova nel transetto destro del duomo di Orvieto. Cita tutto a regola d’arte ma il nome del pittore, che Egli conosce perfettamente, resta impigliato tra i denti. La dimenticanza è tenace e a nulla varranno gli sforzi di aggirare l’ostacolo, anche diverse catene associative non gli saranno di aiuto. Freud definirà la dimenticanza “insistente e fastidiosa”.

Invano

 

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In "Psicopatologia della vita quotidiana" Freud scrive:

“Nell’esempio da me scelto per l’analisi nel 1898, invano io mi ero sforzato di ricordare il nome di quel pittore che nel Duomo di Orvieto aveva creato i grandiosi affreschi del ciclo della fine del mondo. In luogo del nome cercato, Signorelli, mi venivano alla mente con insistenza due altri nomi di pittori, Botticelli e Boltraffio, che il mio giudizio, subito e decisamente, rifiutò come sbagliati. Quando il nome esatto mi fu comunicato da altri, lo riconobbi immediatamente e senza esitazione. La ricerca degli influssi e delle vie associative per cui la riproduzione mnestica si fosse in tal modo spostata da Signorelli a Botticelli e Boltraffio, portò ai seguenti i risultati (…) [8]

 

 

Il compagno di viaggio

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Chi sono mai questi altri che riescono a comunicare a Freud il nome che si celava dietro la dimenticanza? In realtà era semplicemente un “signore” colui che impersonò la dimenticanza, in tedesco “Herr” e fu un estraneo, un “Signore colto” colui che risolse la mancanza. Seguiamo la scrittura di Freud a ritroso, dal libro all’articolo e infine alla lettera a Fliess, di molto precedente il libro stesso: “Nel libro, la raccomandazione diventa domanda: Freud domanda a questo estraneo “Se fosse mai stato Orvieto a vedere i celebri affreschi di (…).
Il processo di recupero del nome, nella lettera, è dato come spontaneo:” Alla fine seppi il cognome: Signorelli. E ricordai subito il suo nome, Luca.”
L'articolo presenta un percorso più arduo: " Il mio compagno di viaggio non fu in grado di aiutarmi (...) dato che, essendo in viaggio, non avevo la possibilità di consultare alcun testo, per parecchi giorni dovetti rassegnarmi a sopportare questo vuoto di memoria e il fastidio interiore che esso più volte al dì mi dava, finché non incontrai un italiano colto che me ne liberò comunicandomi il nome cercato: Signorelli. Al cognome seppi subito aggiungere, di mio, il nome: Luca.”
L’interessante ricostruzione è opera dello psicoanalista francese Jean Lombardi, nel bellissimo piccolo libro del 1995 –di Freud – Erre Emme edizioni che devo aver acquistato a mia volta durante un viaggio a Orvieto con mia moglie.

 

 

Solitudine

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Freud è solo, distante da Martha, un altro lapsus coinvolgerà il nome proprio della moglie con il nome di una bellissima località sul lago di Bolsena, Marta. Freud è in transito, dirigendosi verso Cattaro. Siamo alle prese con la dimensione dell’oralità che apre all’inesprimibile lingua materna che si fa straniera ma al tempo stesso va tradotta. La lingua materna è ciò che segna il primo incontro, indicibile, dell’essere umano; incontro che si struttura come deposito dell’inconscio, di cui il soggetto è responsabile, senza averne avuto in consegna gli strumenti per decifrarlo. Il soggetto sa di aver udito la lingua materna ma non sa ripetere come Egli sia stato parlato da essa, quali note siano state emesse. Freud, e ciascuno di noi, ha dimenticato come il proprio nome da estraneo e inquietante sia divenuto, quotidiano, familiare, senza che esso si confonda su colui che risponde voltandosi, se chiamato.

 

 

Traduzione

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Scrive J. Lombardi: “Sollecitato da un'altra lingua il viaggiatore ha l'attenzione occupata dalla traduzione accanto alla lingua del viaggio, a cui ci si deve assuefare, è la lingua materna che si pone come lingua straniera. L'operazione di traduzione, che cerca di stabilire un ponte fra l'intenzione che vuole dirsi, la forma familiare che prende nella lingua materna è quella che deve farsi intendere in un'altra lingua, ha un effetto di contraccolpo. Con essa si rivela l'equivoco di ciò che è ordinario nel linguaggio d'uso corrente nella lingua materna. L’estraneità non risiede tanto nell'altra lingua quanto in ciò che della lingua materna resta inaudito, non inteso benché enunciato appunto la vera lingua straniera è quella che si intende all'insaputa di colui che parla e i cui effetti di significazione determinano gli atti più realmente di ciò che il parlatore crede di dire. Freud fa per sé stesso la scoperta delle operazioni di traduzione in questo campo d'esperienza che denomina l'inconscio, (…)”. [9]

 

 

Herr, Signore, Signorelli

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Per poter indagare l’inconscio, Freud come noi stessi, ci obblighiamo all’incontro. Incontro con lo straniero che si fa “Signore”, “Herr”, Signorelli. L’inconscio è sempre altro dal soggetto stesso, in quanto il soggetto è alienato per fondazione dal suo stesso linguaggio, essendo noi tutti e anche i nostri amici animali a noi più vicini, parlati dall’altro. [10]
E quindi è solo nella dimensione dell’incontro che è possibile avere informazioni su ciò che pur avendo una sua forma e le sue regole, non lavora come un linguaggio.

