Mese: Novembre 2022

In o questione dell’incontro. La dimenticanza del nome apre alla ricerca

 

I treni che da Bombay vanno a Madras partono dalla Victoria Station. La mia guida assicurava che una partenza dalla Victoria Station vale da sola un viaggio in India, e questa era la prima motivazione che mi aveva fatto preferire il treno all’aereo. La mia guida era un libretto un po’ eccentrico che dava consigli perfettamente incongrui, e io lo stavo seguendo alla lettera. Il fatto era che anche il mio viaggio era perfettamente incongruo; dunque, quello era il libro fatto apposta per me. Trattava il viaggiatore non come un predone avido di immagini stereotipe al quale si consigliano tre o quattro itinerari obbligatori come nei grandi musei visitati di corsa, ma alla stregua di un essere vagante e illogico, disponibile all’ozio e all’errore. Con l’aereo, diceva, farete un viaggio comodo e rapido, ma salterete l’India dei villaggi e dei paesaggi indimenticabili [...] non dimenticate che sui treni indiani si possono fare gli incontri più imprevedibili. / Queste ultime considerazioni mi avevano definitivamente convinto. [1]

Prologo

 

 

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Seguirò il percorso di Freud alle prese con la dimenticanza del nome Signorelli che solo un fortunato incontro fece emergere. Cercherò di illustrare come interrogare la dimenticanza sia stata per Freud e lo è per tutti noi, una strada consolare di accesso all’inconscio. Queste righe sono state provocate dal seminario di Polivisione in setting di Psicodramma Analitico della Società di Psicodramma Analitico del

In/contro

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In/contro
Inizio dalla preposizione semplice “in”, isolandola dall’avverbio “contro”, non per far torto al secondo ma per ritrovarmi in un luogo, in una specifica condizione affettiva o emotiva, per l’esser entrato in luogo avendone lasciato un altro a cui ero legato, per essermi trovato in presenza di un altro, forse atteso ma per questo inaspettato.
Scelgo non a caso alcuni esempi di una preposizione che indicano tutti il trovarsi con l’altro, sia esso una persona, un essere vivente come un luogo che richiama estraneità.

“In” una versatile preposizione

La preposizione “in” è assai versatile, basta dare uno sguardo alla seguente tabella che rubo dalla Treccani::

Da una rapida occhiata si rileva che essa è poliedrica, si occupa di tutto, sia transazioni affettive come di quelle commerciali. La preposizione “in” non disdegna la solitudine e si accompagna volentieri ad altre preposizioni.
La ritroviamo assieme alla preposizione “contro” [2] che richiama scontro, opposizione, conflitto a meno che non si faccia precedere da lei, dalla piccola preposizione semplice “in” per alludere alla possibilità, al piacere, al desiderio, alla speranza, alla competizione che si esplica tra esseri viventi se è un sostantivo. [3]
Se diviene una forma legata al verbo esso “Indica direzione di movimento, e più in partic. movimento verso persone che siano [...]” [4]

 

Incontro

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Contenuta nel sostantivo incontro, trovo la forma che mi intriga per scandagliare la dimenticanza di un nome e in particolare la dimenticanza di un nome, che occorre a Freud, diretto verso Cattaro [5]:
Si chiama INCONTRO il fatto di incontrare qualcuno o l’incontrarsi casualmente di due o più persone (un i. impensato; un i. felice, fortunato, sgradito; un i. inevitabile); 2. si può [...] o per la ricerca di un accordo (un i. di capi di Stato; un i. al vertice). [6]

Date e tempo dell’inconscio.

