Riflessioni sul ROLE-PLAYING in istituzione

della Dott.ssa Marina Pagliarini e della Dott.ssa Annalisa Pascucci

Le riflessioni che seguono sono scaturite durante l'esperienza di tre incontri in un CSM romano. La proposta fatta agli operatori era finalizzata alla sensibilizzazione dell'ascolto dei casi clinici istituzionali. A cadenza quindicinale, si sono svolti tre incontri basati sul role-playing rivolto agli operatori che, spontaneamente, hanno aderito alla proposta.

Una prima osservazione che vorremmo condividere con chi vive quotidianamente le problematiche del lavoro è quella che riguarda la difficoltà di mantenere un setting "sufficientemente" stabile e protetto dalle dinamiche esterne, in particolare quelle istituzionali in senso lato, persone che entrano, che escono chiamate da “emergenze “, necessità di firme, di rispondere a telefonate, sembra che nulla possa essere procrastinato per un’ora. Prima riflessione sulle “emergenze “: si può parlare alle volte di false emergenze? Siamo sicuri di dover rispondere subito a tutto? E‘ possibile ritagliarsi 3 ore ogni 15 gg per la propria formazione mettendo al corrente colleghi e utenti (pazienti) di questo? Rendendosi disponibili ad alternarsi con i colleghi anche, nella consapevolezza delle difficoltà oggettive che viviamo in questa nostra regione, ma senza rinunciare alla possibilità di pensare, non solo di dare risposte, e pensare è una funzione superiore, lenta che necessita di tempo, che si arricchisce dell’incontro di un altro pensare.

Partiamo dal presupposto che il ruolo sia un intreccio di legami, di convenzioni sociali e di caratteristiche individuali e che in un gruppo di operatori socio-sanitari lo stigma della convenzione sociale è particolarmente sviluppato e richiama la "questione" intorno alla propria professione.
Possiamo ipotizzare che la questione professionale è prevalentemente etero-centrata, un pre-testo, un copione dato dall'altro; ma il gioco, proprio a partire dal testo dell'altro, permette di svelare la propria trama che è sempre individuale. Inoltre, vorremmo riflettere sull’importanza che riveste l’inversione dei ruoli nel gioco psicodrammatico, il cambio di ruolo (solo in quei pochi minuti del gioco psicodrammatico) permette all’Io del soggetto di mettere in questione (si, proprio in questione e non in discussione, cioè in una modalità che interroga solo sé stesso) il suo statuto di individuo, unico, indivisibile, dotato solo del proprio corpo. Come? Potendo prendere, sempre in quei pochi minuti del gioco, di qualunque corpo lo spazio reale, con tutte le apparenze fisiche, le inflessioni, il tono di voce, lo stile, le espressioni, i tic, rappresentando l’altro e tutte le sue istanze.

Quasi sempre un altro tema centrale, molto spesso sotterraneo, in tutte le esperienze di supervisione (non solo tra pari ma anche con giovani colleghi in formazione) è quello della perfezione.

Dice E. B. Croce: “la spinta alla perfezione quando non incontra ostacoli è sempre mortale” e continua, parafrasando Freud; “l’ombra dell’Io ideale cade sull’Io e lo trasforma in una istanza onnipotente eliminando al suo interno qualunque gradino “, qualunque “un po’“che tanto spesso accompagna il discorso di alcuni pazienti ( “sto un po’ meglio … ma“, oppure “capisco che c’è una difficoltà….ma“).

Dice Freud (“Analisi dell’Io e Psicologia delle masse “) che i gradini all’interno dell’Io costituiscono si una fonte di conflitti e di sofferenze ma anche delle piattaforme di rilancio della dialettica del processo vitale.

La questione centrale sembra essere sempre ciò che manca, da questa mancanza interroghiamo il nostro desiderio, non per evitare la mancanza, dando spiegazioni, riempiendo con le spiegazioni, ma per fare in modo che diventi una piattaforma dalla quale rilanciare le nostre esistenze anche professionali.

Pur nell’inevitabile consapevolezza della nostra castrazione simbolica con la mancanza dobbiamo abituarci a convivere. Può essere anche l’inatteso effetto dei commenti da parte del gruppo a far prendere atto dell’inevitabile separatezza della condizione umana. Con il gioco di ruolo si avvia un lavoro di dialogo tra le varie istanze, tra le differenze e le affinità, si tenta di affievolire le convenzioni sociali e si mettono in luce le caratteristiche individuali; si tratta di un lavoro sempre complesso e difficile, proprio perché riguarda operatori formati, con lunghi anni di esperienza lavorativa istituzionale, spesso provati dai cambiamenti "imposti", subiti e non sempre condivisi.

Come scrive Lo Verso: "ogni istituzione è nel contempo l'esito della sedimentazione di relazioni temporali condivise ed è il luogo dal quale provengono le leggi che regolano il tempo individuale e collettivo. Il concetto di campo può essere ulteriormente richiamato come luogo di confronto ed espressione insieme dei fatti istituzionali e culturali......". Pertanto, il gruppo si costituisce temporaneamente come luogo complessivo di confronti, di crescita e di riflessione; uno spazio libero ed affidabile nel quale è possibile, per chi lo desidera, passare da Mito a Romanzo che in quanto soggettivo può prevedere finali diversi.
Questa breve esperienza ci conferma che il role-playing resta uno strumento buono, a tutti i livelli, per mantenere vivo ed efficace il proprio desiderio, rinnovandolo.


BIBLIOGRAFIA:
E.B. Croce (1990) "Il volo della farfalla" Borla ed.
E.B. Croce (2001) "La realtà in gioco" Borla ed.
G. Lo Verso (1989) "Clinica della gruppoanalisi e psicologia" Bollati - Boringhieri ed.
E. B. Croce (1982) “Le psicoterapie di gruppo: lo psicodramma“ Maria Ragno ed. Roma


TORNA ALL'INDICE DELLA RUBRICA “SCRITTURE E RIFLESSIONI | SECONDO TRIMESTRE”: