“…l’onnipotenza ha tante forme…”
(possibile introduzione) alla Polivisione clinica Gennaio 2023
di Alessandra Corridore
"fondamentale è porsi la domanda: “Da che gioco sono giocato?”.
“L’onnipotenza può assumere tante forme”, anche quella di colui/colei che “si prende cura”. In quanto espressione umana può catturare chiunque nelle sue maglie, specialmente chi nel passato è stato ferito. Anche il guaritore ferito, che ha trasformato la sua sofferenza in una professione e che quotidianamente si prende cura della sua ferita e di quella degli altri, può essere contagiato da Narciso, all’archetipo del Salvatore, del Guru, del Sacerdote, del Profeta…
Desiderio di eternità
Forte e rassicurante, mai del tutto elaborato, può essere il desiderio di eternità di un sentimento o un’emozione da condividere con un altro essere umano. L’attore principale sembra essere il bambino interno che cerca l’accoglimento totalizzante, la dipendenza assoluta che rassicura, ma che non lascia andare, che può costellarsi ad esempio tra chi si prende cura e chi viene curato, piuttosto che in un rapporto amicale totalizzante, in cui tu sei il mio strumento e, se ci troviamo a lavorare insieme, desidero che tu sia me ed io sia te.
Finché arriva il conflitto e la ferita originaria si riapre, quella ferita abbandonica di chi non è stato compreso fino in fondo, o comunque come avrebbe desiderato per poter vivere la grandiosità originaria necessaria alla differenziazione.
“Poi sono nate le differenze…”, viene detto nel gruppo
Diadi
Con Donald Kalsched potremmo parlare di diadi che si costellano nella psiche indifferenziata, di cui un polo può essere proiettato sull’altro, o sugli altri da sé, forse per dare forza alla propria Onnipotenza, e per viversi un po’ meno impotenti… Ma l’incontro con l’altro può essere anche l’occasione per incontrare l’Altro dentro di sé, per accogliere l’Ombra (cfr. Jung), la parte intollerabile della personalità, per discendere negl’Inferi, laddove vivono gli opposti, ed accoglierli come una madre amorevole. Reggere il conflitto interno per poter finalmente conoscere, “contare” e a “far contare”, l’altro nella sua originalità.
Limiti
“Bisogna fare i conti con i propri limiti”, viene detto durante lo psicodramma. Quando si anima o si osserva un gruppo, quel gruppo è il “nostro”? Oppure nel gruppo si attivano dei processi che prendono vita propria? Un gruppo che “finisce” dopo un anno rappresenta un fallimento? Forse nell’ottica dell’Onnipotenza si. Ma attenzione a non farsi giocare dalla fantasia della vita eterna, che blocca ogni trasformazione. Forse “la fine” può rappresentare l’inevitabile separazione, il limite ma anche il confine che, chiudendone una, aprirà altre possibilità.
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