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1897 Sigmund Freud è in viaggio, ha visitato Orvieto, scrive a Martha, di cui accusa l’assenza poiché il viaggio era previsto assieme alla consorte; scrive a Fliess, come un compagno di diario che meticolosamente scrive; non comprende molto l’italiano, è straniero in una terra tanto studiata e desiderata.
1898, andando da Ragusa alle Bocche di Cattaro Egli dimentica un nome, di cui sa moltissimo e di cui ha studiato gli affreschi, l’anno prima, Signorelli. [7]
Durante uno scambio di ricordi in treno, vis a vis con un altro viaggiatore, desidera sapere se anche l’altro avesse potuto visitare la cappella di San Brizio, o cappella Nova, che si trova nel transetto destro del duomo di Orvieto. Cita tutto a regola d’arte ma il nome del pittore, che Egli conosce perfettamente, resta impigliato tra i denti. La dimenticanza è tenace e a nulla varranno gli sforzi di aggirare l’ostacolo, anche diverse catene associative non gli saranno di aiuto. Freud definirà la dimenticanza “insistente e fastidiosa”.

Invano

 

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In "Psicopatologia della vita quotidiana" Freud scrive:

“Nell’esempio da me scelto per l’analisi nel 1898, invano io mi ero sforzato di ricordare il nome di quel pittore che nel Duomo di Orvieto aveva creato i grandiosi affreschi del ciclo della fine del mondo. In luogo del nome cercato, Signorelli, mi venivano alla mente con insistenza due altri nomi di pittori, Botticelli e Boltraffio, che il mio giudizio, subito e decisamente, rifiutò come sbagliati. Quando il nome esatto mi fu comunicato da altri, lo riconobbi immediatamente e senza esitazione. La ricerca degli influssi e delle vie associative per cui la riproduzione mnestica si fosse in tal modo spostata da Signorelli a Botticelli e Boltraffio, portò ai seguenti i risultati (…) [8]

 

 

Il compagno di viaggio

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Chi sono mai questi altri che riescono a comunicare a Freud il nome che si celava dietro la dimenticanza? In realtà era semplicemente un “signore” colui che impersonò la dimenticanza, in tedesco “Herr” e fu un estraneo, un “Signore colto” colui che risolse la mancanza. Seguiamo la scrittura di Freud a ritroso, dal libro all’articolo e infine alla lettera a Fliess, di molto precedente il libro stesso: “Nel libro, la raccomandazione diventa domanda: Freud domanda a questo estraneo “Se fosse mai stato Orvieto a vedere i celebri affreschi di (…).
Il processo di recupero del nome, nella lettera, è dato come spontaneo:” Alla fine seppi il cognome: Signorelli. E ricordai subito il suo nome, Luca.”
L'articolo presenta un percorso più arduo: " Il mio compagno di viaggio non fu in grado di aiutarmi (...) dato che, essendo in viaggio, non avevo la possibilità di consultare alcun testo, per parecchi giorni dovetti rassegnarmi a sopportare questo vuoto di memoria e il fastidio interiore che esso più volte al dì mi dava, finché non incontrai un italiano colto che me ne liberò comunicandomi il nome cercato: Signorelli. Al cognome seppi subito aggiungere, di mio, il nome: Luca.”
L’interessante ricostruzione è opera dello psicoanalista francese Jean Lombardi, nel bellissimo piccolo libro del 1995 –di Freud – Erre Emme edizioni che devo aver acquistato a mia volta durante un viaggio a Orvieto con mia moglie.

 

 

Solitudine

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Freud è solo, distante da Martha, un altro lapsus coinvolgerà il nome proprio della moglie con il nome di una bellissima località sul lago di Bolsena, Marta. Freud è in transito, dirigendosi verso Cattaro. Siamo alle prese con la dimensione dell’oralità che apre all’inesprimibile lingua materna che si fa straniera ma al tempo stesso va tradotta. La lingua materna è ciò che segna il primo incontro, indicibile, dell’essere umano; incontro che si struttura come deposito dell’inconscio, di cui il soggetto è responsabile, senza averne avuto in consegna gli strumenti per decifrarlo. Il soggetto sa di aver udito la lingua materna ma non sa ripetere come Egli sia stato parlato da essa, quali note siano state emesse. Freud, e ciascuno di noi, ha dimenticato come il proprio nome da estraneo e inquietante sia divenuto, quotidiano, familiare, senza che esso si confonda su colui che risponde voltandosi, se chiamato.

 

 

Traduzione

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Scrive J. Lombardi: “Sollecitato da un'altra lingua il viaggiatore ha l'attenzione occupata dalla traduzione accanto alla lingua del viaggio, a cui ci si deve assuefare, è la lingua materna che si pone come lingua straniera. L'operazione di traduzione, che cerca di stabilire un ponte fra l'intenzione che vuole dirsi, la forma familiare che prende nella lingua materna è quella che deve farsi intendere in un'altra lingua, ha un effetto di contraccolpo. Con essa si rivela l'equivoco di ciò che è ordinario nel linguaggio d'uso corrente nella lingua materna. L’estraneità non risiede tanto nell'altra lingua quanto in ciò che della lingua materna resta inaudito, non inteso benché enunciato appunto la vera lingua straniera è quella che si intende all'insaputa di colui che parla e i cui effetti di significazione determinano gli atti più realmente di ciò che il parlatore crede di dire. Freud fa per sé stesso la scoperta delle operazioni di traduzione in questo campo d'esperienza che denomina l'inconscio, (…)”. [9]

 

 

Herr, Signore, Signorelli

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Per poter indagare l’inconscio, Freud come noi stessi, ci obblighiamo all’incontro. Incontro con lo straniero che si fa “Signore”, “Herr”, Signorelli. L’inconscio è sempre altro dal soggetto stesso, in quanto il soggetto è alienato per fondazione dal suo stesso linguaggio, essendo noi tutti e anche i nostri amici animali a noi più vicini, parlati dall’altro. [10]
E quindi è solo nella dimensione dell’incontro che è possibile avere informazioni su ciò che pur avendo una sua forma e le sue regole, non lavora come un linguaggio.

 

 

Viaggio d’incontro con la psicoanalisi

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“In questo momento, benché Freud abbia capito, dalle manifestazioni sintomatiche dei suoi pazienti, che ogni soggetto intrattiene un rapporto singolare con il sapere che ha su sé stesso, il termine psicoanalisi rappresenta ciò che Freud ignora di se stesso accanto all'altro discorso che è l'inconscio. Con l'artificio di un incontro, lungo la strada che lo conduce a Cattaro, il suo proprio discorso è realmente messa alla prova di produrre un sapere sulla verità del suo desiderio.” [11]
“Dalla prima versione alla terza, l'avvenimento sopravvenuto sulla strada di Cattaro ha preso la dimensione di un incontro.” Scrive ancora J. Lombardi,[12] Riferendosi al lavoro di Freud sulla dimenticanza del nome Signorelli.

 

 

Riflessioni al termine di questo breve scritto

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Penso con piacere che anche il convoglio che porta in viaggio, a volte in presenza, troppo spesso a distanza negli ultimi tre anni, il desiderio di viaggiatori dell’inconscio, sia diretto a Cattaro o meglio alle Bocche che si lasciano dire senza sapere cosa, per il piacere dell’incontro con la Psicoanalisi in setting di Psicodramma Analitico, dove il soggetto sa di poter dimenticare.

 

 

Note

[1] A. Tabucchi - I treni che vanno a Madras – p. 107-108
[2] cóntro-. – È la prep. contro, usata come prefisso in molte parole composte nelle quali indica opposizione (contraereo, controsenso), movimento o direzione contraria (contropelo, controvento), reazione, replica, contrapposizione (controffensiva, controquerela, contrordine), controllo, verifica (controprova, contrappello), rinforzo, aggiunta (controcassa, controfodera); con sign. più particolare, affine a quest’ultimo, nei termini di marina controvelaccio, controfiocco, contrammiraglio. Nell’uso, contro- si alterna spesso con contra-, ma a differenza di questo non produce mai il rafforzamento della consonante iniziale (cfr. contropelo e contrappelo).
[3] incontro1 incóntro1 (ant. e poet. incóntra) avv. [lat. tardo incŏntra, comp. della prep. in e cŏntra «contro»]. – 1. Indica direzione di movimento, e più in partic. movimento verso persone che siano [...]: a. Dirimpetto: li Spini aveano il loro palazzo grande i. al suo (Compagni); anche come vero e proprio avv.: ha la sua bottega qui incontro; o, con il sign. di «verso, di fronte a» seguito da avv. di luogo: Siede con le vicine Su la scala a filar la …
[4] incontro1 incóntro1 (ant. e poet. incóntra) avv. [lat. tardo incŏntra, comp. della prep. in e cŏntra «contro»]. – 1. Indica direzione di movimento, e più in partic. movimento verso persone che siano [...]: a. Dirimpetto: li Spini aveano il loro palazzo grande i. al suo (Compagni); anche come vero e proprio avv.: ha la sua bottega qui incontro; o, con il sign. di «verso, di fronte a» seguito da avv. di luogo: Siede con le vicine Su la scala a filar la ...Da https://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/incontro/
[5] Oggi Montenegro.
[6] https://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/incontro/
[7] Che cosa è successo durante questa visita Orvieto e ai dintorni, nel settembre del 1897, perché al suo ritorno Freud consideri che tale viaggio segna l'inizio della sua psicoanalisi, mentre sembrava esservi impegnato molto prima? Che cosa rappresenta questo viaggio perché l'anno successivo, nel settembre 1898, andando da Ragusa le bocche di cattaro, egli dimentichi il nome di questo pittore tanto celebre, Luca Signorelli, autore degli affreschi di Orvieto? Jean Lombardi – Il compagno di viaggio di Freud – Erre emme edizioni – p.18
[8] Psicopatologia della vita quotidiana – Sigmund Freud – Opere – vol. 4 – Bollati Boringhieri p. 58
[9] Jean Lombardi -– Il compagno di viaggio di Freud – 1995 - Erre Emme edizioni - p. 28
[10] Nella polivisione di giugno ci siamo posti la eccezionale condizione di colui che pur sapendo riconoscere il proprio nome non lo può comunicare all’altro per poter essere chiamato.
[11] Idem p. 29
[12] Idem p. 128

Bibliografia

Contatti

Per per poter ricevere informazioni, scrivere a Nicola Basile - nicolabasile.edu@gmail.com
Altrimenti inviare un messaggio WhatsApp a Nicola Basile - 3296322722

Transito e coordinate spazio tempo

Contributo al seminario di Polivisione del 19-11-2022

a cura di Nicola Basile e Milena Ciano

 

Anche il corpo è un luogo di transito

In Transit Foto Magali Dougados

Luoghi che sono divenuti pozzi bui e profondi, abissi che ricacciano indietro e costringono a un contatto soffocante con il dolore, richiedono a chi li deve attraversare, la ricerca di una fune, una traccia, per poterli lasciare. La mancanza di certezze, si fa corpo e lacrima, poiché il viandante non sa quale sarà la sua sosta futura né avendo transitato prima il luogo che sta percorrendo, può contare soltanto sulle sue membra. Tuttavia, anche il corpo è un luogo di transito. [1]

Coordinate per un interno esplorabile

La mappa dell'ecumene (mondo abitato) di Tolomeo ricostruita usando la seconda proiezione.

 

Il vuoto può essere uno spazio inabitabile, un’emozione senza contenitore che lascia fermi su un sedile, una regione da cui non si viene e a cui non si giunge. Il vuoto è come un quadro in cui ogni elemento risponde ad una regola di cui non c’è un portavoce perché non lo si può ascoltare e condividere, simile a un monolite impenetrabile. Il vuoto si fa volume, contenitore quando la perdita diventa un’esperienza pensabile. Il vuoto, lasciando spazio ad un ascolto di ciò che manca, acquista le coordinate di un luogo interno esplorabile. [2]

Sospensione

Paolo Migliazza, Raduno, 2022, ph credit Rosa Lacavalla (installation view

 

Tra le mura di luoghi di accoglienza che non accolgono ma separano, bambine aspettano il ritorno del materno amorevole che sani il dolore. Nel medesimo tempo prevedono che altri arrivino tra le braccia a loro negate. [3]

Simmetrie

Sette opere di Banksy in Ucraina: la conferma dello street artist.

 

Rintracciano altri terreni dove mettere radici e germogliare perché l’altro non rimanga estraneo e nemico, i semi sono corpi che hanno bisogno di contatto, di essere presi per mano per imparare a vivere, ora dal vento ora da un’anima. Hanno un padre? Hanno una madre? Tempo e spazio, sono alleati del seme per raccogliere il buono, il frutto nutriente che cresce nonostante, e grazie, ai difetti del corpo e dell’anima. Spazio e tempo disegnano simmetrie generative che sgorgano accanto all’acqua e alla luce, radici della ricostruzione della propria città oltre le macerie. Quando alcuno accede a sé e all’altro, i corpi perdono consistenza, la vita si desertifica.

 

 

 

Bibliografia e crediti

[1] Cavarero Adriana, Il corpo come luogo di transito, Doppiozero, 2014
https://www.doppiozero.com/il-corpo-come-luogo-di-transito
“Ci ricorda Roberto Esposito (in “Le persone e le cose”- Einaudi ed-), proseguendo su un filone originale di ricerca che si conferma sempre più fruttuoso, che il dispositivo della persona, lungi dal delimitare una zona compatta e impermeabile all’irruzione della cosa, è già scisso al suo interno, come del resto annuncia il termine greco persona che significa maschera.”

[2] In Transit Foto Magali Dougados
da Gardenghi Andrea, Corpi in attesa. L’umanità in transito di Koohestani, Teatro e critica, aprile 22. https://www.teatroecritica.net/2022/04/corpi-in-attesa-lumanita-in-transito-di-koohestani/
Se ne consiglia la lettura e se possibile la visione in teatro.

[3] Basso Tatiana La sospensione della scultura: intervista a Paolo Migliazza, 2014 in Exibart https://www.exibart.com/arte-contemporanea/la-sospensione-della-scultura-intervista-a-paolo-migliazza/
Se ne consiglia la lettura come l’esplorazione del contenuto visivo.

Il contenuto di questo breve testo si deve a tutti coloro che hanno partecipato al Seminario di Polivisione in setting di psicodramma Analitico della SIPsA che si è tenuto on line a ottobre 2022.
I crediti per le immagini sono riportati in didascalia.
Ci scusiamo per distrazioni o inesattezze nelle citazioni bibliografiche, pronti a correggerle.

 

Contatti

Il seminario del 19/11/2022 come sempre non è gratuito. La partecipazione richiede la fatica del proprio esserci e il desiderio della psicoanalisi.
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“Per fare un tavolo ci vogliono due [L] e quattro zampe” Polivisione 19-11-22

 

 

Introduzione al seminario di Polivisione del 19/11/2022
 di
Nicola Basile

"La lettera, nondimeno, era rovesciata, coll’indirizzo fuori, e, il suo contenuto rimanendo così nascosto, essa non fu notata"
E. Allan Poe - La lettera rubata

 

Il giorno 19 novembre 2022, dalle h 10,00 alle 13,00, svolgeremo il seminario di Polivisione con lo Psicodramma Analitico in presenza, a Roma, in via Nomentana 333 b, sede dell'associazione "Per fare un fiore" per  proseguire il lavoro della stagione settembre 2022 - giugno 2023.

Guardando un tavolo dall’alto...

Guardando un tavolo dall’alto può essere visto come due L simmetriche che ruotando sul piano danno vita a uno spazio delimitato. Da qualche parte, sul perimetro si trova un poco nascosto il soggetto, in qualche altro punto, forse sui vertici o sulle diagonali, discorsi di altri.
A questo tavolo che noi ricordiamo come un “non luogo di incontro” tra figli, figlie e la coppia genitoriale, viene posta una domanda: “Mi riconoscete? Sono ciò che è altro da voi ma che da voi è stato nominato e che in quel nome agogna di potersi identificare”. Il testo volutamente nasconde il genere del parlante, che ha effettivamente preso parola nella scorsa sessione del seminario, ma è chiaro che il soggetto interrogante attende una risposta, forse perché è tagliato fuori dal desiderio di coloro che lo hanno generato e di cui il terzo condivide il desiderio. [1]
Affinché ci sia un parlante, è chiaro che troviamo un “Io”, cioè una forma di identità che può distinguersi dall’altro in quanto sa esprimere parola. Tuttavia, proprio questa parola è un luogo perfetto in cui il parlante si nasconde, in quanto “il significante è ciò che rappresenta un soggetto per un altro significante” [2]

Una domanda che nasconde il discorso

riflessi di una rosa con

Poco importa che il nostro soggetto sia maschile o femminile, poiché egli pone la domanda, il discorso stesso che lo nasconde. Potrebbe chiedere all’altro delle rose che ricorda nel giardino d’infanzia, ma le rose, dotate di spine, fanno esprimere al parlante il dolore che le spine provocano a chi non sa bene maneggiarle. Poiché il soggetto non è una rosa, è un uomo, è una donna, parla di dolori e profumi che parlano per lui, celandolo, forse proteggendolo, poiché la rosa diviene un profumo, un ricordo, un gesto. È la rosa che parla? È il dolore di una spina che ha attraversato la pelle a comunicare il rosso purpureo di una goccia di sangue? A chi appartiene il sangue, a chi era destinata la rosa?
Quale sia il luogo da cui prende vita il discorso, è la domanda che è vitale porsi per non cadere nel tranello del discorso che rimanda sempre a un altro termine, a un altro sogno, a un frammento di un’opera d’arte visitata anni prima. L’origine del discorso di colui o colei che parla è sempre nell’Altro a cui l’epistola è destinata. [3]

Non tradire lo specchio che lo riflette.

 

Ad un tavolo, rettangolare, composto da due lettere, identiche ma rovesciate, il discorso trova casa in quanto l’uno può chiedere che l’altro riconosca il proprio desiderio. Ma in realtà è solo il discorso che arriva all’altro che permette all’emittente di riconoscere che lui esiste. [4]
Se mi racconto a te, se incontro te, se tu ascolti me, io sarò il discorso che si sta veicolando tra me e te, e il discorso si farà filo sottile e resistente dell’immagine che tu restituirai a me, che io donerò a te, io specchio di te, tu specchio di me, ignari che nessuno dei due sta nel suo posto. [5]
L’altro chiede di non tradire lo specchio che lo riflette, incarnato ora dall’ascoltatore, ora dal parlante, affinché i due specchi frontali si riflettano infinite volte, fino a confluire in un punto non più distinguibile, l’inconscio. Mentre scrivo sono anche il lettore, mentre mi presento sono anche lo sconosciuto a cui porgo il saluto, mentre ascolto jazz sono ciò che ogni armonico emesso dal jazzista rimanda ad infiniti altri armonici di cui non conosco l’esistenza ma di cui vivo l’esperienza. “Quando il soggetto parla con i suoi simili, parla nel linguaggio comune, che tratta gli io immaginari non come cose semplicemente ex-sistenti, ma reali. Non potendo sapere che cosa c’è nel campo del dialogo concreto, ha a che fare con un certo numero di personaggi, a’, a”. In quanto il soggetto li mette in relazione con la propria immagine, coloro a cui parla sono anche coloro a cui si identifica” [6].

 

 

Muro

Lacan chiama muro del linguaggio quel muro che rende vana la comunicazione tra soggetti. Quel muro rende il messaggio una lettera vuota in quanto il contenuto della lettera è sempre postato in un altrove che rende vana la ricerca del destinatario. Inutile che io chieda una risposta concreta a colui che se n’è andato, come potrà egli rispondermi? Quandanche egli tornasse, quella domanda probabilmente non avrebbe più senso, lasciando così il sospetto che non fosse mai stata alcuna domanda a cui l’altro avrebbe potuto rispondere.