 

 

Viaggio d’incontro con la psicoanalisi

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“In questo momento, benché Freud abbia capito, dalle manifestazioni sintomatiche dei suoi pazienti, che ogni soggetto intrattiene un rapporto singolare con il sapere che ha su sé stesso, il termine psicoanalisi rappresenta ciò che Freud ignora di se stesso accanto all'altro discorso che è l'inconscio. Con l'artificio di un incontro, lungo la strada che lo conduce a Cattaro, il suo proprio discorso è realmente messa alla prova di produrre un sapere sulla verità del suo desiderio.” [11]
“Dalla prima versione alla terza, l'avvenimento sopravvenuto sulla strada di Cattaro ha preso la dimensione di un incontro.” Scrive ancora J. Lombardi,[12] Riferendosi al lavoro di Freud sulla dimenticanza del nome Signorelli.

 

 

Riflessioni al termine di questo breve scritto

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Penso con piacere che anche il convoglio che porta in viaggio, a volte in presenza, troppo spesso a distanza negli ultimi tre anni, il desiderio di viaggiatori dell’inconscio, sia diretto a Cattaro o meglio alle Bocche che si lasciano dire senza sapere cosa, per il piacere dell’incontro con la Psicoanalisi in setting di Psicodramma Analitico, dove il soggetto sa di poter dimenticare.

 

 

Note

[1] A. Tabucchi - I treni che vanno a Madras – p. 107-108
[2] cóntro-. – È la prep. contro, usata come prefisso in molte parole composte nelle quali indica opposizione (contraereo, controsenso), movimento o direzione contraria (contropelo, controvento), reazione, replica, contrapposizione (controffensiva, controquerela, contrordine), controllo, verifica (controprova, contrappello), rinforzo, aggiunta (controcassa, controfodera); con sign. più particolare, affine a quest’ultimo, nei termini di marina controvelaccio, controfiocco, contrammiraglio. Nell’uso, contro- si alterna spesso con contra-, ma a differenza di questo non produce mai il rafforzamento della consonante iniziale (cfr. contropelo e contrappelo).
[3] incontro1 incóntro1 (ant. e poet. incóntra) avv. [lat. tardo incŏntra, comp. della prep. in e cŏntra «contro»]. – 1. Indica direzione di movimento, e più in partic. movimento verso persone che siano [...]: a. Dirimpetto: li Spini aveano il loro palazzo grande i. al suo (Compagni); anche come vero e proprio avv.: ha la sua bottega qui incontro; o, con il sign. di «verso, di fronte a» seguito da avv. di luogo: Siede con le vicine Su la scala a filar la …
[4] incontro1 incóntro1 (ant. e poet. incóntra) avv. [lat. tardo incŏntra, comp. della prep. in e cŏntra «contro»]. – 1. Indica direzione di movimento, e più in partic. movimento verso persone che siano [...]: a. Dirimpetto: li Spini aveano il loro palazzo grande i. al suo (Compagni); anche come vero e proprio avv.: ha la sua bottega qui incontro; o, con il sign. di «verso, di fronte a» seguito da avv. di luogo: Siede con le vicine Su la scala a filar la ...Da https://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/incontro/
[5] Oggi Montenegro.
[6] https://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/incontro/
[7] Che cosa è successo durante questa visita Orvieto e ai dintorni, nel settembre del 1897, perché al suo ritorno Freud consideri che tale viaggio segna l'inizio della sua psicoanalisi, mentre sembrava esservi impegnato molto prima? Che cosa rappresenta questo viaggio perché l'anno successivo, nel settembre 1898, andando da Ragusa le bocche di cattaro, egli dimentichi il nome di questo pittore tanto celebre, Luca Signorelli, autore degli affreschi di Orvieto? Jean Lombardi – Il compagno di viaggio di Freud – Erre emme edizioni – p.18
[8] Psicopatologia della vita quotidiana – Sigmund Freud – Opere – vol. 4 – Bollati Boringhieri p. 58
[9] Jean Lombardi -– Il compagno di viaggio di Freud – 1995 - Erre Emme edizioni - p. 28
[10] Nella polivisione di giugno ci siamo posti la eccezionale condizione di colui che pur sapendo riconoscere il proprio nome non lo può comunicare all’altro per poter essere chiamato.
[11] Idem p. 29
[12] Idem p. 128

Bibliografia

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