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Piccole note sulla clinica nello psicodramma analitico

di Giuseppe Preziosi

Questo scritto nasce dall’ incontro tra la mia pratica clinica con lo psicodramma analitico e la lettura del testo “Mi vedevo riflessa nel suo specchio” di Luisella Brusa; non credo possa essere definito una recensione, né articolo, tuttalpiù come delle note che illustrano dell’ intrecciarsi fecondo tra la clinica, lo studio e la riflessione teorica per generare pensiero e riflessione.

Il punto di partenza del testo di Luisella Brusa è una domanda: quale posto occupa, nella costruzione di un soggetto femminile, la passione che divide e lega una donna con la madre?

Il mio pensiero va alla forza e alla graniticità delle lamentazioni di una paziente che incontro nel gruppo di psicodramma analitico.

Seconda dopo un fratello, Margherita è figlia, nei suoi racconti, di una donna gelida e severa, silenziosa e giudicante e di un padre estroso, dinamico ma distante, tutto chiuso nella sua attività di venditore ambulante e nelle scommesse sulle corse dei cavalli. Margherita ha passato molta della sua infanzia insieme al padre all’ippodromo o ad osservarlo mentre affabulava, spesso truffava, i suoi clienti. Di questi momenti ricorda il sorriso di lui, trionfante di condivisione e complicità con la figlia.

Le lamentazioni durano a lungo, diversi mesi, ma tracciano parallelamente, nei giochi e nei sogni, le coordinate di un suo posizionamento in un luogo di effrazione, a fianco del padre in sostituzione della madre. È lei figlia che accompagna il papà a cercare nuove cose da vendere, a cena al ristorante a festeggiare le migliori vendite; è lei che ancora continua ad accompagnarlo al mercato, non la madre e nemmeno il fratello maggiore completamente tagliato fuori dalla vita familiare.

A lungo nei racconti di Margherita è assente la sua famiglia attuale:i due figli, un maschio e una femmina, e il marito.

Nel suo libro Luisella Brusa utilizza il termine lacaniano di “devastazione” (revage) per descrivere la questione della trasmissione femminile, l’assoluta asimmetria all’universo maschile e le sue ricadute cliniche. Con questo termine l’autrice intende il complesso di affetti ( odio, amore, senso di colpa) che attraversa il divenire della bambina a donna nel suo rapporto con la madre. L’ approdo della sua riflessione è che la discendenza femminile non può trasmettersi nella forma del testimone fallico tramite l’Edipo, l’identità sessuale femminile non può essere assunta ma ” l’unica testimonianza possibile è quella delle molte forme che assume lo scacco di questa trasmissione“.

Qualcosa non può essere trasmesso di madre in figlia e questo ineluttabile inciampo si rinnova continuamente nello specchiarsi dell’una nell’altra e nel trascorrere delle generazioni. Questo in più che travalica la normazione simbolica nell’Edipo mette in campo una domanda che non può mai essere soddisfatta e che rischia di trasformarsi in lamentazione inarrestabile, rivendicazione senza fine che si rinnova nel passaggio da donna a madre.

“l’unico modo che questa domanda di non produrre devastazioni è quello di mantenersi come domanda sospesa, in attesa. Se la distanza tra le donne è mantenuta, allora l’attesa permane e permette all’amore di non tramutarsi in odio e devastazione. La distanza è mantenuta da una funzione attiva del padre che circoscrive questo godimento supplementare dandogli un posto ed una legittimità e mantiene la divaricazione con il desiderio catalizzato altrove

L’esperienza dello psicodramma permette a Margherita di prendere le distanze da questa immagine di figlia immobile in una domanda di rivendicazione verso i genitori; i giochi, i doppi, i sogni che mette in circolo durante le sedute scalfiscono le sue posizioni così esiziali.

Scrivono i Lemoine ” lo psicodramma è dunque destinato a coloro che hanno perduto la capacità di accedere al simbolico, o che non ne sono stati capaci, a coloro che ripetono incessantemente la loro domanda; domanda di cibo, di potenza, di madre, di padre, di bambino…., domanda di forsennati, sempre delusa, poiché diversamente il desiderio si spegnerebbe nel soddisfacimento. Essi continuano dunque a ripetere in gruppo. Ma ogni oro domanda circola. Viene per così dire usata; non vi è più un mero ritorno a se stessi bensì uno scambio“( lo psicodramma, Gennie e Paul Lemoine, pag.25).

L’emersione di un ricordo riguardante la figlia minore Laura interrompe e sposta la sua lamentazione ripetitiva; durante una seduta racconta di essere molto turbata da un sua reazione rabbiosa nella casa famiglia dove lavora; descrive un forte episodio di collera con una delle giovani ragazze ospiti dell’istituzione che, all’insaputa degli operatori, si è fatta un tatuaggio scoperto casualmente proprio da lei; l’evento, in verità banale, ha suscitato in lei una rabbia che, dopo anni di lavoro ed esperienza, le sembra ingiustificabile e soprattutto incomprensibile. Il gioco fa riemergere in Margherita un ricordo doloroso riguardante la figlia: la prima volta che, ormai adolescente, ha negato alla madre la vista del suo corpo; per lei, questo desiderio di intimità e crescita, è stato un dolorosissimo segnale di privazione e separazione.

Questa messa in scena e le associazioni derivate si riveleranno un punto di svolta nel discorso di Margherita; messe da parte le lamentazioni sposterà le sue parole verso il tema di possedere un corpo suo e la sua relazione con la maternità in particolare con la figlia. Per Margherita si rivelerà come impossibile che il corpo della sua “bambina” possa essersi staccato, non essere parte di lei, essere elemento sconosciuto, segnato dal taglio. Contemporaneamente anche il suo lavoro come educatrice mostrerà le crepe di una immagine di perfezione e professionalità ideale rivelando anche elementi di rabbia e invidia verso le giovani ragazze che abitano la casa famiglia.

Margherita sembra essere sempre mancante di qualcosa: qualcosa che non le è stato dato dalla madre, qualcosa che non ha dato alla figlia, qualcosa che la figlia stessa le ha tolto, qualcosa che le giovani ragazze delle casa famiglia hanno. In questo teatro privato il maschile trova posto solo nella posizione di effrazione di un padre seduttivo e trasgressivo, disprezzato e non desiderato dalla madre oppure scompare come i suoi fratelli, i suoi figli o il marito completamente assenti dai suoi racconti in gruppo.

Il lavoro nello psicodramma permette di delineare un percorso diverso a questo scacco che si ripete, ” lo scacco non è più oggetto di consumo. Da avvenimento si è fatto simbolo” (Lemoine, pag 21).

Aperto una crepa nella rivendicazione verso una madre gelida e giudicante e un padre “trasgressore” Margherita può iniziare a delineare un suo modo di abitare la sua identità sessuale, la sua posizione nelle generazioni, quel di più che ha pervaso la sua vita come domanda inesaudibile.

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