Prendimi con te! - chiede l’amante, all’amato che si allontana. Colui che si allontana non risponde e così si trova a intrecciare il suo silenzio con la domanda a cui non può rispondere. L’uno vorrebbe catturare l’altro che volge le spalle ma è la domanda stessa che fa muro con chi si allontana; l’altro si distacca ma la separazione ha posto un legame, un nodo, che fa muro dietro cui nascondersi.
Da chi potrebbe allontanarsi se non da sé stesso? A chi sta parlando l’implorante?
In questo dialogo nessuno può mostrare chi sia, in quanto il discorso immaginario rende possibile solo parole vuote, simili a caramelle che non leniscono la fame di pienezza.
Non c’è dunque speranza? E dunque perché si utilizza un setting psicodrammatico come strumento psicoanalitico per far emergere dal labirinto immaginario la traccia del soggetto che si nasconde nel rinvio di un significante con un altro significante? “L’analisi consiste nel fargli prendere coscienza delle […] relazioni [del soggetto], non con l’io dell’analista, ma con tutti quegli Altri che sono i suoi veri interlocutori, e che non ha riconosciuto. Il soggetto deve progressivamente scoprire a quale altro si rivolge realmente, senza saperlo, e assumere progressivamente le relazioni di transfert al posto in cui è, e dove all’inizio non sapeva di essere” [8].

Gioco e appello all'Altro.

Prendimi con te! - chiede l’amante, all’amato che si allontana. Colui che si allontana non risponde e così si trova a intrecciare il suo silenzio con la domanda a cui non può rispondere. L’uno vorrebbe catturare l’altro che volge le spalle ma è la domanda stessa che fa muro con chi si allontana; l’altro si distacca ma la separazione ha posto un legame, un nodo, che fa muro dietro cui nascondersi.
Da chi potrebbe allontanarsi se non da sé stesso? A chi sta parlando l’implorante?
In questo dialogo nessuno può mostrare chi sia, in quanto il discorso immaginario rende possibile solo parole vuote, simili a caramelle che non leniscono la fame di pienezza.
Non c’è dunque speranza? E dunque perché si utilizza un setting psicodrammatico come strumento psicoanalitico? Attraverso il gioco e l'appello all'Altro la traccia del soggetto emerge dal labirinto immaginario del rinvio di un significante con un altro significante. “L’analisi consiste nel fargli prendere coscienza delle […] relazioni [del soggetto], non con l’io dell’analista, ma con tutti quegli Altri che sono i suoi veri interlocutori, e che non ha riconosciuto. Il soggetto deve progressivamente scoprire a quale altro si rivolge realmente, senza saperlo, e assumere progressivamente le relazioni di transfert al posto in cui è, e dove all’inizio non sapeva di essere” [8].

 

Un non luogo di cui avere cura: l'inconscio.

 

Se intorno un tavolo poniamo coloro che vanno a trovare e coloro che attendono di essere ascoltati, premiati, amati, il vero discorso di coloro che sono in attesa di esser presi, è quello di sentirsi nella funzione di coloro che se ne vanno. Ma nel momento stesso in cui si gira dall’altra parte del tavolo, la parola vera è ritrovarsi nel posto di coloro che attendono l’arrivo dell’Altro senza aver più domande da porre, in quanto il gioco di ricevere risposte, parole vuote, dura quanto il sapore di una caramella. Quindi il nostro domandare è una risposta, ovvero, la parola autentica è possibile facendo parlare l’Altro come tale. Se “io” dico, “tu sei il mio maestro” (parola vuota), dall’Altro arriva la parola vera: “io sono il discepolo”. [9]
La caramella, il dono, fa sentire cattivo chi lo riceve, in quanto il discorso è sempre ambiguo o riflesso: l’uno premia perché l’altro possa dimenticare le offese; accettando il dono si pone la firma sulla cancellazione della relazione. L’inconscio lavora per inversioni, condensazioni, metonimie e metafore, ciò che appare palese, nasconde, ciò che nasconde, palesa. Dare un posto all’inconscio è il lavoro di tutti e tutte educatrici e educatori, psicologi e psicologhe, operatori sanitari, scrittori e scrittrici, uomini e donne di buona volontà che dall’asse immaginario dell’etica, si sforzano di far emergere il soggetto del simbolico. La clinica vera è la ricerca della parola che risuona negli accordi della vita nascondendosi tra gli armonici, quella che fa apparire il buco nel muro.

