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“Sul saperne-venir-fuori e saper-entrare”

Introduzione al seminario di Polivisione del 3/12/2021 - h 20,00 - 21,30
a cura di Nicola Basile - socio S.I.Ps.A.

“Allora il sapere dell’esperienza psicoanalitica è forse soltanto il sapere che
serve a non farsi raggirare dalla fanfara?
Ma a che pro se a ciò non si accompagna un saperne-venir-fuori?
O anche, più precisamente, un sapere introitivo,
un saper-entrare in ciò che è in questione per quanto riguarda il lampo
che può scaturirne sull’inevitabile fallimento di qualcosa
che forse non è la prerogativa dell’atto sessuale.”

Lacan J.- libro XVI “Da un altro, all’altro” pag. 205 – Einaudi editore

“Di fauci aperte e del salvare il pianeta”

Fauci aperte, media televisivi, vomitano significanti ambigui.
Salvare la terra suona come una bugia, detta per calmare l’ansia della generazione che deve ancora mettere i piedi sulla terra senza poter dire la sua.

Chi afferma di operare in nome del potere e della potenza, lascia attonita una popolazione che non sa se avrà discendenti. L’ascia che separava e ordinava è corrotta e inutilizzabile, il suo potere non appare generativo ma fallace e fallato.
In sogno il padre ordina e ingiunge che sia il figlio a farlo al suo posto ma rischia di appiccicare così una patacca. Il simbolo rischia di cadere durante la liturgia della cerimonia, trasformandosi in luccicante medaglia, materia morta. Il padre recita la parte di chi proprio non può più fare figli affinché il figlio si decida a prendere la sua responsabilità ma non sembra convincente. Il caso vuole che faccia da testimone la psicoterapeuta che ascolta il sogno e lo fa risuonare nel gruppo di polivisione. I testimoni si moltiplicano, creando una catena di trasmissione del significante ordine che genera altri ordini. La bocca si accorge di non essere solo cavità fognaria ma buon antro dove spezzettare, mischiare, ingerire affinché si trasformino alchemicamente. Dalla bocca della porta la figlia può uscire e non essere divorata dal niente che distrugge il pensiero e il figlio evita la patacca.

In fondo chi pensa di avere cura dell’altro è iscritto in modo ordinato in albi, ordini, corpi speciali per azioni impossibili, per non essere divorati e non divorare con le loro teorie e dispositivi. Dare un ordine alle pulsioni dionisiache, serve a ciò. Lasciare esse vagare troppo a lungo, potrebbero disordinare l’esistente. L’ordinare lo si sa è del femminile nell’armadio della vita ma è del nome del padre assegnare la trasmissione e un posto.

 

“Urlo qualcosa a Chronos e Zeus, distratti”

Urla il suo dolore la bambina poiché ha scoperto di essere ancora un altro corpo uscito dal grembo materno per soddisfare il rito che dalla semina porta il grano a essere pane sul tavolo del Cristo.

Si accorge che nella stanza accanto, il lessico adulto balbetta, si deforma, non accenna a offrire forme simboliche. La bambina avverte nausea, chiude la bocca e pensa sia meglio rinunciare al cibo. Cristo però non rinuncia a distribuire il pane del corpo del figlio ai fratelli.
Lo offre anche a lei e lei mastica, lo riduce a bolo, lo digerisce. Quel corpo si fa metafora del corpo e la metafora è pensabile in quanto c’è un corpo che è stato sacrificato e messo in croce, divenendo un corpo con il segno negativo davanti che permette che tutti gli altri corpi esistano, direbbe J. Lacan.
Il corpo di Chronos è stato ucciso dopo che lui ha ingerito i figli e dopo che i figli hanno dato una modernizzazione all’Olimpo grazie a Zeus che si congratula con Chronos per l’ottimo lavoro svolto.
Se i due fossero in Inghilterra, li troveremmo davanti un tavolino da tè alle cinque e sempre alle cinque con il Cappellaio Matto e la Lepre di Marzo, mai seduti allo stesso posto così da evitare di essere consumati dal tempo.

La madre genera, genera, genera ancora, ancorata a una femminilità che cattura l’altro dentro di sé per quel tempo che la renderà il fallo lei stessa. Calcisticamente parlando lei è ammonita a farlo, poiché si tratterebbe di un fallaccio. Pertanto, anch’essa deve tornare a farsi parte, a essere vuoto contenitore per ambigue parole. Meglio così riempirsi di nuovo illudendo l’espulso di essere tornato in auge. Ma il fallo porta rapidamente a pensare alla punizione. Si sa che a ripetere un fallo, ci si trova in faccia un cartellino rosso e non si può più giocare.
A questo pensa il dispositivo dello psicodramma che cerca la vitalità del simbolico anche quando essa sembra andata perduta, impedendo l’espulsione e la retrocessione.

 

“Quanto costa adottare una morte”

Bisognerebbe sempre fare i conti con il costo dell’adozione di una morte anche quando Chronos e Zeus banchettano assieme ai corpi dei figli non digeriti dal primo e al corpo del padre ucciso dal secondo, zombies originari.

“Ci sarebbe un maschile che potrebbe prendere l’ordine paterno” se venisse ordinato altrimenti la madre potrebbe mangiarsi anche il padre, se riuscisse a screditarlo. Grazie alla terapia, una ragazza cerca di ricostruire il padre morto. Altrimenti rimarrebbe in giro un fallo, fallato, che cerca riconoscimenti ma non offre riconoscenza, in quanto quello che lo identifica, è perdita economica e non distinzione tra consumo e desiderio. Si legge di lui che lo vogliano ritirare dal mercato in nome di una possibile class action che giace sotto quintali di faldoni illeggibili nella stanza di un giudice irreperibile.

“Di Chronos e Zeus come del Cappellaio Matto e la Lepre di Marzo”

Forse Chrono ingoia i figli e Zeus lo fa fuori per non esser messo in panchina, evitando la furia delle baccanti. I due nello stesso tempo sono morti e vivi, sono nemici e generatori dell’universo, sono ordine e disordine ma mai uno come la madre con il figlio, corpo unico che non deve crescere. La madre allucina un corpo a corpo con il figlio per non farlo divorare dalla violenza del padre, immutabile e pertanto non vivo.

Se così fosse l’uno non sarebbe mancanza dell’altro, insufficienza che ha dato origine alla cifra separandola dall’universo dell’indistinto. Preso atto di ciò, l’insieme -1 si è nascosto nell’ombra dell’uno, durante una sera di clinica del vivere, il dì 5 novembre 2021. La pausa allora non troverebbe la semicroma a darle il suo posto, la battuta calerebbe come colpo di maglio, l’archetto del violino si contorcerebbe lasciando ogni chiave girare a vuoto. La bacchetta che doveva dirigere l’orchestra, stende, colpisce e non attende al compito creativo dell’attesa.
Se non c’è separazione non c’è desiderio., non c’è presenza o assenza, non c’è passaggio di una chiave che offra simbolicamente l’appartenenza per chi Lavora nel CSM.
Le storie degli operatori si intrecciano con quelle dei pazienti, o li accompagniamo alla morte o ci vedono andare via. Il legame non crea ricordo se non possiamo giocare la rimozione della separazione, dato dal dare un ordine a nascita, crescita, morte e alla storia narrata dai testimoni e dagli scritti.

Le istituzioni sono delle madri che vanno via ma dovrebbero essere anche dei padri che passano il testimone autorizzando i figli a divenire orfani in senso simbolico: diventando madri e padri di sé stessi.

“Quando la notte si fa sempre buia”

Chiedi pertanto anche questo, mi volto per scoprire a chi tu l’abbia chiesto, lo chiedi a me, avvolti come siamo nell’ombra della notte che è sempre buia, narra la luna dei fratelli Grimm, tu lo chiedi a me e io lo chiedo a te.

In quella eternità non si possiede ombra e si disattende alla scissione originaria che proietta verso l’indeterminatezza, chiedendo di transitare nella incompletezza.

Senza ombra si manifesta il delirio di essere ricomposti, quindi ufficialmente morti, e non ci si accorge che sulle strisce è passato sopra di me o dell’altro un tir. Mentre passava, l’autista ha potuto solo vedere delle linee chiare e scure poiché colui che era stato chiamato ad uscire dal buio era cosa.
L’autista è stato assolto perché il fatto non sussiste poiché il buio è così reale che non c’è codice legislativo che lo contempli. Se lo facesse, taglierebbe con una luce l’indistinto, proponendo la fatica del sintomo.

In realtà qualcuno afferma che ogni codice, clinico, legislativo, musicale, letterario, psicoanalitico, pedagogico altro non faccia che venerare la divinità. E la divinità muta e cieca, non si fa legge, se non sostiene l’impercettibile oscillazione della sua bilancia che non può restare ferma, come non sarà mai fermo il rivoluzionare pendolo di Galileo.

Galileo rischia ancora di essere condannato per aver reso visibile l’invisibile ingordigia del sapere che non poteva vedere la miserrima piccolezza della cosa terra come la clinica non vede la sua pochezza quando è posta davanti all’ingordigia delle sue sentenze. Il sintomo bulimico si fa relazione con la madre onnipotente che non concede distanza né al figlio, né alla figlia, in quanto corpi indistinti senza ombra.

Nell’ombra, infine, il buco della serratura è difficile da trovare, la chiave tocca soltanto superfici dure e le graffia.

Il signor Celestine Freinet (1986-1966) consigliava, di chiudere gli occhi e avanzare con le mani avanti, delicatamente, sfiorando ciò che non si riconosce, lo definì il “tatonnement”. Ma appena ebbe definito un rivoluzionario metodi di conoscenza per non inimicarsi il buio, qualcuno cercò di trasformarlo in codice. Pare che non ci sia ancora una scuola “Freinettiana” a riportare nel buio la felice luce che ha proiettato quel piccolo uomo socialista sul futuro della trasmissibilità della ricerca. E ci auguriamo che non ci sia mai!

Nota finale

Il testo è stato elaborato sulle osservazioni delle dott.sse Annalisa Pascucci e Sarah Salvatore, realizzate il 05/11/2021 durante l’incontro di Polivisione con il dispositivo dello psicodramma analitico.

Il seminario non è gratuito; si richiede la fatica del proprio esserci e il desiderio della psicoanalisi. Per partecipare scrivere a nuovipercorsiviaborelli@gmail.com indicando il proprio nome, professione, numero di telefono per poter ricevere il link di accesso a meet.

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