 

Note e crediti

[1] Dolto F., Il desiderio femminile, Mondadori, Milano, 1994, pp. 288-289.

[2] “un significante è ciò che rappresenta un soggetto per un altro significante” J. Lacan, «Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano», in Scritti, vol. II, a cura di G.B. Contri, Einaudi, Torino 1974, p. 822.

[3] “Applicheremo, per fissare le idee e le anime in pena la suddetta relazione sullo schema L già proposto e qui semplificato. Che significa che la condizione del soggetto S ( nevrosi o psicosi) dipende da ciò che si svolge nell'Altro A. ciò che vi si svolge articolato come un discorso ( l'inconscio è il discorso dell'Altro), la cui sintassi Freud ha cercato di definire in un primo tempo nei frammenti che in momenti privilegiati, sogni, lapsus, tratti di spirito, ce ne giungono. In che modo il soggetto sarebbe interessato a questo discorso se non fosse parte interessata? E lo è infatti, in quanto stirato ai quattro angoli dello schema, e cioè: S, la sua ineffabile stupida esistenza, a, i suoi oggetti, a’, il suo io, cioè quel che della sua forma si riflette nei suoi oggetti, e , A, il luogo donde può porglisi la questione della sua esistenza.  Lacan J., Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi, Scritti, Einaudi, Torino, 1974, vol. 2, p. 545

 

https://www.giovannibottiroli.it/it/psicoanalisi/61-estimita-intimita.html

 

 

Interpretazione  dello schema L proposta da Giovanni Bottiroli in https://www.giovannibottiroli.it/it/psicoanalisi/61-estimita-intimita.html

 

 

 

[4] Sull’asse immaginario ritroviamo lo stadio dello specchio nel quale si gioca la riconquista dell’identità in quanto immagine dell’altro, assunta come propria immagine, infatti, attraverso l’immagine dell’altro possiamo avere accesso alla nostra identità. Quindi l’altro nello specchio, che è l’immagine dell’Io, sarà il filtro attraverso il quale noi percepiremo l’altro, il simile che sullo schema viene identificato con a’: “[…] la forma dell’altro ha il più stretto rapporto con l’io, gli è sovrapponibile, e lo scriviamo con a’“. Lacan J, (1954-55) Il seminario Libro II. L’io nella tecnica di Freud e nella teoria della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 1991, p. 281

[5] Il filosofo francese Maurice Merleau Ponty (1908-1961) ha chiamato uno specchio "lo strumento di una magia universale che cambia le cose in occhiali, gli occhiali in cose, me in altri e altri in me”

[6] Lacan J, (1954-55) Il seminario Libro II. L’io nella tecnica di Freud e nella teoria della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 1991, p. 281 in “Schema L” di Giuseppe Salzillo https://www.giuseppesalzillo.it/schema-l-psicologo-milano-navigli/

[7] idem

[8] idem

[9] https://www.giuseppesalzillo.it/schema-l-psicologo-milano-navigli/
Si ringrazia il dott. Giuseppe Salzillo di cui apprezziamo il blog e si resta a disposizione per eventuali correzioni o crediti non correttamente riportati.

 

Contatti

Il seminario come sempre non è gratuito. La partecipazione richiede la fatica del proprio esserci e il desiderio della psicoanalisi.
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